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Suicidio assistito, il caso di dj Fabo divide l’isola

«Sono finalmente arrivato in Svizzera. E ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e lo ringrazierò fino alla morte. Grazie Marco. Grazie mille». Sono queste le ultime parole di Fabiano Antoniani, meglio conosciuto come dj Fabo, che lunedì mattina ha deciso di porre fine alla propria esistenza in Svizzera, dove la legge consente di accedere al suicidio assistito. Dopo un incidente stradale avvenuto nell’estate del 2014, il 40enne era diventato cieco e tetraplegico. Una “sentenza” durissima, alla quale Fabo aveva cercato di rispondere tentando la strada della riabilitazione, che purtroppo non ha avuto esiti soddisfacenti. Di qui la decisione più dura, ovvero quella di lasciare la vita e gli affetti più cari per veder finalmente riconosciuto un diritto, quello alla “dolce morte”, ancora troppo osteggiato da alcuni partiti politici e dalla Chiesa, benché in Italia siano molti gli “invisibili” che si recano in territorio elvetico per ottenere una morte dignitosa.

Anche sulla nostra isola il caso Antoniani ha tenuto banco per tutta la giornata di ieri. Tra i commenti spicca quello di Lello Montuori: «Comprensione per il dolore. Silenzio di fronte a chi ha scelto di non vivere più. Dissenso da qualsiasi legge che elevi il suicidio a diritto di libertà. Perché di fronte a un uomo, qualsiasi uomo che vuole uccidersi, credo sia umano cercare di impedirglielo. Perché magari oggi la vita gli è insopportabile. Ma domani? Forse nelle sue condizioni il mio dissenso vale poco. Ma se mai dovessi vedere qualcuno un giorno scavalcare la staccionata di un ponte e buttarsi di sotto, cercherei di legarlo, trattenerlo e curarlo contro la sua volontà. Perché credo sia umano farlo. Non può esistere una legge per aiutare a morire. Perché stabilire il confine oltre il quale la vita non merita di essere vissuta è un atto talmente personale e provvisorio che non può essere indicato in nessuna legge approvata in Parlamento. Credo che i giudizi su questo caso siano fuori luogo. Però se si pretende una legge dello Stato che consenta l’eutanasia, il dibattito non solo è utile ma doveroso. Io ho molti dubbi sulla possibilità di legiferare in materia di fine vita. Non accetto il suicidio assistito mentre sono favorevole all’uso di tutte le sostanze possibili come terapia contro il dolore. Non posso accettare che la scienza medica finisca per essere usata per dare la morte anziché per aiutare i pazienti a vivere».

«Nel dibattito scaturito dalla scelta (che condivido) di Dj Fabo – ha evidenziato Emanuele Verde di Ischia Blog – c’è un terribile non detto: e se uno/a fosse così determinato nel portare avanti la sua volontà suicidaria da addurre certificati medici falsi? Forse è già successo. È la vicenda del magistrato calabrese Pietro D’Amico che nel 2013 si rivolse alla clinica Dignitas di Basilea adducendo, appunto, l’afflizione di una grave malattia successivamente esclusa dall’esame autoptico. Fatale errore medico? Oppure c’è stata la complicità di qualcuno nel confezionare un referto che legittimasse la scelta? Ovviamente non sono in grado di dirlo, anche perché dopo l’iniziale clamore mediatico la notizia è scomparsa dai radar giornalistici. Tuttavia in entrambi i casi (errore medico o altro) si aprono gigantesche questioni etiche di fronte alle quali sarebbe preferibile maggiore cautela prima di schierarsi a mo’ di tifo calcistico come invece sempre più spesso accade. Ultimo inciso: quello di cui stiamo discutendo è il suicidio assistito. Anche se in Italia avessimo una legge su eutanasia e testamento biologico (necessaria dopo la vicenda di Eluana Englaro), Dj Fabo in ogni caso avrebbe dovuto rivolgersi alla Svizzera. Perciò, anche qui, sforziamoci di essere un po’ più rigorosi».

Sulla vicenda è intervenuto anche Peppino Maresca: «Sono molto combattuto sulla questione e sono persuaso che passerà molta acqua sotto i ponti prima che venga deciso qualcosa al riguardo. Basti pensare che, ad oggi, e la questione mi riguarda da vicino, ancora non è stata varata una legge seria sulle donazioni e sui trapianti d’organo. E qui si parla di vita oltre la morte». Michele Iacono ha commentato: «Secondo me la legge va fatta, le questioni etiche non devono diventare elucubrazioni mentali e la religione deve starne fuori perché lo stato è laico. Per quanto riguarda il caso citato lo vedo un “rischio accettabile” in quanto è un caso limite e se si fosse buttato giù dal balcone o se si fosse sparato un colpo alla tempia non ci avrebbe potuto fare niente chiunque. Io credo che sia giusto avere la possibilità di scegliere. Tutt’altro ragionamento se la decisione dovesse prenderla qualcun altro al mio posto».

Della morte di dj Fabo ha parlato anche l’avvocato Alfredo Baggio, che sul proprio profilo Facebook ha scritto: «Ma siamo pazzi? Eutanasia, non eutanasia, si deve ammazzare, lo ammazziamo, è giusto, non è giusto, la morale, la fede, Dio, i santi, il cielo, la terra, il sole, la luna: che cosa dite? Fabo si è voluto uccidere perché non ce la faceva più. Era stanco di vivere, di soffrire, di attendere la morte. Giusto o non giusto ha deciso, di sua volontà, di uccidersi, e dobbiamo rispettarlo per la sua scelta. Al tempo stesso, dobbiamo condannare lo Stato che non lo ha aiutato. Non si può negare e annullare la volontà di un individuo, non si può non comprendere la brutalità del destino che ha voluto colpirlo, non possiamo giudicare né parlare di diritto, di obbligo e altre stupidaggini pur di metterci in mostra. Qui la retorica, lo scrivere forbito, l’idea singolare e tante altre fesserie dobbiamo buttarle nell’immondizia. Dobbiamo solo dire “Padreterno mio fammi vivere in salute, e quando decidi che devo andarmene aiutami e non farmi soffrire”». Infine, tra i vari post e commenti apparsi sul social di Mark Zuckerberg, c’è anche quello di Luisa Di Meglio, che ha affermato: «Sono scelte personali. Ho visto chi si è battuto fino alla fine, attaccato all’ultimo filo di vita e chi, potendo, sarebbe andato in Svizzera e ha pregato per anni noi che gli stavamo accanto e fino al suo ultimo giorno per un aiuto nell’ultimo atto».

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FOCUS: LA LEGISLAZIONE SULL’EUTANASIA IN ITALIA

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Il suicidio e il tentato suicidio non sono reato. L’eutanasia attiva è assimilabile, in generale, all’omicidio volontario (art. 575 codice penale). In caso di consenso del malato si configura la fattispecie prevista dall’art. 579 c.p. (Omicidio del consenziente), punito con reclusione da 6 a 15 anni. Anche il suicidio assistito è un reato, giusta art. 580 c.p. (Istigazione o aiuto al suicidio), punito con reclusione da 5 a 12 anni, anche per condotta omissiva rispetto ad obblighi di legge. Seguendo la sentenza Cass. Civile Sez. I n. 21748/07, il giudice, su richiesta del tutore legale e sentito un curatore speciale, può autorizzare la disattivazione dei presidi sanitari che tengano artificialmente in vita un paziente ormai in stato vegetativo (nel caso di specie, con sondino naso-gastrico), «di cui sia accertata l’irreversibilità secondo standard internazionali, e che […] questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento» (non è richiesto che si sia espresso esplicitamente contro, ma che sia ricostruibile anche indirettamente la sua volontà contraria), pur tuttavia il «non consenso deve manifestarsi nella sua più ampia, espressa e consapevole forma» (Cass. civile, sez. III n. 23676/ 2008).

Francesco Castaldi

 

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