LE OPINIONI

IL COMMENTO L’ischitano, l’isola e un territorio da preservare

DI ARIANNA ORLANDO

L’ischitano è un la creatura che nella sua composizione conserva qualcosa come la salinità del mare e la ripidità dei sentieri rocciosi. E caratteristica comune a questo animale semi-acquatico e semi-terrestre  tanto anfibio da necessitare contemporaneamente del nutrimento del sole e dell’osmosi in acqua, è quella di intrattenere con la sua isola un rapporto di derivazione e comparazione costante. L’ischitano è suscettibile a una forma di rancore nei confronti di Ischia per tantissimi motivi: perché è troppo isola, perché è troppo poco città, perché è troppo piccola, perché fa troppo poco e potrebbe fare molto di più, perché non è abbastanza bella oppure non è abbastanza all’altezza della sua bellezza. Tutti questi dis-pregi fanno della terra ischitana, la prima colonia del mondo magno-greco, un luogo di perdizione, di iniquità, di poca iniziativa al confronto di un mondo comspolita e interattivo. Oltre lo stuolo del mare ogni cosa sembra essere fatta per ricordare a noi ischitani quanta complessità implichi nascere in un luogo distaccato dalla matrice continentale, distante abbastanza da non riceverne i flussi metropolitana ma vicino abbastanza per sentirne l’anelito e la mancanza. Ma Ischia è per l’ischitano anche quel luogo della terra che un dio fece per noi a immagine e somiglianza della bellezza e lo ha dotato di tutte quelle cose che costringono i viaggiatori a lasciare casa e noi, invece, a non lasciarla mai. 

Dicono che esiste un modo di straripare e di dirompere, di muoversi e di non quietarsi tipico dell’isolano che ritrova nella premura della circoscrizione e del recinto del mare, lo slancio per un salto ardito. Dicono che esiste un modo che è esclusivamente isolano di percepire la città e il suo relativo malessere-benessere e dicono che solo a un isolano è dato tradurre tutta la grandezza del mondo perché è lui che, appena venuto al mondo, allena lo sguardo ad allargarsi nei cieli sulle cime potenti degli alberi e a districare la linea di confine dell’orizzonte sul mare. E sempre a lui è concesso il gentile conforto della pace chè la sua primissima culla è uno scoglio sul mare e il suo battesimo è nell’acqua tirrenica che gli cancella il peccato urbano-originale e lo consacra all’ischitanitá e forse anche all’ischitudine. Si può essere ischitani nel mondo ma è molto più difficile essere ischitani a Ischia perché, quando si è lontani, per questo luogo è possibile provare solo nostalgia come un dolore piacevole. E la nostalgia è un dipinto nel lato riverso delle iridi dove è ritratta la brezza tenera della sera, l’aria sapida, la voce di Ischia che è quella del pino sulla lingua e nella bocca del mare. Questo è ciò che l’altro è non possiede: una lingua primitiva e naturale solo nostra dove la vite dialoga con l’ulivo, dove la cicala stranezza e il vento grida agganciandosi alla punta della montagna. 

Questo è ciò che possediamo: un luogo benedetto dai greci che abitiamo con spavalderia. Questo è ciò che stiamo facendo: trasformare Ischia, che è un’isola, in una città. E in quanto isola, l’isola d’Ischia non potrebbe mai avere la magnificenza delle città e tutto ciò che deriverebbe da questa metamorfosi sarebbe una parodia di metropoli avvilente e disgregata.  Ischia è una vela potente di roccia su un magma tenero di fuoco, una terra feconda e prolifica di aloe e tarassaco, una cinta di roccia orlata di mare e non può aspirare in alcun modo alle metropoli europee e oltre-europee. Piuttosto sarebbe giusto conservarsi come baluardo della tradizione contro il flusso digitale, come esempio del pensiero dell’uomo contro quello dei robot, come simbolo della bellezza unica contro la riproduzione ripetitiva degli oggetti industriali. “Se non c’è amore, inaridiscono anche le città”si scrive ne “L’amica geniale”. Inaridiscono anche le isole però, specie quelle che nel tentativo di diventare stelle si trasformanon abat-jour. Ridicolmente.

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