LE OPINIONI

IL COMMENTO Per un’etica minima

Tutto quanto sta accadendo in Italia, in questa seconda ondata della pandemia, ci mette di fronte ad un quesito fondamentale: ferma restando che è essenziale salvaguardare innanzi tutto la salute, di quali effetti collaterali dobbiamo preoccuparci maggiormente? Degli effetti economici? Di quegli psicologici? E da dove dobbiamo ripartire? Dai ristori e dalla loro ampiezza e velocità di erogazione? Da una completa rivisitazione della politica sanitaria, per anni trascurata e centralizzata su poche strutture ospedaliere abbandonando la medicina di territorio? Oppure da un ripensamento e riequilibrio tra i poteri dello Stato e le deleghe alle Regioni? O bisogna che il mondo inverta completamente la rotta in senso favorevole ad uno sviluppo non più predatorio della Terra, ma sostenibile? Molti commentatori, anche qui nel piccolo della nostra isola, sembrano orientati a un riaccentramento dei poteri nelle mani dello Stato e ad un ampliamento dell’assistenzialismo di Stato. Ed è questo il nuovo? E’ questo che speravamo, quando nella prima ondata della pandemia giuravamo retoricamente, a noi stessi e agli altri: “Nulla sarà come prima”? Vi sembra questa la ricetta per tornare a vivere sulla base di un nuovo umanesimo? Questo tipo di soluzione è in grado di ovviare al fatto che molti italiani quest’estate hanno imbrogliato sui bonus turismo (patteggiando un fifty fifty con strutture ricettive senza scrupoli), oppure sui bonus e-bike, facendone un commercio redditizio, oppure – come è successo a Forio (ma c’è da giurare che il resto dell’isola non è da meno) alcuni albergatori-furbetti incassavano e non versavano l’imposta di soggiorno? Sono solo alcune delle migliaia di furbate che una parte significativa di italiani pratica quotidianamente. E tra le migliaia di furbetti magari ci sono anche coloro che oggi gridano vendetta e carcere a vita per Castellucci e compagni per le nefandezze manutentive di Autostrade.

Allora, consentitemi di dire che, al di là delle emergenze che, come ho scritto venerdì scorso, ormai sono tre : sanitaria, economica e psicologica, vi è – di fondo – un problema etico da risolvere e non lo si risolve con la Programmazione, né con una diversa distribuzione di poteri tra Stato e Regioni, nemmeno con un cambio di Governo o con la chiamata di Draghi e, purtroppo, nemmeno con la collaborazione Governo-opposizione parlamentare. L’etica è un problema di cultura e, se volete, anche di religione. Con la prima ondata di epidemia ci eravamo illusi, sembrava che l’essere costretti all’isolamento ci avesse spinto ad una profonda rimeditazione sui valori veri della vita. Ma, con la seconda ondata, è riesploso un “egoismo di massa” (scusate l’ossimoro), un’atomizzazione di pulsioni e desideri che – nella migliore delle ipotesi – ci farà tornare uguali a come eravamo (ma c’è un serio rischio di peggioramento). In proposito, c’è stata – nei giorni scorsi – una bella intervista che il Cardinale Gianfranco Ravasi ha rilasciato a Walter Veltroni su Il Corriere della Sera. Egli, parlando della prima ondata di pandemia dice: “E’ stato un periodo positivo che faceva sperare in un mutamento” ma poi aggiunge: “Con la seconda ondata tutto sembra mutare. Si avverte un’atmosfera di irrazionalità nelle reazioni, anche nella virulenza delle critiche al governo. Purtroppo non ci sono voci autorevoli che possano far vedere la strada, un disegno di convivenza. Norberto Bobbio non c’è, Norberto Bobbio scriveva l’Elogio della mitezza. La mitezza non è debolezza, semmai la violenza è segno di sconfitta della ragione”. Allora l’etica! Ma come si fa a cambiare l’etica di un popolo? Lo si potrebbe, almeno in parte, fare con gli “esempi”, con l’offerta – da parte di uomini probi o genitori integerrimi – di modelli di comportamento che invoglino all’imitazione, ma – come ha sottolineato Ravasi – oggi questi modelli sono molto rari. A volte sono proprio i genitori a stimolare, col loro comportamento, atteggiamenti ed azioni riprovevoli. Lo potrebbe fare la Chiesa che, in altre circostanze storiche lo ha fatto, ma oggi essa stessa è in crisi: non ci sono più preti, una serie infinita di scandali finanziari o di pedofilia ne hanno minato la credibilità, per non dire dell’enorme frattura tra sostenitori e detrattori di Papa Francesco. Lo potrebbe fare la scuola, in presenza o a distanza, se avesse dei professori come il magnifico Keating del film L’attimo fuggente, quel professore capace di coinvolgere anima e corpo degli studenti, tanto che si alzano sul banco per protesta contro il suo licenziamento dalla scuola, o se avesse tanti professori come il cantautore Roberto Vecchioni, latinista e grecista che – di recente – ha dato alle stampe – il libro Lezione di volo e di atterraggio, ove riassume le sue esperienze d’insegnamento, passando da Socrate a De André, dai miti delle Metamorfosi alle poesie di Alda Merini. Ma la scuola attuale non se la passa bene e non solo per la pandemia, per la carenza e fatiscenza delle strutture, per la facile caricatura sui banchi a rotelle, ma per “crisi d’identità e scopo”.

Come scrive Vecchioni “scuola” deriva da “scholé” (divertirsi, avere piacere) ed è questo che è difficile ottenere: la “ passione”. E se il maestro non ha passione, non la può trasmettere. Allora chi può insegnare l’etica e di quale etica parliamo? L’etica dei massimi sistemi filosofici? No, è la risposta del filosofo contemporaneo Pier Aldo Rovatti: “ Quella di cui abbiamo bisogno è un’Etica minima, un’etica di vita, un’etica comportamentale quotidiana, scevra da imperativi categorici. Ognuno deve assumersi in proprio la responsabilità dei suoi comportamenti. Aggiungo io: un’etica che s’impara agendo ogni giorno con coerenza e cercando di capire, sul volto degli altri, quale valutazione danno del tuo comportamento. Ebbene sì, dal riconoscimento della tua rettitudine, capirai la linearità della tua etica. Tra i libri che ho letto e che mi sono rimasti impressi, occupa un ruolo centrale Etica per un figlio del professore spagnolo di Etica, Fernando Savater, che suggerisce al figlio Amador l’elemento che sta alla base di ogni comportamento: la libertà di pensare: “L’etica, poveretta, non è venuta al mondo per puntellare o rimpiazzare i catechismi… Il mio obiettivo non è quello di fabbricare cittadini benpensanti (e tantomeno malpensanti) ma quello di stimolare la formazione di liberi pensatori”.E di questa nostra piccola isola, cosa possiamo dire, cosa possiamo auspicare per inaugurare una nuova etica? L’auspicio e l’invito è: capire cosa vuole dire “turismo”, che cosa esso rappresenta – o meglio- “deve rappresentare” nello sviluppo umano, sociale ed economico. Turismo non è un’attività “unilaterale”, cioè vista solo dalla parte della parte dell’accogliente e degli interessi di questi. Turismo è necessariamente un’attività “bilaterale”, da un lato c’è chi accoglie, dall’altro chi “visita”. E tra le due parti non c’è chi dà e l’altra che riceve. Ma ognuno di esse “dà e riceve”, è uno scambio fecondo, è un’osmosi. Io ti metto a disposizione natura, storia, cultura, strutture ricettive, servizi, e tu mi trasmetti, oltre che il giusto compenso economico, le tue esperienze, le tue impressioni, le tue comparazioni con altre realtà conosciute. Solo questa forma di rispetto reciproco genera “turismo” nel senso vero e completo della parola.

E, a questo punto, dobbiamo intenderci anche sul significato che diamo all’espressione “turismo di qualità” che tutti invochiamo ma a cui – temo – non tutti diamo la stessa valenza. Probabilmente molti operatori economici intendono, per turismo di qualità, un turismo dalle tasche un po’ più piene di quelle di normali pensionati in cerca di cure termali. Quando invece dovremmo tutti intendere “turismo responsabile”, rispettoso dei valori naturali, artistici, storici della nostra isola. Il turista ricco, ma rozzo, non fa il bene della nostra isola. Quello benestante e sensibile, colto e gentile,sì: E poi, per un’etica minima isolana si richiede che non si confonda il bene del singolo col bene collettivo. L’imprenditore o l ‘artigiano o il commerciante può avere, come obiettivo primario, il soddisfacimento delle proprie necessità; l’amministratore pubblico no! Chiunque, tra Sindaci, assessori, consiglieri comunali, antepone i propri interessi a quelli comuni, è un soggetto eticamente riprovevole. Potrà mietere successi elettorali grazie al gioco del “do ut des”, ma non riscuoterà mai il “consenso vero”, la stima e la considerazione delle persone come chi sarà invece riconosciuto rappresentante probo, coerente e dedito agli interessi collettivi. Nonostante le apparenze possa fare credere il contrario, resto convinto che il tempo, in questi casi, è galantuomo e sa distinguere.

Ads

Articoli Correlati

0 0 voti
Article Rating
Sottoscrivi
Notificami
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
Visualizza tutti i commenti
Pulsante per tornare all'inizio
0
Mi piacerebbe avere i vostri pensieri, per favore commentatex