CULTURA & SOCIETA'

Da Rebibbia al vecchio carcere con la musica di Emanuele Belloni

Tra le proiezioni di Matthew Watkins, che ha accompagnato la serata, non è mancato un ricordo a Miro Iacono

Una serata davvero magica quella che ha visto l’apertura, lunedì sera scorso, del tutto sbagliato tour del cantautore italiano Emanuele Belloni. Location il vecchio carcere della Mandra che, dopo il concerto di Marilisa Ungaro, ha aperto le porte a un viaggio in musica nel carcere romano di Rebibbia. Bellissimo l’omaggio a Miro Iacono, il 53 enne scomparso a causa di un brutto male lasciando attonita la comunità ischitana.

Sulle note di Belloni e le proiezioni di Matthew Watkins, che ha accompagnato l’intera serata, la lettura di un ricordo scritto da un grande amico di Miro Iacono, il giornalista Pasquale Raicaldo. “Miro sapeva guardare oltre. Sempre. I piedi piantati per terra, gli occhi – sorridenti – verso la luna e il mare, le nuvole e l’incanto. Dove non c’era, lo sapete tutti, lo immaginava. Rendendoci tutti privilegiati spettatori del suo mondo, che diventava per magia un po’ nostro, come accade con chi è veramente artista. E il suo talento non era soltanto quello di chi sa fotografare e plasmare i suoi scatti assecondando una inesauribile vena creativa. No, il suo talento era soprattutto l’immaginazione.

Miro immaginava l’isola che c’era e quella che non c’era. E lo faceva non per mero esercizio, ma perché realmente appassionato al bello. Ciò che stonava – dagli obbrobri in giro per Ischia all’inciviltà sempre più diffusa – gli dava quel fastidio che noi tutti dovremmo provare, anziché voltare – come spesso facciamo – la faccia dall’altra parte. Il suo fotoritocco era l’accorato appello di un uomo innamorato di Ischia, della natura e dell’incanto al punto. Non sempre lo abbiamo ascoltato”. Tra gli applausi si è svolto un concerto appassionato, emozionante e sentito. Ad accompagnare Belloni Alessandro Papotto (clarinetto, sax e flauto) e Massimo Ventricini (percussioni) che hanno reso musica brani davvero significativi come “Solo cose più buone” scritto insieme a un gruppo di detenuti del carcere di Rebibbia.

“E’ proprio questa l’anima del lavoro: pensare al carcere come quell’ambiente dove il corridoio percorso dal portantino è un viaggio verso il percorso rieducativo che ciascun carcere deve garantire ai suoi detenuti. La detenzione non è la colpa, neppure la pena ma una fase di riflessione che ciascun carcerato affronta come un romantico eroe. La libertà è la presa di coscienza che passa attraverso ciascuno: per il detenuto è commisurata all’entità della colpa e per la società acquisisce il senso di responsabilità che la definisce società civile”.

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