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Dagli scavi di Santa Restituta al MANN: i tesori di Ischia alla mostra-evento sui Longobardi

Gianluca Castagna | Lacco Ameno – Un centro produttivo e artigianale di grandissima qualità. Capace di aprirsi al dialogo, creativo e culturale, con l’esterno. Una realtà che non si era esaurita nella luminosissima esperienza ellenica e romana, ma che anche in epoca bizantina riusciva a stupire per creatività, esperienza, gusto, originalità.
L’affascinante storia archeologica dell’isola d’Ischia non smette di svelare i suoi tesori e incantare i visitatori di tutto il mondo malgrado la cronica penuria di finanziamenti (o inerzia politica) che davvero permetterebbero il rilancio di un settore capitale per il turismo culturale dell’intero Paese.
L’archeologia dell’isola d’Ischia è dunque ancora viva, se i suoi tesori continuano a essere catalogati, studiati, esposti nei musei più prestigiosi al mondo e inseriti in mostre che ne sottolineano il valore e l’importanza.

Come quella sui Longobardi in Italia, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli fino al 25 marzo (dopo volerà a San Pietroburgo, all’Ermitage). Curata da Gian Pietro Brogiolo e Federico Marazzi con Ermanno Arslan, Carlo Bertelli, Caterina Giostra, Saverio Lomartire e Fabio Pagano, la mostra-evento consente di dare una visione complessiva e di ampio respiro (dalla metà del VI secolo, dalla presenza gotica in Italia, alla fine del I millennio) del ruolo, dell’identità, delle strategie, della cultura e dell’eredità del popolo longobardo che nel 568 d.C., guidato da Alboino, varcò le Alpi Giulie e iniziò la sua espansione sul suolo italiano.
Una terra divenuta crocevia strategico tra Occidente e Oriente, un tempo cuore dell’Impero Romano e ora sede della Cristianità, ponte tra Mediterraneo e Nord Europa. “Longobardi. Un popolo che cambia la storia” ricostruisce dunque le grandi sfide economiche e sociali affrontate dai Longobardi e riflette sulle relazioni e sulle mediazioni culturali che dominarono quei secoli di guerre e scontri, alleanze strategiche e grandi personalità.
A quel tempo Napoli e Ischia erano bizantine. Libere dal dominio, all’inizio assai gravoso, delle popolazioni longobarde. Diventarono tuttavia punti di riferimento economico, commerciale e culturale del Ducato di Benevento e degli altri territori, favorendo scambi, relazioni e influenze. Questo spiega la presenza, all’interno della mostra, di reperti provenienti da Lacco Ameno. In particolare dal Museo Diocesano degli Scavi di Santa Restituta, polo archeologico nato grazie alla passione e alla tenacia di don Pietro Monti, che ha letteralmente scoperto la storia altomedievale dell’isola ed è stato rettore per decenni del Santuario dedicato al culto della martire di Cartagine e patrona d’Ischia.
Da questo eccezionale giacimento (mai completamente valorizzato), un segmento tutto ischitano viene oggi ammirato da migliaia di visitatori e inserito nella mostra grazie alla disponibilità del vescovo di Ischia Mons. Pietro Lagnese, dell’attuale rettore del museo D.Emanuel Monte e della dott.ssa Costanza Gialanella, diretto.re archeologo presso la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici degli uffici di Pozzuoli e di Ischia.
Ma anche grazie all’intuizione, al lavoro e alla perseveranza con cui due archeologhe ischitane, la dott.ssa Maria Lauro e la dott.ssa Mariangela Catuogno, hanno voluto fortemente questa collaborazione, seguendo di persona il progetto in fase di preparazione, organizzazione e redazione delle schede inserite nell’importante catalogo dedicato all’evento.

«Federico Marazzi, uno dei curatori della mostra, aveva in passato studiato i reperti di Santa Restituta», racconta la dott.ssa Catuogno. «Se ne ricordava e ci ha contattato per un sopralluogo. Individuati i pezzi ed espletate le pratiche burocratiche, è stato possibile prestarle. Quella sui Longobardi in Italia è una mostra importante, di carattere internazionale. L’opportunità di esporre reperti ischitani nel mondo è altamente prestigiosa, una freccia al nostro arco per dimostrare, ancora una volta, che il ruolo significativo dell’isola d’Ischia non si limita al periodo greco ma abbraccia un arco cronologico millenario. Ischia non è stata longobarda, ma bizantina. Nel dialogo incessante che i bizantini hanno con i longobardi, però, si inserisce la manifattura e la produzione ischitana. Nei reperti esposti al Mann, che a marzo andranno a San Pietroburgo, ci sono esemplari ceramici provenienti solo da due aree: San Vincenzo al Volturno e Ischia. Non è un caso: da un lato, la produzione longobarda espressa a San Vincenzo; dall’altro c’è quella ischitana. Che è stata scelta per mostrare la convergenza, la commistione, lo scambio che avviene tra queste due popolazioni. Ischia è un centro produttore tra i più importanti della Campania anche dopo la caduta dell’Impero. Continua a ragionare, a dialogare con le altre culture. Può lavorare meno rispetto a un tempo per tutta una serie di vicende storiche, ma resta centro produttivo di forte vitalità, con una qualità che gli deriva, com’è ovvio, da un lunga tradizione».
Un bacino, un’anfora, una lucerna, una matrice e quattro monete risalenti al VI e VII secolo d.C . «Si tratta di oggetti usati sia in un contesto domestico che funerario» spiega Mariangela Catuogno. «Quello che interessa, al di là della funzione all’interno del corredo, è la qualità della produzione. Si tratta di pezzi straordinari, il catino in particolare. Un unicum, in Italia, per qualità e per fattura. A quell’epoca le ceramiche sono quasi tutte acrome e di forma semplice. La nostra tradizione millenaria consentiva invece di fare un passo in più. Quella tipologia di decorazione, che all’esterno del bacino presenta fasce rosse, influenzerà la ceramica longobarda e in particolare quella di San Vincenzo. Parliamo, insieme a Montecassino, dei centri motori della cultura meridionale in epoca medioevale. I reperti provengono tutti dagli scavi realizzati da D. Pietro Monti dagli anni ‘50 ed esposti, prima della chiusura del Museo, nella sala superiore dove sono raccolti pezzi tardo antichi. L’area archeologica di Santa Restituta – precisa l’archeologa che insieme alla collega Maria Lauro continua il lavoro di catalogazione degli oggetti rinvenuti – è viva, ha una sua importanza scientifica che va resa nota. Ricordo che mentre l’esposizione al Museo archeologico di Villa Arbusto si chiude al II sec. d.C., i materiali custoditi al museo di Santa Restituta abbracciano un’ampiezza cronologica più rilevante, arrivando fino ai piatti della Torre dei Guevara».

“Longobardi. Un popolo che ama la storia” segna il punto di arrivo di oltre 15 anni di nuove indagini archeologiche, epigrafiche e storico-politiche su siti e necropoli altomedievali, frutto del rinnovato interesse per un periodo cruciale della storia italiana ed europea. Oltre 300 le opere esposte; più di 80 i musei e gli enti prestatori; oltre 50 gli studiosi coinvolti nelle ricerche e nel catalogo edito da Skira; 32 i siti e i centri longobardi rappresentati in mostra; 58 i corredi funerari esposti integralmente; 15 i video originali e le installazioni multimediali; 3 le cripte longobarde pavesi, appartenenti a soggetti diversi, aperte per la prima volta al pubblico, durante la mostra, in un apposito itinerario; centinaia i materiali dei depositi del MANN vagliati dall’Università Suor Orsola Benincasa, per individuare e studiare per la prima volta i manufatti d’epoca altomedievale conservati nel museo napoletano. Un corpus espositivo in otto sezioni, con un allestimento di grande fascino e di assoluta novità nel campo archeologico, che incrocia creatività, design e multimedialità: dal cupo contesto in cui s’innesta in Italia l’arrivo dei Longobardi ai modelli insediativi ed economici introdotti dalla loro presenza; dalle strutture del potere e della società nel periodo dell’apogeo alle testimonianze della Longobardia Meridonale tra Bizantini e Arabi, principati e nuovi monasteri.

Una mostra che è arrivata a Napoli dopo il grande successo a Pavia (dove ha saputo scatenare nel pubblico e nella stampa europea un’imprevista passione) e in attesa di approdare all’Ermitage di San Pietroburgo dove anche i russi e i turisti internazionali potranno ammirare i reperti provenienti dall’isola d’Ischia. “Prove” del valore artistico e della maturità espressiva raggiunta dalla produzione isolana e delle contaminazioni culturali che fu in grado di favorire.
Una sorta di virus contagioso, visto che anche il Ducato di Benevento, celebre roccaforte longobarda rimasta in vita come stato indipendente sin oltre la metà dell’XI secolo, non solo conservò memoria e retaggio del Regno di Pavia, abbattuto da Carlo Magno nel 774, ma elaborò un proprio originale ruolo di cinghia di trasmissione fra le culture mediterranee e l’Europa occidentale.
Parlarne oggi, in una fase di cambiamenti altrettanto marcati come quelli che si verificarono nell’Italia longobarda, significa sperimentare la possibilità di costruire una visione “dal Mediterraneo” all’intera Europa, e mostrare una prospettiva del nostro continente in cui i legami fra le aree transalpine e quelle meridionali appaiano assai più equilibrati e dialoganti di quanto molta storiografia non abbia da sempre teso a rappresentare.

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