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Che senso ha il primo maggio ai nostri giorni

Cari amici, da oggi inizierò a collaborare, con cadenza settimanale, ad una rubrica sul quotidiano ‘Il Golfo’.

Che senso ha il primo maggio nell’epoca della polverizzazione dei posti di lavori, della crescita esponenziale del lavoro autonomo e para autonomo, della presenza massiccia di immigrati nei vari lavori, della diffusione dei lavori autonomi e para autonomi, dello Smart working. I lavoratori e i lavori, sono molto cambiati in questi ultimi tre decenni, e le istituzioni e le associazioni che lo rappresentano, come in ogni cosa umana, tendono ad avere un comportamento conservativo rispetto alla custodia della cultura e strumenti di salvaguardia dei diritti, che si sono sviluppati nel periodo più fecondo del periodo “fondista”. Occorrerebbe anche porsi la domanda di che senso dovrebbe avere la festa dei lavoratori, nell’epoca più prodiga di garanzie sociali per i lavoratori a tempo indeterminato e di garanzie striminzite e addirittura nulle per i precari ed lavoratori in nero. Ci nello stesso tempo, lavoratori dove spesso i diritti sacrosanti sindacali come la “104” vengono usati fraudolentemente, e lavoratori precari ed in nero, che non hanno alcuna protezione sociale. Lavoratori che hanno un contratto di lavoro ed altri che lavorano con retribuzioni svantaggiose della serie o queste o niente. Oggi dunque il primo Maggio avrebbe più forza, se al lavoro venisse dato nuovamente il significato di occasione di sostentamento per se stessi e per la propria famiglia e per esaltare la propria personalità con l’ingegno e la dedizione, al l’unico modo per dare senso alla propria vita qualsiasi attività si svolga. Quindi non redditi garantiti senza lavoro, o lavoro come sfruttamento; ma esperienza di realizzazione per ciò che positivo si sprigiona nell’impegno individuale e collettivo, e nel luogo per misurare il proprio ingegno ed intelligenza.

C’è allora la esigenza di dare al primo maggio il segno nel saper rappresentare giovani ed anziani, operai e specialisti, italiani e immigrati, tutelati e non, disoccupati e disoccupati. Nello stesso tempo di riscoprire la vocazione più profonda dell’uomo e del suo scopo nella vita. La crisi preoccupante delle associazioni delle rappresentanze dei lavoratori e delle imprese, è causata proprio dalla incapacità di farsi carico degli interessi di tutti, e dalla scarsa propensione al coraggio nelle parole e negli atti usati nelle loro attività di rappresentanza, come di rappresentare la impronta voluta dai costituenti della forza morale e spirituale del lavoro. Sono quindi vittime del “passatismo” e della propensione ad avvalersi dell’aiuto della politica anziché di quella che può derivare integralmente dalla forza della rappresentanza. Eppure, rimettere in ordine l’associazionismo del lavoro, servirebbe a ridare “soggettività primaria”forza a lavoratori ed imprese, in un paese che vive solo della capacità di trasformare prodotti e di allestire servizi. Darebbe anche una bussola con punti cardinali reali rispetto al disordine politico e quindi economico in cui si trova il Paese spesse volte animato da improbabili governanti o aspiranti tali.

Anche in questi giorni, alcuni operatori dei media, auspicano il rinnovamento del Sindacato, che senza dubbio è una delle cose necessarie. Ma occorre capire che significa. Senz’altro lo sarebbe se i sindacalisti mettessero al centro della loro riflessione ed azione, l’impresa. Senza impresa non c’è lavoro, nel senso che prima di tutto viene la produzione per dividersi la ricchezza. Senz’altro lo è lo stato della economia del paese come riferimento per qualsiasi rivendicazione. Lo è senz’altro un comportamento controcorrente alle pratiche della italietta che ci stanno debilitando mortalmente. Spero che non sia avere giovani al posto di meno giovani, donne al posto di uomini, persone di un colore politico anziché un’altro, di stare acquattati per non rischiare anziché il contrario. Ci vorrà molto coraggio, anticonformismo, dedizione ed autonomia, per ottenere un rinnovamento delle associazioni, da cui potrà trarre vantaggio il mondo del lavoro e la società tutta così in cerca di riferimenti alti e reali.

 Raffaele Bonanni*già Segretario Nazionale della CISL

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Nel 2014 gli viene conferita la laurea honoris causa in economia

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