CRONACA

No alla demolizione, il Consiglio di Stato “frena” il Comune

I giudici della Sesta Sezione hanno accolto il ricorso contro l’ordinanza del Comune che ingiungeva l’abbattimento di alcune opere edilizie nello storico Palazzo Ciannelli

In appello nuovo capovolgimento di fronte per le tormentate vicende del cosiddetto “Palazzo Ciannelli”. Lo storico edificio di Lacco Ameno come è noto, è al centro di pluridecennali controversie, e stavolta il Consiglio di Stato ha smentito, almeno parzialmente, la sentenza di primo grado del Tar che aveva rigettato il ricorso contro l’ordinanza con cui il Comune di Lacco Ameno ingiungeva la demolizione delle opere abusive accertate con relazione tecnica del 2 marzo 2016, costituite da: intero secondo piano dell’immobile; balcone lato est; portico; tettoia; scala; sottoscala e pensilina in plastica e legno.

I giudici del Tar avevano respinto il ricorso del signor Rocchi, specificando che “le opere contestate si appalesano estranee alla invocata domanda di condono presentata dai ricorrenti, concretandosi nella realizzazione di un intero piano, di un portico-tettoia, di un locale sottoscala, del balcone lato est, di una scala esterna in c.a., e di una pensilina in plastica e legno. La domanda di condono, di contro, aveva ad oggetto unica abitazione su unico piano, con superfice abitabile di mq 69,12 e superficie utile non residenziale di mq 12,42”.

Tale decisione si basava sulla convinzione che le risultanze istruttorie di ulteriori sopralluoghi effettuati dagli uffici comunali nel corso del tempo avrebbero provato l’estraneità degli abusi contestati alle opere descritte nell’istanza di condono, confermate anche dalla perizia tecnica di parte, prodotta dalla parte interveniente ad opponendum, signora Ciannelli. Secondo il Tar, Rocchi non avrebbe assolto l’onere della prova circa l’ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere il condono, nemmeno quello relativo alla dimostrazione della effettiva aderenza delle opere realizzate rispetto a quelle rappresentate nella domanda di condono, in ossequio al cd. “principio di vicinanza della prova”.

Ecco quindi il ricorso al Consiglio di Stato, con cui secondo il ricorrente, difeso dall’avvocato Antonio Iacono,

risulterebbe provato dai documenti depositati in primo grado (in particolare dall’istanza di condono e dalla relazione tecnica asseverata del 2 maggio 2016, attestante la corrispondenza delle opere descritte nell’ordinanza a quelle rappresentate nell’istanza) che la domanda di condono attiene ad un fabbricato composto di tre piani e che in esso sono presenti le due abitazioni. La relazione tecnica avrebbe puntualizzato che l’istanza di condono riguarda gli interventi realizzati sull’intero primo piano del fabbricato preesistente e si riferisce alla maggiore superficie e al maggior volume ricavato dalla sopraelevazione e dalla realizzazione dei due livelli. Inoltre, l’ordinanza di demolizione impugnata non recherebbe alcun riferimento alla domanda di condono, e l’istanza di condono sarebbe stata solo successivamente considerata in modo errato dal Comun; infine, in ossequio a principi costantemente affermati, l’istanza di condono sarebbe stata da esaminare preventivamente sulla base della normativa sostanziale anteriore (più favorevole) ai sensi dell’art. 32 comma 43 bis della L. n. 326/2003 e di conseguenza non poteva essere adottata l’ordinanza di demolizione impugnata.

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Secondo il Consiglio di Stato l’ente non aveva tenuto conto della domanda di condono presentata dal proprietario relativa al secondo piano edificato. Il Comune infatti avrebbe chiesto l’integrazione degli atti soltanto dopo aver adottato l’ordinanza di demolizione

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Secondo l’appellante, in sede di trattazione del ricorso in primo grado non avrebbe dovuto essere attribuito nessun rilievo al diniego della domanda di concessione edilizia in sanatoria (diniego peraltro impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato, poi trasposto in sede giurisdizionale, pendente con il n. di R.G. 3066 del 2020 e non ancora deciso), in quanto il motivo del ricorso per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione era appunto l’omesso preventivo esame della domanda di condono. Il fatto che la domanda di condono non era stata esaminata da parte del Comune prima dell’adozione dell’ordinanza di demolizione sarebbe provato dalla circostanza che il Comune solamente con nota del 30 aprile 2019, e quindi in epoca successiva all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione, richiedeva l’integrazione degli atti tecnici.

Il Consiglio di Stato ha accolto in parte il ricorso, ritenendo fondati i motivi di appello concernenti la mancata precedente considerazione e valutazione, da parte del Comune di Lacco Ameno, della domanda di condono presentata dalla parte appellante l’1 4. 1986 per il secondo piano, il quale illegittimamente venne inserito nell’ordinanza di demolizione n. 2/2016 impugnata. Secondo i giudici d’appello, dall’accoglimento del primo motivo di appello, relativo alla parte del provvedimento impugnato concernente la demolizione del secondo piano, oggetto della domanda di sanatoria dell’1.4.1986, consegue, per le stesse motivazioni, “l’accoglimento del terzo motivo dell’appello, sempre limitatamente alle doglianze riferite alla parte della sentenza e dell’ordinanza di demolizione n. 2/2016, concernenti il secondo piano, il quale, come emerge dall’esito della sopra riportata verificazione, era oggetto della domanda di sanatoria dell’1.4.1986”.

È stato invece respinto il secondo motivo, invece, con il quale l’appellante si lamentava della violazione dell’art. 11 delle Preleggi e della violazione dell’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) per mancata applicazione della sanzione pecuniaria ex art.13 l. 6.8.1967 n.765, già ritenuta applicabile a suo tempo “per detto intervento in difformità del N.O. n.3954 del 19.11.1971 dal Comune di Lacco Ameno giusta nota del 14.2.1976 prot.766 in conformità alla richiesta della Sovraintendenza”, ritenuto inammissibile in quanto proposto per la prima volta in secondo grado.

In definitiva, secondo il Consiglio di Stato l’appello merita parziale accoglimento con riferimento a quella parte della sentenza che rigetta il ricorso contro il provvedimento impugnato coincidente con la domanda di condono dell’1.4.1986, ancora pendente all’atto dell’emanazione del provvedimento. In riforma della sentenza appellata deve pertanto essere annullato il provvedimento impugnato in primo grado per la parte in cui coincide nell’oggetto con l’istanza di condono presentata in data 01.04.1986, anche se vengono fatti salvi gli ulteriori atti dell’amministrazione di rinnovazione dell’atto di demolizione alla luce del sopravvenuto rigetto del condono.

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