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“Speriamo che non tornino più”: una serata con la Shoah

Di Giacomo Retaggio

PROCIDA – La “performance” messa in scena la sera del 27 gennaio, anniversario della Shoah, presso l’ex-chiesa di S. Giacomo, dagli alunni della scuola media “A. Capraro” di Procida va oltre l’esercitazione scolastica per assumere l’aspetto di una vera e propria rappresentazione teatrale. Le fanno assumere tale connotazione la recitazione, la varietà dei testi, le musiche e le danze nonché il sapiente gioco delle luci. Quello della Shoah non è un argomento leggero e deve essere reso con convinzione ed intelligenza altrimenti scade nel banale e nel “deja vu”. Ed è anche e soprattutto un argomento drammatico che deve essere affrontato con la necessaria concentrazione. Condizioni che, sembra a chi scrive, sono state ampiamente realizzate nella rappresentazione. E’ stato uno spettacolo intimo e colto basato principalmente su dialoghi e monologhi tratti da testi ormai consacrati che vanno da B. Brecth, a Primo Levi a E. Wisel. Scelta operata dagli insegnanti Pina De Rubertis, Annalisa Coppola e Paola Scotto di Fasano che hanno dimostrato in ciò preparazione e sensibilità. Molto toccante la scena di “La moglie ebrea”di Brecth in cui una donna, moglie ebrea di un noto medico tedesco, preferisce lasciare la Germania e andarsene in Danimarca perché avverte che il marito troverà ostacoli nella carriera in quanto sposato con un’ebrea e perché ormai lei stessa si sente un’emarginata. La donna preferisce andarsene di propria volontà anziché essere mandata via in un secondo momento. E’ un monologo molto toccante interpretato splendidamente da un’allieva di terza media, una bella ragazza alta e bruna vestita secondo la moda dell’epoca (siamo nel 1935). La serata è stata varia ed articolata, punteggiata dal “Coro di S. Leonardo”che si è esibito in canti accorati della tradizione “yddish” e dalla coppia Tommaso Scotto di Uccio e Alessandra Gentile che ha ballato un tango ebraico. L’atmosfera molto suggestiva, anche per il sapiente gioco di luci, ha raggiunto il culmine quando decine di allievi son entrati dalla strada con delle lampade accese in mano alcuni ed altri con dei primitivi turiboli da cui saliva fumo di incenso. Quasi a significare un rito sacrificale per le migliaia di morti dei campi di sterminio. Occupando tutta la scena ciascuno di questi ragazzi ha recitato un brano di un libro riguardante la Shoah. Dall’interrogativo di Primo Levi se si poteva considerare ancora un uomo un soggetto ridotto nelle condizioni miserande dei campi di sterminio all’urlo di Wisel su dov’era Dio ad Auschwitz. Perché la tragedia maggiore dei lager è stata la perdita dell’umanità dell’uomo e l’assenza percepita di Dio. Wisel si chiede: “Dio dove sei”Poi alza lo sguardo,  vede un bambino ebreo impiccato che, pesando poco, tarda a morire e si risponde:” Forse sei in quel bambino? Allora sei morto anche tu?”Intervallate a queste si sentivano anche le voci aspre e gutturali dei nazisti che impartivano ordini “colme di una rabbia accumulata nei secoli” come scrive Primo Levi. Le note delle melodie ebraiche facevano da contraltare e riempivano l’aria di una musica dolce, struggente e carica di malinconia. Chi scrive, per assistere allo spettacolo, aveva condotto con sé un nipotino, un bambino di dieci anni, allo scopo di fargli capire certe cose. All’uscita il piccolo ha chiesto: “Ma allora, nonno, questi nazisti erano proprio uomini molto cattivi?” “Si, proprio come dici!- ha risposto il nonno – E speriamo che non tornino più…” “Speriamo!” Ha concluso il bambino.

 

 

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