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“Senza lavoro, tra noi e gli immigrati è guerra tra poveri”

Dalla Redazione

ISCHIA. L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Il primo articolo della nostra Costituzione, suona sempre più spesso come una beffa, in un Paese dove la disoccupazione negli ultimi anni ha raggiunto livelli da record. Una storia, quella di Ciro, simile a tante altre. Disoccupato da quasi un anno, dopo una vita di lavoro cominciata da giovanissimo, adattandosi a qualunque tipo di attività: giardiniere, magazziniere, trasportatore, operaio, imbianchino, fattorino. «Per trent’anni ho fatto praticamente di tutto, pur di sbarcare il lunario. Non sono mai stato un “mantenuto”, mi sono sempre rimboccato le maniche per farcela da solo». Tanti sacrifici, mai però premiati da un minimo di tranquillità, fin quando l’attuale crisi economica ha reso impossibile anche l’arte dell’arrangiarsi, cui era suo malgrado costretto da qualche tempo. Separato dalla moglie, senza figli, Ciro oggi fatica anche nel provvedere alle più elementari esigenze di vita: «Se non avessi l’aiuto di mia sorella e di mio cognato, davvero non saprei come fare. Tuttavia, questa situazione mi fa male: da una parte mi sembra di approfittare della loro disponibilità, dall’altra non riesco a tollerare di non poter provvedere autonomamente a me stesso, come avevo sempre fatto». La sua situazione è analoga a quella di tanti altri lavoratori, e rappresenta un preoccupante indice rivelatore del livello a cui è arrivata a mordere la crisi economica, anche qui a Ischia, per tanto tempo reputata un’eccezione, un’isola felice. Secondo Ciro, c’è anche la forte concorrenza dei lavoratori originari dell’est europeo: «Dopo l’ingresso di quei Paesi nell’UE e il conseguente arrivo di tante persone in cerca di lavoro, la situazione è ancora più dura. È una guerra tra poveri, dove purtroppo tanti non trovano spazio. Non sono razzista, ma credo che gli italiani, e gli isolani in particolare, dovrebbero essere preferiti a chi viene da lontano». Ciro chiede soltanto di poter lavorare, non solo per le esigenze materiali, ma anche per un fatto di dignità: «Non riesco a pagare l’affitto. Per ora lo sta facendo mio cognato, ma per quanto tempo potrò gravare ancora sulle sue spalle e abusare della sua gentilezza? Mi sento svilito nella mia dignità. Il lavoro è la dignità fondamentale, quella che ti permette di sentirti utile a te stesso e agli altri, oltre che di determinare almeno alcune scelte di vita. Oggi, invece, fatico anche a comprare le sigarette o un panino. Mi sento umiliato». Vorrebbe almeno poter ricambiare in parte, anche simbolicamente, l’ospitalità e l’aiuto che sta ricevendo dai parenti, ma davvero non può. Eppure è pronto ad adattarsi a qualsiasi mansione: «Non ho pretese, sono disposto a qualsiasi orario di lavoro. Mi basta qualunque cosa: posso fare pulizie casalinghe, sistemare giardini, manutenzionare ogni elemento di un’abitazione, andare a fare la spesa per chi è impossibilitato. Tutto. Non voglio diventare un ladro. L’onestà è uno dei pilastri della mia vita». Se fra coloro che leggono queste righe c’è qualcuno che pensa di aver bisogno dei servigi di Ciro, non esiti a dargli una possibilità: sarebbe un segnale forte, una speranza anche per tanti altri che, come lui, versano in una situazione dove il futuro è un’incognita a cui si deve far fronte a ogni attimo, in ogni pensiero, fino al punto in cui ogni orizzonte perde di profondità.

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