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Travolse e uccise Xhemal Velsmali, quattro anni a Claudia Sasso

La tragedia, in cui perse la vita il 15enne di origine albanese, si verificò sulla Superstrada di Ischia il 3 agosto di un anno fa. La consulenza tecnica d’ufficio non sciolse tutti gli interrogativi posti dal giudice, che ha stabilito in sessanta giorni il limite di tempo per il deposito delle motivazioni

A quasi un anno dalla tragedia consumatasi sulla Superstrada, che spezzò la vita del giovanissimo Xhemal Velsmali, è arrivato il verdetto nel giudizio abbreviato per la signora Claudia Sasso. La donna, imputata con l’accusa di omicidio stradale, è stata condannata a quattro anni di reclusione e, come da prassi, all’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Questo il dispositivo di cui è stata data lettura lunedì al termine dell’udienza. Bisognerà attendere due mesi per conoscere le motivazioni della sentenza.

All’accusa di omicidio stradale si aggiungeva l’aggravante, «perché – si leggeva nel capo di imputazione – con la condotta colposa imprudente, imperita e negligente di seguito indicata, nonché con violazione delle norme di cui al D.Lvo 285/1992, mentre percorreva alla guida dell’autoveicolo Peugeot 208 targato FC 780BV la SP 270 variante esterna in direzione Barano d’Ischia, all’altezza dell’intersezione con via Vicinale Fasolara. Per colpa consistita nel non aver regolato la velocità con riguardo alle condizioni dei luoghi e della strada in violazione dell’art. 141 C.d.S., nel non aver rispettato la corretta posizione dei veicoli su strada, tagliando la curva, invadendo la corsia opposta e percorrendo contromano circa 27 metri in violazione dell’art. 143 C.d.S., nel non aver rispettato la segnaletica stradale orizzontale, essendo le due corsie divise da linea di mezzeria continua, in violazione dell’art. 146C.d.S.. Non avvedendosi in tempo della presenza del pedone Velsmali Xhemal – il quale procedeva lungo il margine destro della carreggiata verso Barano d’Ischia nella corsia opposta a quella di marcia della conducente -, tagliando la curva e proseguendo controsenso per circa 27 metri, colpiva il pedone, il quale veniva sbalzato sul muretto di recinzione e decedeva all’istante. Con l’aggravante di aver commesso il fatto a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi».

L’episodio scatenò enorme cordoglio in tutta la comunità isolana, già duramente provata da analoghi tragici episodi nei mesi precedenti. La dinamica della tragedia aggiunse notevole sconcerto nell’opinione pubblica, con l’interrogativo relativo ai motivi che potevano aver indotto la guidatrice a uscire dalla propria corsia, travolgendo il 16enne di origine albanese che stava trascorrendo un breve periodo sull’isola, e che nel momento fatale si stava recando a piedi presso l’abitazione della sorella, passeggiando ai margini della carreggiata, vicino al muretto che in quel punto cinge la Variante Esterna.

La difesa, sostenuta dall’avvocato Gino Di Meglio, ha dovuto fare i conti con diversi elementi critici, inseriti peraltro all’interno di una situazione delicata: un evento che ha segnato pesantemente due famiglie, e che soprattutto ha cancellato una giovane vita. Alle aggravanti derivanti dalle varie violazioni del codice della strada, si aggiungeva la contestazione dell’uso del telefonino prima dell’incidente, e soprattutto un precedente specifico infraquinquennale: quattro mesi e mezzo prima della tragedia accaduta sulla Superstrada, quando ancora non esisteva l’esplicita previsione legislativa del reato di “omicidio stradale”, la donna aveva patteggiato una pena a un anno e mezzo in un altro procedimento in cui aveva cagionato la morte di una persona, anche in quel caso in un sinistro stradale. Un quadro molto severo, che avrebbe potuto avere come conseguenza una pena ben più severa, anche a sette anni. Da parte sua, il pubblico ministero nell’udienza di febbraio aveva invocato una condanna a quasi sei anni.

L’avvocato Di Meglio, nella successiva udienza celebratasi a maggio, depositò una corposa memoria nella quale si faceva riferimento alla relazione del professor Perticone, uno dei massimi esperti europei di aritmologia, una branca specialistica della cardiologia, relazione anch’essa depositata dalla difesa. Nelle sue conclusioni il professor Perticone spiegava che «si può affermare, con ragionevole certezza, che la transitoria perdita di coscienza accusata dalla Sig.ra Sasso, e che ha provocato il mortale incidente stradale, è da ricondurre alla comparsa di un’aritmia ventricolare il cui meccanismo patogenetico è da individuare della canalopatia di cui la stessa è affetta. Infatti, tra i sintomi tipici della sindrome di Brugada vi sono le alterazioni transitorie dello stato di coscienza (dalle vertigini alla sincope), se l’aritmia è di breve durata e autolimitante, ovvero la morte improvvisa su base aritmica se la durata è maggiore. Particolarmente importante è che la morte improvvisa può essere la prima e unica manifestazione della sindrome». In sostanza, come affermava la difesa, il professor Perticone aveva confermato la diagnosi già effettuata dal dottor Giovanni Pilato, cardiologo dell’Ospedale Rizzoli di Lacco Ameno, dove l’imputata era stata trasportata d’urgenza subito dopo l’incidente.

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Il giudice decise quindi di disporre una consulenza tecnica d’ufficio, nominando come perito il dottor Stabile, cardiologo napoletano, affidandogli la risoluzione di alcuni quesiti. Innanzitutto, capire se dalla documentazione medica, e in particolare dagli esami eseguiti al Rizzoli, si potesse evincere che l’imputata sia affetta dalla sindrome di Brugada. Si tratta di una malattia cardiaca caratterizzata da un aumentato rischio di aritmie ventricolari e morte cardiaca improvvisa in soggetti apparentemente sani. Le manifestazioni cliniche della Sindrome di Brugada sono le palpitazioni, sincope, o anche morte improvvisa.

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Col secondo quesito il giudice chiedeva se dagli esami vi era traccia di una perdita di conoscenza che avrebbe colpito la signora Sasso quel giorno, negli attimi precedenti il ricovero.Infine il terzo quesito posto al consulente mirava a chiarire se tale patologia potesse aver determinato una perdita di conoscenza temporanea che ha avuto un ruolo causale nel verificarsi del tragico incidente.

Il responso del perito non fu univoco, in quanto sulla base degli esami non è stato possibile emettere una diagnosi certa della sindrome di Brugada, ma allo stesso tempo non la si può escludere. Anzi, nella conclusione della consulenza tecnica d’ufficio, il dottore scrive che dalla documentazione non è possibile affermare che la signora Sasso abbia avuto una perdita di conoscenza negli attimi precedenti il ricovero ospedaliero, «né vi è alcun dato conclusivo sull’ipotizzata Sindrome di Brugada di cui la Signora sarebbe affetta. Per confermare o escludere tale diagnosi la Signora Sasso Claudia dovrebbe sottoporsi al test alla flecainide. Qualora la Sindrome di Brugada fosse diagnosticata questa potrebbe determinare una perdita di conoscenza temporanea».

Un responso per certi versi ondivago, e su questo aspetto l’avvocato Gino Di Meglio ha insistito molto durante la discussione finale. Secondo la difesa, in sostanza, la consulenza d’ufficio dimostra che non vi è certezza della responsabilità, certezza necessaria in caso di decisione di condanna. In mancanza di prova certa, la difesa invocava l’assoluzione quantomeno ai sensi dell’articolo 530 secondo comma del codice di procedura penale, cioè quando la prova della sussistenza del fatto manca, è insufficiente o è contraddittoria. Tra l’altro, per inciso, il citato test che andrebbe eseguito per accertare tale patologia è piuttosto invasivo, e presenta anche rischi per la vita del paziente che vi si sottopone.

Tuttavia, il giudice ha optato per la condanna, seppur in termini tutto sommato contenuti viste le premesse e il quadro accusatorio. Senza dubbio non è stato affatto semplice per il magistrato trovare un equilibrio tra l’esigenza di giustizia per la giovanissima vita brutalmente cancellata quel 3 agosto di un anno fa, e le risultanze emerse dalle indagini e dalle perizie. Le motivazioni, il cui deposito il giudice ha fissato in sessanta giorni, aiuteranno a comprendere il percorso logico alla base del verdetto.

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