Sentiamoci gocce nel mare, altrimenti sull’isola resterà il “deserto”
Potremmo fare tanti giri di parola, ma tanto vale andare subito al solido. Quella che sta per chiudersi è stata decisamente una stagione molto triste per la nostra isola. Se vogliamo, ancora più triste di quella precedente, che si interruppe di punto in bianco quando fummo colpiti all’improvviso da una tragedia chiamata terremoto. Le nostre carenze restano quelle di sempre. Incapacità di fare rete, litigi sterili eppure continui e interminabili, incapacità politica e amministrativa: questo insieme di fattori ha reso il tentativo di risalire la china una autentica impresa, una corsa ad handicap. Siamo tutti responsabili, nessuno escluso, ed io per primo sento il bisogno di riconoscere che non siamo stati all’altezza della grande sfida della ricostruzione. Sì, avete capito bene, ricostruzione: che non è un termine che riguarda solo le case crollate, più o meno seriamente danneggiate o rese pericolanti dal sisma, ma è una missione che riguarda ed afferisce l’intero tessuto sociale, economico e politico dell’isola d’Ischia. Insomma, siamo ancora tutti terremotati.
Ma la nostra, al netto di tutti i suoi problemi irrisolti e delle sue eterne contraddizioni, resta un’isola che non ha eguali per bellezza ed offerta culturale, naturale, enogastronomica e paesaggistica, un territorio che certamente meriterebbe risposte diverse ad una domanda sempre crescente e incalzante di cambiamento e buona politica. Già, la politica, che unitamente alle associazioni attive e presenti sul territorio avrebbero dovuto avere il buon senso – e dovrebbero tuttora averlo – di guardarsi negli occhi. Parliamoci chiaro, è finito il tempo di stupide e sterili guerre tra bende, si è ormai esaurita la pazienza e soprattutto la “capacità di resistenza” di tanti imprenditori e lavoratori che anche quest’anno hanno dovuto fare i conti con una flessione ben peggiore di quelle che potevano essere le aspettative della vigilia.
Dobbiamo porci una serie di obiettivi con altrettanti step da raggiungere. In primo luogo è opportuno ricostruire una nuova identità, spiegare e raccontare agli italiani ed ai turisti di ogni parte del mondo non soltanto come eravamo, ma soprattutto chi e cosa vogliamo diventare. In fondo, perché ci dovrebbero scegliere? Basta andare in Piazzetta San Girolamo e osservare in che spazio versa lo spazio dedicato ai caduti degli ultimi due conflitti mondiali, per rendersi conto che non solo l’incuria, ma anche l’insensibilità si è impadronita di coloro che dovrebbero occuparsi della cosa pubblica. Se non abbiamo rispetto del nostro passato, e non siamo capaci neppure di curare un piccolo spazio verde (dall’inestimabile valore simbolico), come pensiamo di poter mai risalire la china?
L’AICAST vuole proporre, partendo proprio dalle autorevoli colonne del quotidiano Il Golfo, un’iniziativa che preveda il varo di una delibera di giunta municipale comunale che consenta ai privati che ne hanno la capacità e volontà di poter adottare spazi pubblici abbandonati al proprio destino. Sarebbe un piccolo passo, una goccia nel mare, ma è ora che ciascuno di noi si senta goccia, altrimenti su quest’ isola resterà ben presto soltanto il deserto.
Marco Bottieglieri