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Sisma e ricostruzione, la denuncia di Giuseppe Luongo: «Manca il coraggio delle scelte»

Gianluca Castagna | Ischia – E’ in cielo, in terra e in ogni luogo, si diceva un tempo di Dio. E lo stesso, in fondo, si potrebbe dire del punto da cui trae origine l’esplosione degli elementi naturali, contro cui ancora poco può fare la nostra scienza. E’ sempre la Natura a conservare il potere maggiore: sollevare le acque, scatenare il vento e scuotere la terra. A differenza delle altre catastrofi naturali, il terremoto viene dal luogo delle nostre radici, dal cuore della terra. E in pochi secondi può distruggere secoli di storia e la memoria di intere comunità.
Sono passati ormai sei mesi dal sisma del 21 agosto scorso che ha colpito i comuni di Casamicciola, Lacco Ameno e Forio. C’è chi prova a rimuovere il trauma, chi pensa di andarsene e chi, al contrario, si adopera per far ritornare tutto come prima. Pur nella sua ovvia imponderabilità, è stato un terremoto per nulla misterioso quello che ha messo in ginocchio una buona parte della comunità isolana, anche quando non coinvolta direttamente. Questo malgrado gli errori (iniziali) di localizzazione, malgrado gli oltre 130 anni di silenzio sismico rilevante e malgrado lo smarrimento collettivo dei primi giorni.
L’isola d’Ischia è a rischio terremoti. Lo dice la sua storia e lo dicono gli scienziati che, almeno dagli episodi del 1881 e 1883, non hanno mai smesso di indagare il fenomeno con una certa sistematicità. Come il prof. Giuseppe Luongo, che giovedì mattina ha incontrato gli studenti del Liceo nell’ambito delle giornate di “Scuola, scienza e società 2018”. Docente emerito di vulcanologia all’Università Federico II di Napoli, già direttore dell’Osservatorio Vesuviano e autore di numerose pubblicazioni in materia, tra cui la monumentale monografia sul terremoto di Casamicciola del 28 luglio 1883, Luongo ha illustrato alla platea tutti gli aspetti scientifici che riguardano la sismicità dell’isola e l’ultimo episodio tellurico che l’ha investita. Spingendosi però anche oltre, interrogandosi, in altri termini, sulla progettualità futura che investe una terra ricca di bellezza, storia, arte e tradizioni. Una prospettiva, questa sì, più confusa e misteriosa.
Certo, i tempi biblici della burocrazia-pachiderma. Certo, i controlli estenuanti per evitare ruberie e scandali vari. Certo, la difficoltà di trovare, nella comunità e nella sua classe dirigente, una sintesi univoca. Dopo un terremoto non esistono scorciatoie: è necessario vivere un periodo di transizione. Il rischio, però, è che senza il coraggio di una visione chiara per il futuro, il temporaneo finisca per essere gestito in modo troppo definitivo.

Qual è stata la sciocchezza più grossa detta a proposito del terremoto del 21 agosto? O quella più pericolosa, per il rischio di tramutarsi in dato scientifico?
L’errata localizzazione epicentrale fatta all’inizio, in manifesto contrasto con l’epicentro dei danni. D’altro canto la sismicità storica dell’isola ha sempre rilevato che la sorgente che ha generato i terremoti è localizzata al bordo settentrionale del monte Epomeo, proprio nella zona dei danni più evidenti osservati in questo ultimo terremoto. Il problema della localizzazione di un evento sismico lascia tracce nel futuro. Se viene individuata una certa area, gli si attribuisce un livello di pericolosità adeguato a quel sisma. Il problema è perciò la classificazione futura di un’area, collocarla negativamente senza corrette analisi di localizzazione dell’epicentro.
Qualche giorno dopo il sisma ha dichiarato: «Non sono stato ascoltato». Da chi e perché?
Nella comunità scientifica il confronto è continuo. Io ho cercato di far conoscere la mia interpretazione del sisma agli organismi che hanno il compito di monitorare questo territorio. La mia interpretazione fu ritenuta non corretta, ma dopo i necessari approfondimenti l’INGV e l’Osservatorio Vesuviano sono arrivati alla stessa conclusione e hanno fatto marcia indietro. Non era così scontato.
Come migliorerebbe il sistema di comunicazione tra INGV, l’Osservatorio Vesuviano e un’opinione pubblica che ha bisogno, quindi chiede, sempre più informazioni?
Da parte dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia non c’è alcuna chiusura. Anzi, i dati sono diffusi. C’è un problema forse con i social network, più che con i media. Sui social nascono spesso interpretazioni diverse da quelle ufficiali, che con il tempo si rivelano inesatte. Ho notato però che la comunità, quando è impaurita, preferisce seguire le interpretazioni catastrofiche anziché quelle più tranquillizzanti. Sembra strano, ma è così. Forse esorcizza.

Cosa c’è sotto Casamicciola? Perché i terremoti colpiscono quasi esclusivamente la parte nord occidentale dell’isola d’Ischia?
Esiste una faglia, o una serie di faglie, al bordo settentrionale dell’Epomeo, tra il monte e la costa. E’ una fascia est-ovest che dalla parte alta di Casamicciola si estende fino al confine con Forio. E’ un punto di estrema debolezza della struttura tettonica dell’isola. Di tanto in tanto si verifica una sorta di scollamento: si supera l’attrito delle rocce e si genera un terremoto. Come quello avvenuto lo scorso 21 agosto.
Una simile scossa giustifica i crolli di case e rende comprensibili i danni, anche importanti, all’edilizia pubblica, che è o dovrebbe essere più sicura?
Quando ci si trova in area epicentrale, con un terremoto molto superficiale, anche se l’energia sprigionata non è elevata (e qui siamo su una magnitudo moderata, di poco superiore a 4), lo scuotimento diventa comunque elevato. Le frequenze pure, per cui anche edifici di piccole dimensioni subiscono gravi danni. Uno degli obiettivi futuri della ricerca scientifica sarà come difendersi dai terremoti nelle aree epicentrali. Oggi la legge sismica difende molto le aree lontane dall’epicentro e poco quelle epicentrali. Una situazione a cui va posto rimedio.
Dal suo osservatorio privilegiato e da tanti anni di esperienza, qual è la situazione nei Campi Flegrei? Questo lento continuo sollevamento può essere collegato al terremoto di Ischia o si tratta di dinamiche autonome e indipendenti?
C’è naturalmente una dinamica regionale comune, ma questi eventi sono legati a sorgenti molto locali. A Casamicciola abbiamo una strutture tettonica superficiale che si muove di tanto in tanto generando terremoti; ai Campi Flegrei c’è una dinamica superficiale che invece chiamiamo bradisismo. Sono dinamiche separate ma, ripeto, all’interno di una dinamica regionale che le accomuna e nella quale va inserito anche il Vesuvio.
Per Ischia esiste il rischio di una crisi vulcanica?
Non ci sono segnali in questa direzione. L’isola d’Ischia si sta abbassando, questo vuol dire che in profondità non c’è l’incremento di pressione magmatica che di solito precede un’eruzione. Ai Campi Flegrei, invece, sta avvenendo il fenomeno contrario. Anche lì, però, al momento non c’è energia sufficiente per arrivare a un’eruzione. Ischia è in abbassamento, almeno da un punto di vista eruttivo può stare tranquilla per un tempo piuttosto lungo.
Tornando ai terremoti, si parla sempre più spesso di modelli interpretativi. Ha senso parlare di un modello ad hoc per Ischia? Cosa serve per metterlo a punto: tempo, risorse, competenze?
Si parte sempre da modelli di carattere generale, che non differiscono molto da un’area all’altra. La stessa dinamica regionale comune tra Ischia, Campi Flegrei e Vesuvio presenta delle affinità. Nella parte più superficiale, però, c’è una tale concentrazione di effetti da suggerire analisi specifiche. Un modello ad hoc per Ischia presuppone studi molto accurati su quella struttura in particolare e sulle sue dinamiche, anche perché si tratta di un processo in continua evoluzione. Capire a che punto siamo di questa evoluzione è uno dei problemi che il mondo scientifico deve adesso affrontare. L’isola va certamente studiata nel dettaglio: i dati cominciano ad arrivare, è l’elaborazione concettuale che deve andare avanti. L’acquisizione di nuovi dati insieme all’evoluzione della conoscenza permettono che un modello si possa superare ed evolvere. I tempi sono lunghi, ma non bisogna desistere: solo così avremo risultati efficaci.

Il Maio, Piazza Bagni, il Fango sono aree più a rischio di altre. E’ possibile pensare a un ritorno della comunità o rassegnarsi all’abbandono? Qual è la sfida, anche culturale, che deve affrontare la ricostruzione?
A mio avviso è conveniente scegliere una diversa destinazione d’uso per queste aree. Proponevo di realizzare un grosso Centro di Ricerca, al Maio, un parco europeo di valore internazionale che punti a una maggiore sicurezza delle aree sismiche ad elevata densità abitativa. Va studiata l’azione dei terremoti che avvengono a pochi chilometri di profondità, proprio quelli che interessano l’isola d’Ischia, che potrebbe diventare capofila di un intero settore della sismologia. Un tale Centro di Ricerca affronterebbe l’annosa questione del collasso dei centri storici in zone sismiche, diventando il riferimento per la mitigazione del rischio in paesi con le stesse tipologie edilizie esposti ad analoghe, intense attività. Dopo il terremoto del 1883, qui è cominciato lo studio moderno della nuova sismologia: si potrebbe ricominciare facendo arrivare un ampio spettro di competenze sulla sorgente sismica, sull’ingegneria edilizia, sui beni culturali. Un nuovo punto di partenza che tenesse conto anche della volontà di una parte della comunità di ritornare in quelle aree. A mio avviso, la densità abitativa andrebbe significativamente diradata, perché in quelle aree potranno verificarsi in futuro altri eventi sismici. Bisogna fare un’attenta valutazione dei costi e dei benefici, e solo la comunità può decidere il livello di rischio accettabile. Quindi ci vogliono risorse per ottenere la stessa sicurezza di comunità che vivono in aree a basso rischio. Si vuole ricostruire? Non ci sono alibi per nessuno: è necessario farlo avvalendosi di tutte le tecniche più evolute. Sarebbe un errore non approfittare di questo momento per fare un passo avanti come comunità insieme alla ricerca scientifica. Ecco perché auspico la nascita di un grande Centro di Ricerca. E’ un’opportunità che si può e si deve cogliere.
Sapremo farlo? Che segnali ha colto?
La classe dirigente non sta dando le risposte che la comunità aspetta. A differenza di quanto avvenne dopo terremoto del 1883, quando, a distanza di un anno da un sisma ancora più devastante, c’era già un progetto di ricostruzione, delle linee da seguire. Oggi mi pare che tutti abbiano paura di esporsi, paura del fallimento. E’ tutto fermo. Eppure bisogna avere il coraggio di proporre una visione per il futuro di questo territorio Anche qualcosa di importante. Il post terremoto può essere peggio del terremoto quando non si prendono decisioni o non si hanno le idee chiare. I disastri sono occasioni perchè azzerano modelli pregressi, rappresentano momenti per rivoluzionare la concezione stessa di città e comunità. Di solito in Italia, dopo un terremoto, non riusciamo mai a cogliere questa opportunità. Forse, in parte, ci sono riusciti i friulani. Gli altri no.
I terremoti non si prevedono. E’ un’ipotesi probabile una ripetizione della medesima energia sismica in tempi relativamente brevi? Penso ad esempio al celebre terremoto del 1883, verificatosi dopo appena due anni da quello del 1881.
Furono entrambi due terremoti superficiali, il secondo di energia più elevata. Non possiamo escludere che ci possa essere un altro sisma come quello dell’agosto scorso, però oggi abbiamo strumenti che a quel tempo non avevamo e che seguono molto l’evoluzione tettonica e le deformazioni del suolo. E’ una sfida alla ricerca. Un terremoto può avvenire da un momento all’altro, possono esserci degli indizi, quindi dei timori, ma persistono difficoltà di determinazione dell’energia e del tempo. Attualmente non esistono le condizioni per farlo, ma siamo ottimisti.
A sei mesi di distanza dal sisma, dal punto di vista scientifico, cosa possiamo dire di più del terremoto che ha colpito parte dell’isola d’Ischia lo scorso agosto?
I dati raccolti vanno approfonditi e confrontati con modelli più avanzati di quello che abbiamo oggi. Quando accadono eventi come il sisma di Casamicciola siamo a un passaggio direi quasi rivoluzionario sullo studio di un certo tipo di terremoti. Si abbandona il modello vecchio, che non ha spiegato tutto, e si comincia a lavorare su modelli nuovi. Solo tra qualche anno capiremo se, in questo campo, abbiamo fatto un importante passo in avanti.

 

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