CRONACA

Sotto inchiesta, fu assolto: non sarà risarcito

Protagonista della vicenda giudiziaria un poliziotto che si è visto rigettare la richesta di rimborso delle spese legali al Ministero dell’Interno. Le indagini preliminari avevano ipotizzato che alcuni tutori dell’ordine isolani avessero costituito un’associazione a delinquere per commettere delitti di concussione e corruzione 

Torna al centro delle cronache la vicenda, successa nei primi anni 200, che ha coinvolto alcuni poliziotti isolani. Secondo l’ipotesi accusatoria – abusando delle proprie qualità e dei propri poteri, gli uomini della Polizia di Stato avevano avvicinato il gestore di una discoteca ischitana, allo scopo di farsi “assumere” come “buttafuori” del locale, in sostituzione dei dipendenti, richiedendo in cambio un corrispettivo economico per ogni serata. Il comportamento tenuto dai poliziotti determinava nell’imprenditore il timore di un possibile blocco dell’attività qualora non avesse assecondato alla richiesta. Situazione, poi, non realizzatasi in quanto il titolare del locale provvedeva immediatamente a denunziare quanto avvenuto ai Carabinieri della locale Stazione. Oggi la vicenda torna al centro delle cronache in quanto uno dei poliziotti ha chiamato in causa il Ministero dell’interno per l’annullamento della nota ministeriale con cui è stata respinta la richiesta di rimborso delle spese legali presentata dal ricorrente in relazione al procedimento penale conclusosi con la sentenza 19 giugno 2009 passata in giudicato, con la quale il poliziotto in questione è stato assolto dalle accuse mossegli perché il fatto non sussiste. In buona sostanza, le indagini preliminari avevano ipotizzato che alcuni appartenenti al suddetto ufficio di polizia avessero costituito un’associazione a delinquere al fine di commettere delitti di concussione e corruzione, nel cui ambito gli appartenenti al tale sodalizio avrebbero svolto attività di buttafuori presso alcuni locali notturni dell’isola, assicurato copertura al gioco d’azzardo all’interno di altri locali pubblici, consentito la vendita al dettaglio di sostanze stupefacenti e garantito la revoca di fogli di via obbligatorio legittimamente emessi, ricevendo per sé somme di denaro, oggetti in oro e droga, al fine di favorire i terzi interessati ai suddetti provvedimenti o coinvolti nei citati illeciti.

Da tali accuse il poliziotto che ha chiamato in causa il Ministero dell’Interno è stato assolto perché il fatto non sussiste con sentenza del Tribunale di Napoli del 19 giugno 2009 n. 4896, passata in giudicato. Conseguentemente, P.S. in data 20 gennaio 2010 ha presentato istanza di rimborso delle spese legali. Il Ministero dell’interno, su conforme parere dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli ha rigettato tale richiesta, ritenendo che i fatti contestati all’interessato non possono essere ricondotti ad una finalità pur latamente connessa al soddisfacimento di un interesse della pubblica amministrazione, trattandosi di imputazioni che riguardano reati commessi per mero interesse personale, al di là dell’essere fattispecie delittuose connesse fattualmente con l’attività lavorativa, restando anche irrilevante la natura giuridica di reato proprio delle accuse mosse. Il Ministero dell’interno, costituitosi in giudizio, ha argomentato sull’infondatezza nel merito della pretesa azionata dal ricorrente, ribadendo l’insussistenza dei presupposti di legge per il riconoscimento del beneficio economico de quo. Per i giudici del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima stralcio, “gli illeciti di cui è stato accusato P.S. riguardano condotte che non possono ritenersi compiute nell’esercizio di un dovere istituzionale attribuito per competenza al dipendente, prima indagato e poi assolto, ma che appaiono più propriamente ascrivibili a un intento di personale arricchimento che si pone, quindi, in evidente conflitto d’interesse con gli interessi del datore di lavoro pubblico, non rilevando in senso contrario che si trattasse di ipotesi di reato comunque connesse all’attività lavorativa prestata ed alla qualifica di pubblico ufficiale rivestita”. I giudici, quindi, definitivamente pronunciando sul ricorso, lo hanno rigettato compensando le spese.

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