Sotto Tiro di Mizar Il ceppone
Negli anni 40 del secolo scorso mio nonno mi spiegò cosa era il “ceppone”. Era una parte di un albero curvo dove si appoggiava il vecchio da far morire. La fame, la carestia, il peso per la famiglia, determinava la scelta di portare le persone molto anziane a morire. Si lasciava la persona lì senza acqua e senza cibo. Rimasi sconvolto. Volevo molto bene a mio nonno che nel 1949 morì di enfisema polmonare. Ho 83 anni ed ho sempre pensato che era questa l’età giusta, per me,di morire. Ora apprendo che in caso di pandemia da coronavirus bisogna curare le persone che hanno più probabilità di vivere a lungo. Oltre i settanta anni, sei fuori. Un moderno “ceppone”. Per uno che per 65 anni ha lavorato, ha pagato le tasse, ha tentato di migliorare la società in cui ha vissuto è una magra consolazione.
Essere sopravvissuto a tifoni, uragani, maremoto in Alasca, colera a Napoli, asiatica, brigate rosse, crisi economiche, delinquenza comune e dello Stato è una magra considerazione. Mi sarebbe piaciuto scegliere da solo la conclusione della mia vita. Ma mi si vieta anche l’eutanasia. E’ lo Stato che provvederà pur non avendo saputo assicurarmi le cure per ruberie e scarsa capacità della sua classe dirigente, sia politica che amministrativa. Così va la vita! Ho deciso però di non accettare questo aut aut. Sto chiuso in casa, aggredirò il coronavirus se si presenta e alla faccia di esperti in omicidi di massa, mi difenderò.