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Premio Ischia: il genocidio raccontato dalla giovane fotoreporter Zina Hamu

di Isabella Puca

foto Luigi Irace

Ischia – Con le sue foto ha raccontato il genocidio di un intero popolo, è Zina Hamu, 22 anni, appartenente alla comunità Yazida (una minoranza etnica del nord Kurdistan iracheno). A lei è stato assegnato il Premio Ischia internazionale di giornalismo per i diritti umani, per aver  testimoniato il dramma di un popolo  perseguitato dall’Isis. E’ con la sua storia di coraggio e di emancipazione che è cominciata la 34°edizione del Premio Ischia, un esempio non solo per chi svolge già questo mestiere, ma anche per chi ha tutto il futuro davanti come i giovani del liceo statale a Ischia presenti in sala per alcune ore di alternanza scuola lavoro. «Quattro anni fa – racconta Zina tradotta simultaneamente dall’ischitana Juliana De Angelis –  la mia vita era più semplice; sognavo di diventare medico. A 18 anni sono successe due cose che mi hanno segnata: è morto mio padre e appena una settimana dopo quelli dell’Isis hanno preso possesso dell’intera regione. Il popolo Yazida ha vissuto molti episodi brutti, ma questo  è senza dubbio il più drammatico di tutti. Ricordo – continua Yazida – che ero a letto e sentivo urla, spari; mia madre ci ha svegliati e ci ha chiesto di scappare via subito. Siamo fuggiti, l’Isis sparava a vista e a più a rischio erano donne e bambini. Ho visto cose inenarrabili». Nei suoi ricordi anche quello di una donna in lacrime perché sua figlia era stata catturata, «abbiamo camminato tra le montagne per giorni tra la paura dell’Isis e la paura di morire di sete. Ad agosto del 2014 abbiamo trovato un sentiero che ci sembrava sicuro per avvicinarci al campo profughi a confine con la Siria. Lì ci siamo accorti che della nostra comunità ne erano rimasti pochi, l’Isis stava compiendo un genocidio per cancellare il nostro popolo. Molte ragazze venivano prima catturate e poi vendute, i ragazzi venivano arruolati a forza nell’ esercito». Momenti senza speranza, di buio, momenti senza voce che hanno aperto però a una grande possibilità che Zina ha condiviso con otto ragazze che, con lei, hanno partecipato a un progetto di  fotogiornalismo promosso dall’Unicef (Photographic tecnicques to empower Yazidi girl) che le ha permesso di diventare portavoce della sofferenza di un intero popolo. Un progetto coordinato dalla giornalista curda Shayla Hessami che insieme a Zima Hamu ha risposto alle domande del direttore dell’ANSA, Luigi Contu. «Quando ero nel campo con l’Unicef mi era stata indicata una donna tornata indietro dall’ inferno. Era esausta, aveva visto tutte le facce della guerra; violenza, fame, sete, genocidio e pulizia etnica. Ho deciso di avvicinarmi alla sua tenda e chiederle di raccontarmi la sua storia, ma non volle parlare con me perché ero una giornalista. Diceva di noi che arriviamo dal nulla, scriviamo articoli tradotti in tutte le lingue ma l’essenza degli eventi nessuno li comprende. Per noi è come se fossimo morti. L‘idea di questo progetto è nata da questa donna di cui non conosco nulla; per far nascere nuove giornaliste come Zina e portare il loro messaggio al mondo». A dare grande aiuto è stato l’Unicef che sin da subito ha accolto questo progetto che, orientato a lungo termine, ha bisogno di appoggio e sostegno per continuare a far sentire le voci delle ragazze profughe.  «Il nostro lavoro con Zina – ha continuato Shayla – è appena iniziato; lei è oggi punto di riferimento per i giovani e ambasciatrice delle donne nelle zone di conflitto». Il racconto è poi tornato nelle mani di Zina che ha sottolineato come il lavoro di giornalista l’abbia aiutata a sopravvivere agli orrori della guerra, testimoniando quel genocidio della sua gente che è tutt’ora in atto. Nelle sue foto ha fermato nel tempo la vita nel campo profughi, il lavoro minorile, ma anche le tradizioni, come il capodanno Yazida, rituali che il popolo ha mandato avanti nonostante il genocidio. «All’ inizio le donne facevano resistenza, poi quando ho chiarito che volevo raccontare il loro punto di vista sono state più disponibili. Abbiamo suscitato curiosità di molte giovani». L’approccio di queste giovani fotoreporter è stato graduale; hanno iniziato a posare l’obiettivo sugli occhi, sulle mani. Il tema della violenza subita è stato trattato solo alla fine.  La testimonianza  di Zina ha catturato l’attenzione di tutti i presenti in sala, tra questi i giovani liceali. Qualcuno le domanda senza timore se, ora che è in Europa, si sente più sicura, «si – ha risposto loro Zina – ma cuore e pensieri sono verso la mia comunità. Oggi sono grata di aver avuto questa opportunità di crescita e condivisione».

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