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Fu arrestato con droga e armi in casa, algerino ai domiciliari

ISCHIA. È stato posto agli arresti domiciliari l’algerino Bouzid Hamza, arrestato alcuni mesi fa a Casamicciola. Nonostante il parere negativo del pubblico ministero Giugni, il Giudice per le indagini preliminari, dottor Battinieri, ha accolto l’istanza della difesa, sostenuta dall’avvocato Michele Calise, disponendo il provvedimento di scarcerazione nel pomeriggio di ieri. Adesso l’indagato si trova in un’abitazione a Forio, grazie all’alleviamento della misura cautelare. Come alcuni ricorderanno, i carabinieri della Stazione di Casamicciola, unitamente a personale del Nucleo Radiomobile, avevano tratto in arresto il 32enne di origine nordafricana, con l’accusa di detenzione di arma da fuoco e munizioni, ricettazioni, detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente di tipo cocaina e hashish e maltrattamenti in famiglia. I militari dell’Arma erano intervenuti di sera per sedare una lite in famiglia, avvertiti dalla convivente dell’indagato. Secondo le dichiarazioni della donna, era in atto l’ennesimo episodio di maltrattamenti che la vedevano vittima di Bouzid. Tuttavia, l’intervento dei militari cambiava la prospettiva dell’operazione, al punto da richiedere l’arrivo di altre volanti per portare a termine la perquisizione dell’appartamento di Perrone abitato dalla coppia. Gli uomini guidati dal capitano Mitrione rinvennero dapprima la presenza di sostanze stupefacenti, consistenti in 23 grammi di hashish, 20 di cocaina, con annesso bilancino di precisione, ma anche e soprattutto un’arma con matricola abrasa: si trattava di una pistola calibro 22 e oltre quaranta munizioni.
Il provvedimento di scarcerazione è maturato in seguito all’istanza prodotta dall’avvocato Michele Calise il quale, nel richiedere la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, aveva depositato le dichiarazioni spontanee dell’indagato, con ammissione dell’addebito, e l’attestazione di disponibilità di un nuovo domicilio dove poter scontare l’eventuale nuova misura.
La strategia difensiva ha puntato soprattutto sulla derubricazione del reato nella fattispecie prevista dal comma 5 dell’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti (Dpr 309/1990). Secondo l’avvocato Calise, gli elementi raccolti non possono ritenersi alla base di un’incolpazione per il reato più grave sanzionato dal comma 1 dello stesso articolo, “non potendosi a tal fine ritenere ostativa l’eterogeneità della sostanza detenuta”. A conferma di tale asserzione è stata citata la recente sentenza n. 51063 del 27/09/2018, depositata il 9/11/2018, della Corte di Cassazione – Sezioni Unite Penali – con la quale è stato affermato che “la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in quanto è necessario procedere ad una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla suddetta disposizione al fine di determinare la lieve entità del fatto”. Nello stesso verdetto i giudici hanno anche aggiunto che “la detenzione nel medesimo contesto di sostanze stupefacenti tabellarmente eterogenee, qualificabile nel suo complesso come fatto di lieve entità, integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro”. L’assenza di elementi di particolare gravità fa ricomprendere l’episodio in quello che la giurisprudenza di legittimità colloca sul gradino inferiore della scala dell’offensività e compatibile con la detenzione di dosi di droga conteggiabili a decine. Come si legge nell’articolata istanza, si tratta di quel tipo di attività che, al di là del quantitativo contestualmente detenuto, è suscettibile di qualificazione meno grave, potendosi ipotizzare che il soggetto non disponga di fonti di approvvigionamento certe e stabili o comunque sia in grado di rifornire un vasto mercato. Anche in tal caso viene citata una rilevante sentenza, la n. 11994 del 15/12/2017 della VI Sezione Penale della Corte di Cassazione, che opera una dettagliata descrizione delle ipotesi di lieve entità, partendo dal presupposto che la rimodulazione dell’art. 73 d.P.R. ha determinato un significativo squilibrio sanzionatorio tra la pena base minima prevista dall’art. 73, comma 1, d.P.R. 309 del 1990, e la pena edittale massima dell’ipotesi minore – divaricazione che la stessa Corte costituzionale ha reputato anomala (Corte cost. n. 179 del 2017) – e afferma il principio della valorizzazione della fattispecie minore per evitare sanzioni anomale e foriere di potenziali squilibri. La citata sentenza evidenzia come “l’offensività della condotta vada correlata anche alla concreta capacità di azione del soggetto agente in rapporto alla rete che opera alle sue spalle e/o in relazione alle modalità utilizzate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine”. Elementi da prendere in considerazione – viene affermato – sono “la disponibilità di un assetto organizzativo complesso o l’utilizzo di peculiari e studiate modalità per agire sfuggendo all’ordinaria azione preventiva, soprattutto quando tali modalità coinvolgano il contributo di più soggetti o implichino il ricorso a strumenti particolari, per l’occultamento o la movimentazione della droga”. In tal modo, viene inquadrata nelle ipotesi più gravi tra quelle sanzionate dall’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 quella di gestione di una cosiddetta piazza di spaccio, ipotesi del tutto diversa da quella contestabile all’indagato, più correttamente qualificabile in concreto tra le ipotesi di cui al comma 5 del medesimo articolo, sia per la quantità e qualità dello stupefacente, che per i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione. Inoltre, la disponibilità di un nuovo domicilio è un elemento che con tutta probabilità ha avuto altrettanto peso nell’argomentazione difensiva e nel corrispondente accoglimento da parte del Gip dell’istanza di scarcerazione.

Francesco Ferrandino

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