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Storie di gusto e la scoperta della memoria: l’incontro tra cultura e identità nelle Cantine Pietratorcia

di Malinda Sassu
Colpisce sentire Gino Iacono parlare di ritorno alla terra, di valori e tradizioni sull’isola, dell’attenzione verso una viticoltura “sana” che muove dal concetto di terroir, il territorio, in ogni sua sfaccettatura. E colpisce l’amore che porta per le sue origini, la sua umana autenticità quando ti racconta di queste onde di vigna, che dall’alto di Forio rotolano giù verso il mare. In un mondo che va troppo veloce, c’è bisogno di soffermarsi su questi particolari, di riscoprire la bellezza delle cose vere, come un buon bicchiere di vino, simbolo di convivialità e di relazione tra le persone. Un concetto antico adattato in un’azienda moderna, lo scopo era questo, quando nel 1995 le tre famiglie ischitane Iacono, Regine e Verde decisero di restituire all’isola la sua vera identità, quella agricola, lontana dall’’ossessione per l’edilizia e per un turismo d’assalto che, diciamolo pure, non sempre ha procurato grandi ricchezze al territorio. La terra è una risorsa troppo importante, lega territorio e comunità, le relazioni, il recupero di antichi saperi e tradizioni. Non il cemento, è bene ricordarselo. L’elemento trainante delle Cantine Pietratorcia è stato tutto questo, il ritorno alle origini e il rispetto per l’isola, porsi al centro di un discorso che vede la cultura locale al primo posto. Vedi il recupero dell’antica libreria Mattera, un vero e proprio cenacolo dove il vino si lega all’arte, tra libri e vernissage, incontri culturali e mostre. E l’accoglienza tutta ischitana dei proprietari, dalla vendemmia a quella festa del vino nuovo che vede la presenza di amici, parenti e visitatori: le porte aperte alla semplicità e alla gioia di riunirsi tutti insieme a festeggiare una grande fatica, tra i fumi delle caldarroste, canti e balli della tradizione e traboccanti calici di vino.

Tutta l’azienda è infatti un percorso nella tradizione ischitana, a partire dal nome, la pietratorcia, il grosso masso che, grazie a funi e leve, veniva usato tradizionalmente per pigiare l’uva; e poi viticoltura alla greca, uve pigiate nei palmenti e l’esaltazione dell’elemento aromatico, tipico dell’isola. Rosmarino, mirto e alloro circondano le vigne, le cantine di tufo verde del 1700 e le fosse dei conigli; inebriano gli ospiti del bellissimo ristorante, intimo e raccolto sotto uno splendido pergolato d’uva e che vede, da quest’anno, la presenza in cucina di Libera Iovine, la chef stellata dell’ex Melograno. La celebrazione a tavola di un perfetto connubio tra il senso del territorio, nei piatti di questa grande interprete della gastronomia ischitana e i vini della tenuta. Sono quasi dieci gli ettari di terreno in totale, reimpiantati a Biancolella e Forastera, Uva Rilla ma anche Fiano e Greco per i bianchi. Piedirosso, Guarnaccia e Aglianico, e infine Syrah a far compagnia ai rossi.

Ogni impianto è una microzona e come tale viene trattato a sé, nel pieno rispetto delle caratteristiche dell’Isola, vera gemma dalle varietà climatiche importanti. Vigneti che si beano delle lunghe ore di luce al sole di Forio e Serrara Fontana, “coltivati come i nostri nonni ci hanno insegnato” dice Gino, l’anima enologica dell’azienda, formatosi nel prestigioso Istituto di San Michele all’Adige. Dalla tenuta del Cuotto a quella di Vignole, due esempi completamente opposti pur partendo entrambe dalle regine dell’isola Biancolella e Forastera ma coltivate su terreni ed esposizioni differenti; due vini “simbolo” dell’importanza della diversità di ogni parcella, pur se a breve distanza l’una dall’altra. L’Ischia bianco DOC Vigne di Chignole è un blend di Biancolella e Forastera più un tocco di Fiano, quel giusto 10% che serve ad impreziosire l’eleganza di un vino che nasce su 3 ettari e mezzo di terreni molto pendenti, tali da imporre l’utilizzo della monorotaia. Vigneti quasi estremi esposti a ovest e soleggiati, tra parracine e filari strettissimi, affascinanti quanto difficili da lavorare. Da quelle fatiche, il Vigne di Chignole rimane sui suoi lieviti, parte in acciaio e parte in legno per 4 mesi a regalare un vino di corpo, importante nella sua sapidità e di un bel giallo paglierino molto intenso, solare ed intrigante. Carico di profumi floreali di ginestra, di pesca bianca e di erbe mediterranee, spezie dolci e un riconoscibile sentore mentolato che si accompagna ad una nota accennata di fumè. Una bella struttura, morbida e un sapore asciutto, minerale e sapido quanto basta, con un lungo e fresco finale per un ottimo abbinamento con pesci grigliati e fritti, zuppe di pesce e carni bianche. Prezzo a bottiglia di 12 euro circa per un vino che conquista, comunicando sfumature armoniose, equilibrate ed eleganti. Una storia di gusto rievocata a partire dall’elemento più semplice e prezioso, la terra. Nel segno della natura e della mano dell’uomo.

Cantine di Pietratorcia – Via Provinciale Panza – Forio – www.pietratorcia.it

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