LE OPINIONI

«Caffè Scorretto» «Dall’informe a una nuova forma»

È proprio vero che il tempo e la storia ti sorprendono sempre. In questo momento d’incertezza, dovuto al coronavirus anche a Ischia, si sta diffondendo un tendenziale realismo. Riflessioni sulla società, sul sistema economico e turistico, sulla situazione precaria dell’Ospedale Rizzoli e chi più ne ha, beh, ci metta il suo carico da 100. Cose che, invece, nel recente passato e fino a quando non sono state messe in discussione molti hanno dato per certe. Tutto era quasi un dogma intoccabile.

Per esempio non si poteva parlare della scarsità delle risorse dell’unico ospedale che, come in tutta Italia per gli altri, ha subito i tagli alla Sanità e chi si fosse permesso di metterle in discussione finiva alla gogna. Figurarsi avviare ogni tipo di confronto sulla messa in opera, in modo adeguato, d’interventi che ne potessero aumentare non tanto la capacità ricettiva – per esempio con l’aumento di posti – ma quella qualitativa sui servizi e sulla gestione delle risorse. O più in generale, al modo di ripensare un’isola poi non tanto lontana dal mondo. Il vortice dell’indifferenza, consolidata nel tempo e nel DNA, ci ha fatto entrare in una dimensione amorfa, falsa. Ischia, si è adagiata al disinteresse e l’ha elevato a realtà.

Lo abbiamo tradotto nelle sue molteplici forme. Tra abitanti, dello stesso comune e tra zone limitrofe, tra la realtà esistente, quindi data e scontata e con molti aspetti illusori, e quella che avremmo potuto ottenere. Si è subdolamente inserito il distacco che ha determinato lo scollamento tra la gente e il luogo. Invece che tutelarlo ognuno per proprio conto abbiamo continuato a sperare che qualcuno lo facesse per noi, senza interessarci di come lo facesse: tranne che nei casi spinti da un individualismo sfrenato. Ciò che accade potrebbe essere una grande occasione. Smettiamola di guardarla come fosse la fine del mondo per Ischia o per l’Italia stessa, come l’ha chiamata chi si lascia continuamente pervadere dal senso di catastrofe ammantato da stampi apocalittici.

Se proprio vogliamo parlare di “Apocalisse”, allora scendiamo nel suo significato, cerchiamo di imparare a farlo e studiare nuovi modi. Pensarci, almeno. Dal greco Apokálypsis significa gettare via ciò che copre, togliere il velo, scoprire. E oggi, dato il momento particolare di emergenza, tutti noi stiamo scoprendo molto. Che l’Italia, e Ischia, non ha un Servizio Sanitario Nazionale – il quarto al mondo – capace di fronteggiare uno scenario che mai, ne eravamo certi, sarebbe potuto accadere. Che l’Italia, e ancora una volta Ischia, pure avendo una struttura stabile e democratica, manca tuttavia di sostanza, di umanità, di uomini in grado di sostenere e governare il senso di comunità. Che l’Italia, e quindi Ischia, ha preferito percorrere la strada dell’incompetenza nei ruoli pubblici e si è accontentata dell’esistente.

Da qualche giorno è stata avviata una campagna per recuperare fondi da destinare all’ospedale perché ci siamo accorti che l’attuale in dotazione è scarso per fronteggiare la necessità. E questo, forse, potrebbe essere il motore per pensare e ripensarsi, con effetti più ampi ed estesi perciò anche in altri settori. Stiamo imparando, a nostre spese, e il momento ci mette davanti ad una possibilità, che anche prima eravamo in un tempo di emergenza e per abbandonarlo oggi è più che mai indispensabile il confronto e la pianificazione. Non è certo che ciò accada, o succederà. Forse, l’unica certezza resta il dubbio. Che questo sistema – isolano, e isolato – così come lo abbiamo costruito abbia, di fatto, bisogno di più attenzione e pianificazione per potersi sostenere. E forse anche noi ne avremmo bisogno per smettere di darci un tono e, perché no, passare a una forma, nuova, con più sostanza.

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