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Il sisma e la negazione

Gentile Professore,

il terremoto che il 21 agosto ha colpito Casamicciola e Lacco Ameno ha provocato due vittime e più di quaranta feriti; ha infierito sulle costruzioni e sulle anime della popolazione colpita, che ora, giustamente, pensa ad affrettare la ricostruzione e a far riprendere quota alla sua industria turistica, pesantemente danneggiata . Il serio problema è che nulla può essere fatto, d’ora in poi, senza tener conto della particolare natura del territorio dell’Isola, della sua configurazione geologica e delle elevate insidie dell’attività vulcanica dell’area Flegrea. 

D’altronde se non sorgesse proprio lì l’Isola non sarebbe così straordinaria, così varia, ricca, unica: in breve magnifica. L’ eccezionale varietà geologica, la florida vegetazione, l’incanto delle sponde a contatto – in dialogo, verrebbe da dire – con le insenature della costa da un lato e col mare aperto dall’altro, il mare caldo e le acque termali – che videro con Giulio Iasolino, nel lontano ‘600 nascere la medicina termale – ne fanno, lo sappiamo, un posto impareggiabile. E i tanti turisti che ogni anno ci visitano lo testimoniano. Quegli stessi turisti che potrebbero abbandonarci, se dovessero temere di non essere al sicuro sul nostro suolo.

Casamicciola (sebbene non solo quella), in particolare, annovera una storia drammatica di terremoti, il più massiccio dei quali, come tutti sanno, fu quello del 1883. In quell’occasione rimase in piedi, nel paese, una sola casa e perirono 2313 persone (comprese le vittime degli altri comuni), tra cui i genitori e la sorella di un giovanissimo Benedetto Croce. Il grande filosofo portò per sempre con sé i segni fisici e morali di quell’evento, tanto da non voler mai più rimettere piede sull’isola.

È vero anche, però, che, a seguito di quel tremendo accadimento, proprio a Casamicciola sorse, nel 1885, il primo Osservatorio Geofisico italiano, di cui fu direttore il geniale Giulio Grablovitz, inventore di un prototipo di vasca sismica atta a registrare le scosse del terreno anche a notevole distanza. L’Osservatorio fu chiuso negli anni ’20 del secolo scorso e, dopo molti anni, poi riaperto, rammodernato e dotato di moderni macchinari dall’Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia. Ma, da alcuni anni, lasciato a se stesso, funziona a malapena e ha addirittura rischiato di essere messo all’asta.

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Perché mi sono dilungato su questa vicenda che potrebbe apparire marginale? Per sottolineare che, in realtà, malgrado le tragiche esperienze accumulate non esiste un’adeguata considerazione del fenomeno nella coscienza collettiva, sia a livello nazionale che a livello locale, e che, pertanto, rischiamo di non comprendere come da una disgrazia possa nascere un’occasione di rinnovamento e di riscatto.

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***

Gentile Lettore,

da molto tempo m’interrogo sulle cause della palese decadenza di Casamicciola Terme, negli anni. Io amo questa cittadina; la considero un luogo di radici: qui, da bambino, venivo a villeggiare felicemente nella casa dei nonni e qui ho vissuto le estati della mia gioventù, godendo dell’Isola senza riserve. Mio nonno materno svolgeva la professione medica a Casamicciola e io spesso lo accompagnavo nei suoi giri di visite, entrando nelle case dei pazienti, poveri e agiati, tutti dignitosissimi e gentili; molte volte mi è accaduto di stargli a fianco quando, nel suo ambulatorio di Ufficiale Sanitario presso il Palazzo del Comune e delle Scuole Elementari, ora lesionato, vaccinava i bambini; più volte ho visitato, al suo seguito, il Pio Monte della Misericordia, un’istituzione straordinaria, che assicurava ai non abbienti ottime cure termali, ricevendoli in sontuosi saloni pieni di stucchi e di marmi.

Oggi, quel complesso è un immondo rudere in cui si accumulano i rifiuti e trovano un alloggio di fortuna, come topi nell’oscurità, dei poveri immigrati senza casa. Casamicciola non ha più, come una volta, né un cinema, né una libreria, né una biblioteca, né un luogo di esposizione degno di questo nome. Le uniche attività che vi si allestiscono sono mercatini e, se tutto va bene, piccole fiere paesane. Il porto, per cui ha sacrificato buona parte del suo splendido lungomare, è un’entità essenzialmente staccata dalla vita della comunità.

Prima che la violenta scossa di terremoto aggredisse il paese, a dire il vero, questo stava già morendo da anni, spegnendosi lentamente per consunzione, nell’ignavia e nell’accidia delle sue amministrazioni e della sua popolazione, tanto per evocare dei “peccati capitali”. Ma la psicologia, per fortuna, non è moralismo e non cerca un colpevole. O meglio, come Edipo risvegliato a sé stesso, chiunque rifletta in termini psicologici sa già, sin dall’inizio, che “il colpevole” è lui (o lei), poiché ragionare in termini psicologici implica cessare di puntare l’indice contro gli altri o se stessi e pensare in termini di responsabilità, di vocazione a prendere in mano il proprio destino: che ciò riguardi il singolo o un’intera comunità.

Quindi, guardiamo dentro noi stessi e proviamo a comprendere. Da quel lontano 1883, che lei giudiziosamente rievoca, non possiamo prescindere, in quanto, a mio parere, il declino di Casamicciola è cominciato esattamente allora, alle 21:30 di quel 28 luglio; e non solo per il tremendo danno in termine di vite umane e di risorse materiali che ha procurato, ma per il trauma psichico collettivo che non è mai stato debitamente affrontato e che sospinge verso una pericolosa fuga dalla realtà le generazioni presenti (non solo di casamicciolesi, sia chiaro).

Sappiamo da tempo, infatti, che esistono vari modi di proteggersi psichicamente dalle conseguenze di un evento catastrofico; essi chiamano in causa il concetto freudiano di “meccanismo di difesa”. Sostiene Freud (e dopo di lui tutti gli altri) che l’Io – quella componente della personalità in cui tendiamo a identificarci e che differenzia tra realtà “interna” ed “esterna”  – nell’istante in cui un evento concreto (o un conflitto psichico) lo minaccia, tende inconsciamente a proteggersi dall’eccesso di dolore che ciò comporta, per mantenersi in una condizione di funzionamento tollerabile. Dunque, l’Io è disposto anche ad escludere cospicue parti della personalità stessa dalla Coscienza, pur di mantenersi in sella. Si può dire, che è disposto anche a fare “di tutta l’erba un fascio”, se paventa di soccombere a un evento ingestibile. Da quel momento in poi, però, non è più padrone di richiamare volontariamente a sé la realtà psichica correlata al fattore traumatico, poiché questa si è inabissata nell’Inconscio. Da lì essa continua a operare distorcendo lo stesso funzionamento dell’Io.

Il meccanismo di difesa per eccellenza, nella visione di Freud, è la rimozione (Verdrängung). Proseguendo, però, la sua indagine in campo clinico, il “Padre della Psicoanalisi” si avvide che, in assenza della rimozione o quando essa si affievolisce, può entrare in gioco un’ulteriore difesa: la negazione (Verneinung). La negazione opera separando il vissuto psichico dall’immagine mentale che lo rappresenta, ovvero facendo sì che il riconoscimento di un’esperienza resti mutilo e privo di reale significato per il soggetto. Questi può, perciò, ammettere tranquillamente un fatto (o disconoscerlo, pur avendolo appena evocato) senza che tale riconoscimento lo induca a farsi carico delle conseguenze logiche e psicologiche che ne derivano. In pratica, come si usa dire in gergo psicoanalitico, non elabora quell’esperienza né la integra al resto della personalità.

Torniamo dunque al trauma del terremoto. Il sisma del 21 agosto scorso si ricollega per tanti motivi a quello del 28 luglio di 134 anni fa: non soltanto perché il suo epicentro, la zona del Maio, è lo stesso, ma anche perché vi è una linea di continuità psichica tra l’ evento dell’800 e quello dei giorni nostri. Proprio la vicenda dell’Osservatorio geofisico della Sentinella che lei riporta, caro Lettore, ne è l’emblema. Cosa rappresenta quel piccolo e glorioso centro di osservazione scientifica miseramente dimenticato? Un tentativo di far nascere dalla disgrazia un più raffinato livello di conoscenza, una spinta a considerare le cause che stanno dietro al fatto traumatico e a eseguire specifiche azioni per affrontarle. Attorno a quell’Osservatorio doveva fiorire una cultura del territorio (e un territorio della cultura) particolarmente sensibile, in grado di prevenire al meglio l’insidia e di rassicurare la popolazione locale e i turisti non con rapide operazioni di facciata e di oblio, bensì con la pregnanza di interventi strutturali. Invece si è preferito distogliere lo sguardo, far finta di non essere su una polveriera – tutti noi lo abbiamo fatto in passato e rischiamo di ripetere il medesimo errore ancora oggi -, baloccandoci col “so, ma è come se non sapessi”, col “è vero, ma che ci posso fare?” (il che significa,praticamente, “ammetto che è vero, ma nell’intimo non lo credo”). Si è preferito vivacchiare, perché nel fondo dell’anima ci si continua a sentire incapaci, inadatti ad affrontare le sfide, nel fondo siamo ancora i poveri contadini e pescatori che per secoli sono stati angariati dai vari padroni di passaggio, dei servi della gleba, i quali possono solo agognare a un benessere istantaneo, rapace, gretto, e rinunciare all’idea di un’evoluzione solida, progressiva, di ampio respiro.

Adesso la questione si pone nuovamente, e con forza, alle nostre coscienze: la disgrazia ci offre la chance di orientarci in modo radicalmente diverso, di “elaborare un lutto” mai del tutto portato a conclusione. Se non lo faremo, Casamicciola (ma in realtà tutta Ischia) smarrirà sempre più il contatto con la realtà e si autocancellerà socialmente e culturalmente, oltre che rischiare la propria sopravvivenza fisica. Bisogna pretendere che lo Stato, la Regione, il Comune s’impegnino al massimo per sostenere l’economia dei cittadini colpiti, per aiutarli a vivere sicuri e per offrire sicurezza a chi villeggia sull’Isola. Allo stesso tempo tutti coloro che abitano ad Ischia, o che semplicemente la amano e la rispettano, devono sollevare la testa, distraendosi momentaneamente dalle sue beatitudini, per rimboccarsi le maniche e riedificarne la coscienza gravemente lesionata della società.

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