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Svolta housing sociale, revocata una demolzione

L’ordinanza per certi versi storica e rivoluzionaria è stata depositata dal giudice del Tribunale di Napoli Federico Somma, che ha accolto il ricorso degli avvocati Bruno Molinaro e Ivan Colella. E adesso…

È un’ordinanza storica e, per certi versi, rivoluzionaria quella depositata pochi giorni fa dal Giudice della Esecuzione del Tribunale di Napoli Federico Somma, già apprezzato Giudice Monocratico presso la Sezione Distaccata di Ischia. Accogliendo il ricorso degli avvocati Bruno Molinaro e Ivan Colella, rispettivamente difensori della parte privata e del Comune interessato, il Giudice Somma ha addirittura revocato e non semplicemente sospeso la demolizione di un immobile acquisito al patrimonio del Comune per finalità di social housing,ai sensi della legge regionale n. 5 del 2013 (c.d. legge Caldoro), facendo puntuale applicazione della recente legge nazionale n. 5 del 2022,che ha previsto la possibilità di rendere commerciabili,nell’ambito delle misure del c.d. P.N.R.R., gli immobili divenuti di proprietà degli enti pubblici e, dunque, anche di quelli abusivi acquisiti al patrimonio comunale. Secondo il giudicante, tale normativa sopravvenuta, ripetutamente invocata durante la discussione dagli avvocati Molinaro e Colella che hanno anche richiamato un precedente della Corte di Appello di Napoli del 2022 relativo al Comune di Vico Equense, ha praticamente consentito di superare gli effetti negativi della nota sentenza della Corte costituzionale n. 140 del 2018 (che aveva dichiarato illegittima la legge regionale in materia di “housing sociale” voluta dall’attuale Governatore DeLuca), secondo cui “l’esito normale della acquisizione è la demolizione“. Il Giudice Somma, nella propria ordinanza,ha anche dato atto che nelle more la stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 7 del 27 gennaio 2023, ha mantenuto ferma la validità ed efficacia della legge “Caldoro” pur sempre in materia di housing sociale (art. 1, comma 65, della legge regionale n. 5/2013), dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata, in relazione a tale legge, dalla Corte di Appello di Napoli, Sez. V, con ordinanza del 24 febbraio 2020.

Ivan Colella

La motivazione addotta sul puntoè la seguente. “Quanto poi ai profili di legittimità costituzionale della richiamata normativa regionale, di fatto non affrontati nel merito dalla Consulta nella recente pronuncia innanzi richiamata, non può trascurarsi l’impatto derivante su tale valutazione (ineffetti caratterizzata da non trascurabili elementi di criticità, in relazione in particolare alla possibilità di derogare attraverso le indicate procedure, anche solo indirettamente, agli assetti territoriali previsti dalle vigenti pianificazioni territoriali) dall’entrata in vigore della leggen.25/2022 (di conversione d.L.n.4/22) riguardante proprio l’accresciuta possibilità di dare diversa destinazione agli immobili acquisiti al patrimonio comunale(art.5-bis, parzialmente sostitutivo dell’art.11-quinquies del d.L.n.203/2005, convertito con modificazioni dalla L.n.248/2005), laddove appunto i margini operativi degli Enti locali paiono essersi oltremodo ampliati in senso conforme alla prospettazione difensiva, erodendo i margini operativi della valutazione di competenza del giudice ordinario ai fini di un’eventuale disapplicazione per conclamata illegittimità degli atti amministrativi per così direconservativi”.

Il provvedimento di revoca, per come motivato, è effettivamente di grande impatto e dovrebbe ulteriormente sensibilizzare soprattutto il Governo e il Parlamento sia perché il tema dell’housing sociale è di notevole rilevanza sociale sia perché interviene dopo che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 140 del 2018, ha stabilito, come sopra ricordato, che conseguenza pressoché ineluttabile dell’acquisizione di un immobile al patrimonio comunale è la sua demolizione, non già la sua conservazione, costituente, nell’attuale sistema, “fatto del tutto eccezionale”: ciò ovviamente pur tenendo conto della esistenza, nel Testo Unico dell’Edilizia, della disposizione dell’art. 31, comma 5, la quale prevede che “l’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici e ambientali”.

Vi è anche da dire che, nel dibattito politico e giurisprudenziale, è ormai riconosciuto, sia pure con le dovute precisazioni in relazione agli effetti della acquisizione sulla demolizione giudiziale (c.d. RE.S.A.), che la destinazione di un immobile ad edilizia residenziale sociale è senz’altro riconducibile ad una attività di natura pubblicistica, ricompresa nella nozione di “servizio pubblico locale rivolto alla produzione di beni e utilità per obiettive esigenze sociali”, tale intendendosi, appunto, secondo il linguaggio dell’Unione europea (artt. 16 e 86 del Trattato FUE), un servizio di interesse economico generale che viene a svolgere una funzione essenziale nell’ambito della costituzione economica di tutti i Paesi membri, rivolto all’utenza e capace di soddisfare interessi collettivi, garantendo una redditività. Il social housing si presenta, in buona sostanza, come una modalità d’intervento nella quale gli aspetti immobiliari vengono studiati in funzione dei contenuti sociali, offrendo una molteplicità di risposte per le diverse tipologie di bisogni, dove il contenuto sociale è prevalentemente rappresentato dall’accesso a una casa dignitosa per coloro che non riescono a sostenere i prezzi di mercato, ma anche da una specifica attenzione alla qualità dell’abitare. È proprio in questo contesto socio-economico che ha trovato collocazione in Campania la citata legge regionale n. 5 del 2013, la quale, all’articolo 1, comma 65, si propone, appunto, di “favorire il raggiungimento degli obiettivi di cui all’articolo 7 della legge regionale 28/12/2009, n. 19 (…)” mediante il recupero e l’utilizzo “degli immobili acquisiti al patrimonio dei comuni quali alloggi di edilizia residenziale pubblica e di edilizia residenziale sociale, in base alla legge 22/10/1971, n. 865”.

Non va dimenticato, poi, che il Consiglio di Stato, con una sentenza del 2017, haritenuto legittima la scelta “conservativa” della acquisizione, seppure con specifico riferimento all’articolo 31, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001, definendo tale norma quale “strumento sostanziale di redenzione della colpa. Ciò perché: “L’art. 31, comma 5, a chiusura di un articolato sistema sanzionatorio suscettibile di operare a fronte di edificazioni non legittime e non altrimenti recuperabili alla legittimità a favore dei privati – offre palesemente una via di uscita (consentendo, di fatto, alla mano pubblica ciò che non è permesso alla parte privata) rispetto alla soluzione finale della demolizione dell’edificazione abusiva, permettendo che – questa volta in mano pubblica – l’edificazione non legittima resti pur sempre in situ (…). In un ordinamento nel quale la non consumazione del territorio, specie mediante edificazioni non legittime, costituisse valore assoluto, o, quanto meno, di grado sufficientemente elevato, quella norma non avrebbe motivo di essere, posto che allora la reintegrazione del territorio – mediante eliminazione di quanto l’ha non correttamente consumato – dovrebbe da esso essere pretesa senza eccezioni per alcuno. Non così nel nostro, all’evidenza, dove invece quella norma funge da strumento di sostanziale redenzione della colpa (costituita dall’avvenuta edificazione non legittima), con l’unica attenuante data dal fatto che il perdono (a livello sostanziale ed oggettivo) non si risolva in vantaggio del singolo, autore della colpa, bensì dell’intera collettività”.

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Questo è lo stato dell”arte all’attualità. L’ordinanza del Giudice Somma rapppresenta indubbiamente un passo avanti, una importante novità in una materia così delicata. Vedremo se il Parlamento farà, in futuro, maggiore chiarezza sul tema, come da tutti auspicato, al fine di mettere, una volta per tutte, un punto fermoal dramma delle demolizioni senza criterio e a macchia di leopardo. Il vantaggio certo per la collettività rappresenterà, in tal caso, il giusto contrappeso, ovvero il prezzo per l’abuso commesso dal contravventore e, in definitiva, per quest’ultimo, lo strumento finale di redenzione della colpa.

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