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Si oppone al permesso a costruire, il Tar la “boccia”

I giudici della II Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale hanno dichiarato irricevibile il ricorso presentato da una cittadina di Barano che aveva agito in sede giudiziaria contro un vicino di casa. I giudici avevano già respinto nel lontano 2021 l’istanza di sospensiva avanzata dalla ricorrente prima di chiudere adesso definitivamente il contenzioso

Una guerra di vicinato in salsa tipicamente baranese si è concluso con un contenzioso giudiziario dinanzi al Tar che ha visto sconfitta chi aveva proposto ricorso dal momento che i giudici della II Sezione della magistratura amministrativa campana lo hanno dichiarato “irricevibile”. Ad adire le vie legali era stata Raffaella Schiano che aveva deciso di ricorrere contro il Comune di Barano e nei confronti di Francesco Walter Bianco, e che chiedeva l’annullamento previa sospensiva “del permesso di costruire n. 2 del 24 aprile 2018, autorizzazione paesaggistica n. 85/2017, parere della Commissione comunale per il paesaggio del 16 maggio 2017, successiva variante in corso d’opera, disposizione n. 4925 del 2 agosto 2016, art. 10 del Regolamento edilizio comunale, nonché di ogni altro atto pregresso connesso e consequenziale”. Permesso che ovviamente era stato rilasciato proprio al Manco e che la ricorrente dunque contestava.

Nella sentenza emessa dal collegio giudicante (presidente Paolo Severini, primo referendario Valeria Nicoletta Flamini, estensore Katiuscia Papi), vengono riproposti anche i fatti per come si sono succeduti e nello specifico si rammenta che la signora Schiano è proprietaria di un immobile ubicato nel Comune di Barano confinante con un altro edificio di proprietà di Manco. Con permesso di costruire n. 2/2018 il Comune di Barano d’Ischia si autorizzava il «Progetto per la realizzazione di opere di ordinaria e straordinaria manutenzione e di recupero edilizio per adeguamento igienico-sanitario» sul terreno e l’immobile del signor Manco. Raffaella Schiano a quel punto, in virtù del rapporto di vicinanza, con il ricorso introduttivo depositato nel novembre 2021, impugnava il suddetto permesso di costruire, chiedendone l’annullamento, previa sospensione cautelare dell’efficacia, sulla base di molteplici argomenti di censura. Nel dispositivo si legge in particolare che “la ricorrente si doleva del fatto che l’intervento oggetto del permesso impugnato non rientrava tra le tipologie ammesse nella zona; evidenziava poi la ritenuta violazione dell’art. 4 della legge n. 10/1977 e l’illegittimità del recupero funzionale della tettoia; sottolineava infine l’illegittimità dell’autorizzazione paesaggistica emessa in difetto del parere della Soprintendenza e del titolo edilizio rilasciato per l’incremento e il miglioramento di un immobile abusivo”. Manco e il Comune di Barano si costituivano in giudizio sollevando preliminarmente eccezione di irricevibilità del ricorso e difetto di legittimazione ad agire in campo alla signora Schiano. La richiesta di sospensiva veniva respinta il 7 dicembre 2021 con apposita ordinanza del Tar che poi si è riunito per decidere.

Ebbene, il collegio ha proceduto in primo luogo ad esaminare le eccezioni preliminari partendo da quella legata all’irricevibilità del ricorso e ritenendola fondata. Scrivono i giudici: “Per costante giurisprudenza, il termine decadenziale di sessanta giorni per l’esercizio dell’azione di annullamento, quando l’iniziativa processuale abbia per oggetto un titolo edilizio rilasciato a terzi, decorre, normalmente, dalla conclusione dei lavori assentiti con tale titolo, o comunque dal momento in cui la portata lesiva degli stessi è percepibile. In tal senso: «Il termine decadenziale per l’impugnazione dei titoli abilitativi edilizi decorre dall’inizio dei lavori, allorché si contesti l’an dell’edificazione, mentre ove si contesi il quomodo dell’attività edilizia, il termine inizia a decorrere dalla fine dei lavori o dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale portata dell’intervento. In particolare, il termine per impugnare il titolo abilitativo rilasciato a terzi decorre dalla piena conoscenza del provvedimento e della sua portata lesiva; tale conoscenza deve intendersi ordinariamente avvenuta al completamento dei lavori, a meno che non sia data a prova di una conoscenza anticipata da parte di chi eccepisce la tardività del ricorso, anche a mezzo di presunzioni semplici. Il completamento dei lavori è, quindi, considerato in generale, indizio idoneo a far presumere la data della piena conoscenza del titolo edilizio, salvo che venga fornita la prova di una conoscenza anticipata». Orbene, dalla documentazione versata in atti dal controinteressato, e segnatamente dalla dichiarazione di fine lavori trasmessa al Comune dal signor Francesco Walter Merlo in data 26 maggio 2021, si evince che dal 24 maggio 2021 erano stati ultimati «i lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione e di recupero edilizio per adeguamento igienico sanitario di cui all’oggetto […] eccetto le opere di cui sopra (finiture); i lavori non eseguiti e previsti nel Permesso di Costruire n. 2/2018 si intende effettuarli con successivo titolo abilitativo». Era inoltre prodotta (sempre in calce alla perizia giurata) l’attestazione di regolare esecuzione del permesso a costruire n. 2/2018 e della SCIA n. 1178/2021, rilasciata dal Direttore dei Lavori, Ing. Teresa Cenciarelli, in data 24 maggio 2021, con contestuale certificazione «che i lavori di cui trattasi sono terminati alla data del 24 maggio 2021 ad eccezione delle seguenti opere di finitura: – coloriture esterne e opere di pitturazione; – sostituzione degli impianti di cui sono state seguite delle predisposizioni; installazione degli infissi»”.

Il collegio ha evidenziato che il termine decadenziale di 60 giorni per l’esercizio dell’azione di annullamento in caso di titolo edilizio rilasciato a terzi, decorre dalla conclusione dei lavori assentiti, o comunque dal momento in cui la portata lesiva degli stessi è percepibile

Ancora, osservano i giudici della II Sezione del Tar, “non depone in senso contrario la documentazione fotografica depositata dalla ricorrente il 6 dicembre 2021, che raffigura alcuni soggetti eseguire lavorazioni sulla proprietà del signor Manco, e ciò per due ordini di ragioni. Innanzi tutto, le fotografie prodotte non recano una data certa, dunque non dimostrano la prosecuzione dell’attività edilizia oltre il 24 maggio 2021. In secondo luogo, attesa la macroscopicità dei vizi lamentati dalla signora Schiano, deve ritenersi che, all’epoca del 24 maggio 2021, allorquando risulta dimostrato dalla succitata documentazione che gli interventi erano conclusi salvo che per gli infissi, le tinteggiature e alcuni impianti (come confermato anche dalla ricorrente nella propria memoria del 2 gennaio 2025), la lesività dell’intervento realizzato dal controinteressato, denunciata in giudizio dalla signora Raffaela Schiano, fosse già del tutto palese, e dunque idonea a far decorrere il termine (non risultano invero censure fondate sulla tinteggiatura, le finestre ovvero gli impianti, uniche fasi incomplete al 24 maggio 2021). In tal senso, la giurisprudenza ha infatti affermato che: «La piena conoscenza, ai fini della decorrenza del termine per la impugnazione di un titolo edilizio, deve essere individuata con riguardo alla data di inizio dei lavori, nel caso in cui si sostenga la insussistenza dei presupposti per avviare l’attività edilizia sull’area interessata, ovvero alla data di completamento degli stessi ovvero a quella in cui si renda comunque palese, in relazione al grado di avanzamento degli stessi, l’esatta dimensione, la consistenza e la finalità del manufatto in costruzione, laddove si contestino le modalità di esercizio dell’attività edilizia» (Consiglio di Stato, II, 23 marzo 2020 n. 2011). È conseguentemente dal 24 maggio 2021 che decorreva il termine per l’impugnazione, il quale scadeva pertanto il 23 luglio 2021”. Da qui le conclusioni dei giudici che hanno disposto per l’irricevibilità del ricorso: “Orbene, il ricorso proposto dalla signora Raffaela Schiano era notificato il 26 ottobre 2021, allorquando il termine decadenziale era abbondantemente scaduto. Il ricorso è perciò irricevibile. 8. Le spese del giudizio vengono compensate tra le parti, vista la definizione in rito della causa”.

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