LE OPINIONI

IL COMMENTO L’esempio di Ischia e le donne che cambiano la società

DI LUIGI DELLA MONICA

La dott.ssa Ilaria Chiocca diventa Magistrato a 29 anni, una donna ischitana. Una notizia meravigliosa! L’isola finalmente battezza un altro giurista in quote rosa. Ciò conferma quanto alacremente sostengo da anni che Ischia è una fucina del diritto, poiché essa coinvolge un insieme di situazioni soggettive e di interessi collettivi che difficilmente si ripropongono in altre aree d’Italia e come se non bastasse la risorsa mare talvolta produce esigenze di Giustizia che alcuni Tribunali della terraferma non conoscono nemmeno in teoria. Al di là della sterile retorica e della agiografia di facciata, l’isola si presenta con la dott.ssa Chiocca come orgogliosa madrepatria di un “pretor peregrinus” incaricato di portare in Italia il verbo del Diritto. La conquista è ancor più densa di significato perché trattasi di un traguardo importantissimo di visibilità istituzionale di Ischia a livello nazionale per il settore Giustizia e per la tanto sofferta emancipazione femminile. L’isola non è in grado soltanto di generare imprenditori turistici, oppure uomini\donne di mare come la geografia economica potrebbe suggerire scolasticamente, ma anche uomini di legge, ma soprattutto una donna, peraltro giovanissima.

Quest’ultimo dato fa bene sperare che la dott.ssa Chiocca sia la prima di una squadra di isolani che andranno a ricoprire l’organico della Magistratura italiana, ma segnala che l’amore, il sentire, la fame di Giustizia in Ischia, come in Campania sono forti ed intensi. L’esempio della dott.ssa Chiocca conferisce concretezza all’auspicio che i giovani, abbandonando il nichilismo culturale di cui discorro da un po’ nei miei articoli, concretizzano l’idea di equità, uguaglianza, libertà, fraternità, prudenza, pazienza e temperanza, vestendo la toga del giudice, ovvero dell’investigatore. Il significato ideologico e sociale si arricchisce ancora più di significato nel tempo odierno, allorquando una donna giovanissima come la dott.ssa Alessandra Clemente, figlia di una vittima di camorra, ardisce la sua candidatura alla carica di Sindaco di Napoli. Ancora il cordoglio che stringe l’Italia intera per la scomparsa della Governatrice della Calabria Jole Santelli, per la quale non ho nutrito assolutamente compassione, ma una profonda ammirazione. Una donna del Sud che dal Sud voleva cambiare il Sud e sfido qualunque uomo medio a contemperare gli impegni politici con la sofferenza interiore e le cure inutili per una malattia non curabile, vivendo con la consapevolezza di poter lasciare tutto da un momento all’altro, come amaramente di fatto è accaduto.

Una nota di sdegno mi permetto di menzionare a quanti, per fortuna pochi, pochissimi, suoi avversari politici ne abbiano approfittato per infangare la sua memoria, perché colpevole di non stare dalla parte “giusta”. Tutte donne che “vogliono fortissimamente vogliono” cambiare la società e farla progredire. Per chiamare in soccorso l’antropologia, le prime società primitive di basavano sull’uomo cacciatore e la donna custode della caverna ove si ricoveravano gli utensili per accendere il fuoco e la prole. La donna, madre e protettrice, per millenni di storia umana, da pochi decenni è protagonista indiscussa del cambiamento della società. Posso citare il mio mito di donna emancipata che è Oriana Fallaci, una vera ed orgogliosa persona libera che intervistò “Khomeini” senza il velo, rivendicando la sua identità culturale ed insegnando a tanti uomini occidentali proni al cerimoniale diplomatico che la paura non è un sentimento femminile. Da ultimo si sta commemorando la uccisione della giornalista Caruana Galizia, la quale ha lasciato soltanto il nostro mondo terreno, perché i suoi assassini non hanno potuto arginare la forza mediatica, come si fosse abbattuto uno “tzunami” sull’isola di Malta, tale da cancellare virtualmente il suo perbenismo di facciata come la mitologia insegna di Atlantide, con la frase “anche con voce tremante, bisogna scrivere la verità”. Nel citare esempi in Magistratura, a parte il glorioso organico femminile del Tribunale di Napoli, la dott.ssa Francesca Morvillo non esitò ad appoggiare tutte le scelte del marito fino all’estremo sacrificio, nel nome dell’Italia e della democrazia.

Tuttavia voglio trasmettere ai lettori una notizia, che forse sfugge a molti. Nel 1946 Il primo concorso in magistratura, come quello per l’abilitazione alla professione di procuratore legale – si ricordi che l’avvocato diventava tale dopo sei anni di iscrizione all’albo dei procuratori – udite, udite era riservato a soli uomini!

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Di tanto, a parte documentarmi personalmente, ne appresi conoscenza diretta dall’Avv. Maria Marchi del Foro di Roma, la quale conseguì anche la laurea in Filosofia, oggi purtroppo defunta, che vinse un premio nazionale per essere fra le prime 50 donne procuratore\avvocato d’Italia nel 1946. Per voce della medesima e per autorizzazione degli eredi, posso dichiarare che ella scelse pervicacemente la professione forense, perché, a suo dire, dava la voce agli ultimi. Ebbene dottoressa Chiocca la toga che lei si appresta ad indossare è riposta in uno zaino di civiltà e responsabilità pesantissimo. A parte l’orgoglio ischitano che dovrà guidarla, citando per cronaca storica che ella succede all’ultimo magistrato uomo ed ischitano dott. Albino Ambrosio, insieme ai suoi meriti accademici, La esorto a riflettere sullo scenario odierno della Giustizia, che si barcamena fra fulgidi esempi di abnegazione e di senso dello Stato, come il Procuratore Gratteri, oppure il dott. Cantone e frasi ambigue e capziose del dott. Davigo, che abusando del merito storico di essere stato membro del “Pool Mani Pulite” ardisce affermare che “non esistono imputati innocenti”.

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Viviamo in un contesto storico, in cui leoni da tastiera minacciano e vilipendono gli avvocati, perché hanno accettato l’incarico di difendere un assassino con indizi schiaccianti a suo carico e reo confesso (caso Lecce). Eppure l’avv. Maria Marchi, sulle ceneri del fascismo, orgogliosamente vestiva una toga di avvocato, per rivendicare da donna orgogliosamente emancipata, che gli ultimi devono avere una voce seppur sussurrata e debole e che le donne sono migliori degli uomini a trasferire questo grido di bisogno di Giustizia. L’avv. Maria Marchi era consapevole che l’Italia usciva dalla vergogna delle leggi razziali del 1938 ed il Mondo occidentale prendeva coscienza che con determinazione, rabbia, scienza criminale e volontà diretta una parte del popolo tedesco deliberava di annientare una pletora di innocenti ed indifesi, poiché diversi per razza, etnia e religione. Non voglio uscire dal tema, ma ricordo che a Norimberga il dolore e lo sdegno per le futili e gratuite aberrazioni che mostrarono i gerarchi nazisti, nell’aver pianificato la soluzione finale, risuonarono con una violenza milioni di volte superiore al quella della bomba atomica sganciata da “Enola Gay”, perché ne derivò una condanna all’esito di un processo giusto e sereno.

Il processo è la sede della risoluzione del conflitto fra le parti, ma esso si compone, come un corpo umano è composto dalla testa che è il giudice, dal tronco che è la difesa e dagli arti che sono l’accusa. Il giudice è la testa perché rappresenta il perito dei periti, l’avvocato è il tronco perché è sede di cuore e polmoni – sentimento ed ossigeno della Giustizia –, mentre gli arti dell’accusa consentono l’esecuzione dei processi e delle condanne. Il COVID19 è una pagina buia per la vita dei cittadini, che i magistrati e Lei in particolare, in quanto donna e persona di giovane età, dovranno leggere e voltare con estrema delicatezza e senso di umanità. Posso assicurarLe dottoressa, che quella di avvocato non è una semplice funzione costituzionale formale, ma è diritto vivente. Nei nostri studi non si contano persone che vengono a versare lacrime amare di povertà e di disperazione, oltre che di dolore per la perdita dei propri cari, il tutto aggravato da questa sciagura del COVID19. Noi avvocati purtroppo siamo il primo avamposto, anche persino prima della chiesa, dove si sfogano tutte le brutture della società. Ma in questo periodo vestire l’abito dell’avvocato è diventato quanto mai complesso, perché l’abuso del processo telematico, tanto inneggiato come progresso da una parte della magistratura e dall’apparato ministeriale, è diventato un freddo schermo di computer che si sostituisce al prudente apprezzamento del giudice\procuratore uomo\donna.

Mi creda in questo momento a volte non sto comprendendo alcune decisioni giudiziali, perché lo stato delle carte non è assolutamente sufficiente a formare il convincimento del giudicante o dell’inquirente. Tale contesto arricchisce di significato e di merito il suo traguardo professionale, che onora la cittadinanza isolana, ma Le ricorda che si avvicinerà ad un momento difficilissimo, per cui la prego di ricordare che dall’altro lato dello schermo del PC, oppure di fronte a Lei, non ci sono portatori di interessi, ma esseri umani che hanno avuto il dono del poter studiare il Diritto e che cercano di proteggere persone deboli, oppure interessi economici minati da pratiche illecite. Nel qual caso i lupi si vestiranno da agnelli, oppure i poteri finanziari schiaccino i deboli, purchè tutto venga accertato in un processo giusto da Lei governato e diretto, in termini microscopici avrà la stessa forza educativa del processo di Norimberga, perché il colpevole deve approdare alla condanna, ma guai all’innocente ingiustamente incarcerato. Le auguro buon lavoro ed auspico che presto potrà fare servizio a Ischia e sono certo che in quanto donna riuscirà ad avere quella sensibilità e prudenza di giudizio che spesso manca all’irruenza di noi uomini, nonché la sua giovane età sarà portatrice di quel vento di freschezza che la società italiana anela, al cospetto del conservatorismo reazionario alla “Monti” ed alla “Fornero”, che ha creato, a mio sommesso avviso, un odio fra generazioni.

* AVVOCATO

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