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Caremar, non si placano le proteste dei lavoratori

Di Laura Cipullo

Le proteste e le denunce del personale marittimo delle compagnie di navigazione non sembra destinato a placarsi nel breve periodo. Le richieste di condizioni lavorative più dignitose e di un orario di lavoro che rispetti il Contratto Nazionale di Lavoro sono ormai all’ordine del giorno. Ma perché i lavoratori marittimi si trovano in questa situazione e come mai è risulta così complicato applicare anche nel loro caso il Contratto Nazionale di Lavoro, come avviene normalmente per tutti le altre categorie di lavoratori? Ha provato a spiegarcelo Nicola Lamonica di Autmare, che in questa intervista riassume i punti più importanti del suo documento “Orario di lavoro e riposo sulle navi che espletano servizio di cabotaggio”.

«Nella normativa internazionale STCW il tempo di riposo viene indicato con due parametri: nelle 24 ore e nella settimana: minimo di 10 ore di riposo in ogni periodo di 24 ore e 77 ore in ogni periodo di 7 giorni. Successivamente, hanno introdotto una precisazione che prima non c’era, come avviene nel decreto legislativo 108/05, sarebbe a dire la congiunzione “ovvero”: il numero massimo di ore di lavoro a bordo non deve essere superiore a 14 ore su un periodo di 24 ore e 72 ore su un periodo di sette giorni; ovvero il numero minimo delle ore di riposo non deve essere inferiore a: 10 ore su un periodo di ventiquattro ore e 77 ore su un periodo di sette giorni. Come si evince dal documento- spiega- se procediamo con dei semplici calcoli,  “essendo la settimana di sette giorni, quindi 7 x 24= 168 ore si determinano 96 ore di riposo ( 168 ore settimanali – 72 ore di lavoro massimo nel periodo di sette giorni) quindi più delle 77 ore di riposo previste dalla normativa. Di contro 168 – 77 ore minime di riposo in sette giorni = 91 ore di lavoro. Per cui siamo di fronte a due diversi rapporti, uno più vantaggioso per l’armatore ed è quello che si riferisce al minor tempo di riposo, l’altro invece, avvantaggerebbe i lavoratori”. Oggi non si riesce  a capire perché tra i due rapporti si scelga sempre di applicare quello che risulta più vantaggioso per gli armatori. Quello che è successo è che pian piano sono stati modificati i decreti ufficiali in modo da avere un’interpretazione vantaggiosa per gli armatori. Sta di fatto che a bordo ci troviamo di fronte anche a 16 ore di lavoro».

Riferendosi poi, al periodo di riposo giornaliero, cioè alle 10 ore, ci dice: «Queste dovrebbero essere divise massimo in due parti, ad esempio 7 ore minime di riposo +3 da recuperare successivamente, che per altro devono essere spalmate sulle 24 di lavoro indipendentemente dall’orario, perché la legge non specifica che le 24 ore debbano partire dalla mezzanotte. Qui siamo già in conflitto con la pratica-spiega- in quanto ci troviamo in una situazione in cui il pasto viene considerato orario di riposo, il che significa che l’equipaggio a bordo dovrebbe interrompere improvvisamente il suo lavoro per usufruire di quell’ora di riposo per poi riprendere a lavorare. Siamo di fronte ad una forzatura, un’illegalità che deve essere corretta. La questione del tempo di lavoro è fondamentale, perché se si organizzano dei turni che non tutelano il riposo dell’equipaggio, secondo quanto stabilito dalla normativa, entra in gioco anche il problema della sicurezza, perché un marinaio stanco potrebbe non essere reattivo nel momento di emergenza, mettendo in pericolo l’utenza. Altro problema è quello della tabella di armamento- continua- che viene continuamente manomessa, cioè, prendiamo ad esempio una nave tipo Caremar di quelle grandi. Una volta questa nave portava 24 unità, oggi invece ne porta ufficialmente 12, anche se riesce a viaggiare anche con 7 unità. Ora, è vero che le tecnologie moderne riescono ad assicurare una maggiore sicurezza, ma nell’emergenza ognuno deve avere il proprio incarico e concentrarsi su quello, non può dividersi su più incarichi. Per cui c’è la necessità di avere un numero sufficiente di persone, in modo che di fronte ad un’emergenza ci sia la giusta organizzazione, per non dover poi piangere per una disgrazia».

Parlando poi delle rivendicazione dei lavoratori, che chiedono ormai da tempo che venga applicato anche per loro il Contratto Nazionale di Lavoro, che prevede otto ore lavorative al giorno, ha spiegato: «Oggi l’accordo di secondo livello somministrato ai lavoratori marittimi, va ad integrare l’accordo nazionale che prevede otto ore lavorative. Adesso mi chiedo perché a terra vengono previste 40 ore lavorative settimanali, oltre allo straordinario quando necessario per l’azienda, mentre a bordo ne sono previste molte di più. Per altro questo non succede sulle navi di lungo corso dove sono previste otto ore di lavoro effettive, che possono essere prolungate con lo straordinario, ma parliamo al massimo di un paio di ore, per il resto il marinaio riposa. In realtà, le otto ore sono previste dal contratto nazionale di lavoro, ma il problema è che l’accordo di secondo livello viene applicato in contrapposizione al primo, contro la volontà dei lavoratori. La normativa in realtà dice che il contratto nazionale di lavoro vale per tutti i marittimi e che l’accordo di secondo livello può essere applicato solo a patto che venga applicato di comune accordo con i lavoratori. Questo di fatto non è assolutamente avvenuto perché CGL CISL e UIL, sebbene non abbiano piena rappresentanza a bordo, non hanno mai sentito il bisogno di consultare i loro lavoratori. La riprova di questo è che quando l’Or.S.A. ha indetto il referendum sull’applicazione dell’accordo di secondo livello si sono presentate 115 persone su 140, l’80% dei marittimi, che hanno espresso un “NO” netto all’applicazione dell’accordo di secondo livello sottoscritto dai sindacati nazionali, che è quindi stato imposto senza consultare la base. Per altro, la questione delle otto ore di lavoro potrebbe essere risolta avendo tre equipaggi anziché due, in questo modo non sarebbe necessario applicare l’accordo di secondo livello».

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