CULTURA & SOCIETA'

Il fascino della poesia di Giovanni Pascoli sulle ciaramelle

“LE CIARAMELLE” di Giovanni Pascoli Udii tra il sonno le ciaramelle, ho udito un suono di ninne nanne. Ci sono in cielo tutte le stelle,ci sono i lumi nelle capanne. Sono venute dai monti oscuri e ciaramelle senza dir niente; hanno destata ne’ suoi tuguri tutta la buona povera gente./ Ognuno è sorto dal suo giaciglio; accende il lume sotto la trave;di cauti passi, di voce grave./ Le pie lucerne brillano intorno, là nella casa, qua su la siepe: sembra la terra, prima di giorno, un piccoletto grande presepe. / Nel cielo azzurro tutte le stelle ed ecco alzare le ciaramelle / suono di chiesa, suono di chiostro, suono di casa, suono di culla, suono di mamma, suono del nostro dolce e passato pianger di nulla./ O ciaramelle degli anni primi, d’avanti il giorno, d’avanti il vero, or che le stelle son là sublimi, conscie del nostro breve mistero; / che non ancora si pensa al pane,che non ancora s’accende il fuoco; prima del grido delle campane fateci dunque piangere un poco./ Non più di nulla, sì di qualcosa, di tante cose! Ma il cuor lo vuole, quel pianto grande che poi riposa, quel gran dolore che poi non duole; / sopra le nuove pene sue vere vuol quei singulti senza ragione: sul suo martòro, sul suo piacere, vuol quelle antiche lagrime buone!

A fine di novembre, precisamente il 29 (oggi), per la novena dell’Immacolata, li sentivamo arrivare da lontano, gli attesi zampognari. Poi tornavano per la Novena del Bambino che iniziava il 16 dicembre. Nell’aria si sentivano gli inconfondibili suoni dei loro antichi e rudimentali strumenti: la zampogna e la ciaramella. Con la zampogna poggiata sulla spalla destra fatta dal sacco di pelle di ovino, la ciaramella e le canne di ciliegio ed ulivo, le ciocie come le “falanghe” per tirare i gozzi, i gambali di pecora sorretti da strisce di pelli che tenevano i pantaloni alla zuava, la camicia pesante di flanella a quadrettoni, (arrivata in qualche pacco di parenti emigrati in America, in Canada e Australia), il mantello a ruota, il cappello nero poggiato in modo sbilenco sulla zampogna, la bisaccia sulle spalle, a noi bambini ci incuriosivano e nello stesso tempo ci intimorivano, ma li seguivamo durante il loro faticoso percorso serale di casa in casa da edicola ad edicola. I nostri zampognari non venivano dalle montagne dell’Abruzzo ma dallo Ciociaria, durante il periodo natalizio andavano da famiglie in famiglie e si accontentavano di frugali pasti presso la trattoria Di Massa “Da Nina” nei pressi del seminario. Le loro novene non sempre venivano retribuite con denaro spendibile, era un’attività occasionale, ma antica, sufficiente a superare l’inverno per gente, che con la pastorizia non riusciva a sbarcare il lunario. Alla fine delle due novene (Immacolata e Bambino) nella loro bisaccia andava a finire di tutto, salumi, pane, legumi, fichi secchi, dolci di Natale e i in un bottiglione un miscuglio di liquori (rosorio) di ogni gusto e colore. Nel loro portafoglio finivano poche lire a volte pattuite per la novena dell’Immacolata prima, e al presepe poi, per l’intera novena. Nostra madre Antonietta, cattolicissima osservante e grande tradizionalista, pattuiva con lo zampognaro più anziano (don Vincenzo) il compenso per le due novene ma anche l’ora in cui dovevano essere eseguite; non la mattina, perché eravamo a scuola, né la sera tardi perché, lei ci diceva, “arrivano sempre avvinazzati e che novena al povero Gesù poteva venir fuori?” Nostro padre Giovanni dopo tanto lavoro, completava il suo presepe per il giorno 16, inizio della novena a Gesù Bambino. Il presepe veniva impreziosito con la collocazione di pecore di lana e pastori di ottima fattura comperati negli anni 20 in Egitto
. Alla fine del contratto verbale con gli zampognari della nostra infanzia, avveniva la consegna delle “cucchiarelle” di legno, che gli zampognari erano soliti intagliare e modellare con il coltellino personale durante il loro tempo trascorso a guarda del proprio gregge. Le “cucchiarelle” venivano usate durante la preparazione per girare e rigirare il ragù e di rado,per la cottura della polenta ( non troppo di casa nella nostra isola). Gli zampognari per tutti i ragazzi degli anni 50 e 60 hanno rappresentato il Natale, all’imbrunire a flotte li seguivamo di casa in casa “dalle Chiazze alla Pozzolana” finchè non scomparivano nei meandri delle zone di Casalauro, quando ormai era notte inoltrata. Ancora oggi abbiamo cercato di mantenere la tradizione, mentre mia madre li faceva suonare di sera per motivi scolastici, oggi – per gli stessi motivi di allora- vengono di buon mattino, così tutta la famiglia – comprese le nipotine (quando ci sono) – è presente. Purtroppo gli zampognari moderni arrivano “in jeans e magliette” – i tempi sono cambiati – ma per fortuna ancora oggi nelle nostre contrade ischitane si ascoltano e si diffondono nell’aria i suoni delle zampogne e delle ciaramelle, mentre negli altri paesi italiani sono del tutto scomparsi. Questo era ed è l’essenza ed il fascino del Santo Natale che stiamo aspettando. Grazie cari zampognari!

                                                                                         michelelubrano@yahoo.it                       

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