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Destra, sinistra e ambidestrismo politico

Ha ancora senso, oggi, in Italia come in Campania e ad Ischia, parlare di destra e sinistra politica? Qual è la destra, quella laica-liberale di Berlusconi o quella sovranista di Salvini? Quella nazionalista di Meloni o quella localistica di Salvini? E qual è la sinistra, quella di Renzi, che ama Obama più dell’Europa, la Fiat più dei sindacati e se stesso più delle istituzioni o quella di Fratoianni-Speranza che non amano Renzi né Obama e forse neppure l’Europa e non sembrano disdegnare il partitino del 6% (come in Sicilia)? Alla Regione Campania, il governatore in carica De Luca è di sinistra? E il governatore uscente Caldoro era di destra? E ad Ischia, chi è di destra e chi di sinistra? De Siano è di destra e Giosi Ferrandino di sinistra? Giacomo Pascale di destra e Dionigi Gaudioso di sinistra? E al Comune d’Ischia, se Enzo Ferrandino è di sinistra, Gianluca Trani di che parte è? Mi pare che ce ne sia abbastanza per poter affermare che, in assenza di idee, di orizzonti di senso, di scuola politica, i confini – tra destra e sinistra – si siano fatti molto labili. Non so se tra destra e sinistra ci debbano essere, come in un noto film, 50 sfumature.

So, però, che la sovrapposizione e la confusione che si sta creando tra i due concetti etico-politici di destra e sinistra (che una volta si potevano riassumere – rispettivamente – come ipotesi di “conservazione” versus “progresso” o “libertà di differenza” contrapposta al perseguimento dell’egualitarismo) ha una doppia lettura. Una negativa e una potenzialmente positiva. Quella negativa l’abbiamo esposta in premessa e cioè l’indistinzione determinata dall’ignoranza e dalla mancanza di visione. La lettura, invece, potenzialmente positiva è quella di una consapevole scelta culturale che spinge i soggetti politici a ibridare, a meticciare diverse e, a volte, contrapposte dottrine e filosofie politiche. L’esempio più lampante di contaminazione tra filosofie diverse avviene attualmente, in Italia, sulla questione dell’immigrazione. Dove una seria riflessione porta ad abbinare ad una politica di accoglienza, una politica di regolazione dei flussi e di contingentamento degli arrivi. Non per questo il Ministro Minniti è da considerarsi di destra. E’ una questione di ragionevolezza e di mantenimento degli equilibri sociali della Nazione.

Attenzione, però, che c’è il Movimento 5 Stelle che teorizza e pratica l’ambidestrismo, che è cosa ben diversa dai tentativi di conciliazione delle tradizioni della destra e della sinistra. Il M5S tende ad ignorare l’importanza sia della destra che della sinistra. Fa a meno della tradizione “conservatrice” quanto di quella “progressista”. Semplicemente tende a soddisfare i bisogni più immediati ed istintivi della maggioranza “chiassosa” dei cittadini (una volta, negli anni ’70, contava la maggioranza “silenziosa” quella cioè paziente e ragionevole che scoppiava solo quando non ne poteva più di essere ignorata). L’attuale maggioranza “chiassosa”, a cui si rifanno i 5 Stelle, è quella che odia i partiti, i politici, li ritiene tutti ladri, non meritevoli di alcun riguardo e privilegio. Che vorrebbe processare la maggior parte degli esponenti delle istituzioni per indegnità. Un bel saggio, recente, di Leonardo Bianchi, dal titolo “La gente. Viaggio nell’Italia del risentimento” dipinge molto bene questa situazione del quotidiano, volgare ed incolto “vaffanculo”, iniziato, nel settembre 2007, purtroppo in una città che frequento ed amo, Bologna. Io stesso, che nella mia vita sono stato iscritto ed ho votato per un solo partito (finché è esistito) e cioè il PSI e che mi ritengo riformista, socialista e liberale, trovo profondità di pensiero in autori che pure vengono considerati di destra. E’ il caso di Marcello Veneziani, giornalista- saggista, già consigliere di amministrazione della RAI.

E’ vero che tra i molti saggi, ha scritto anche “Di padre in figlio. Elogio della tradizione” come ha scritto “Cultura della destra”, ma sempre in modo critico ed indipendente dai partiti che pretendono di rappresentare destra e tradizione. Di assoluto valore etico-filosofico è il suo saggio “La sconfitta delle idee”, anche se è stato scritto, per Laterza, ben 15 anni fa. Il libro è tuttora attualissimo, essendo stato capace, Veneziani, di leggere l’attualità del tempo e prefigurare i risvolti futuri (cioè la realtà odierna). Non posso fare a meno di citare un passo del paragrafo “Il crepuscolo delle idee”: “Le idee non servono più, in politica e nella società, nella cultura  e nella comunicazione. Delle idee sopravvivono solo i loro idoli. Stiamo assistendo ad un crepuscolo analogo a quello che accompagnò la fine del mondo antico e che passò sotto l’espressione <tramonto degli Dei>…Al posto delle idee trionfa il puro vitalismo, il dominio assoluto del mercato e delle logiche utilitarie, la seduzione della pubblicità o delle altre forme di retorica del nostro tempo. E talvolta resistono i vecchi residui tossici dell’ideologia e dell’utopia, sempre più stanchi e affannati. E’ la disfatta di Platone, la rinuncia ad ogni trascendenza, ad ogni principio di organizzazione e di orientamento della vita personale e collettiva, la scomparsa di una visione del mondo e la vittoria di una vita emotiva, occasionale, legata agli istinti e agli istanti”.

Pochi giorni fa, su iniziativa della Fondazione Iacono-Avellino- Conte, si è tenuta una lectio magistralis di Roger Abravanel sulla meritocrazia. Non l’ho potuta seguire in diretta, trovandomi a Bologna, ma me ne hanno ampiamente reso conto. In particolare, Mizar era irritato dalla visione liberista e globalizzante dell’economista. Credo che la visione di Abravanel, di estremismo liberista e meritocratico non vada respinta con gli occhi e i parametri del riformismo di sinistra, perché coglie, indubbiamente, un’esigenza insopprimibile della società moderna e cioè il conseguimento del massimo grado di competenza, l’aspirazione all’eccellenza. Il problema è, semmai, un altro: la necessità di coniugare il “merito col bisogno”. Non per dire, ma questa coniugazione, questa liaison culturale e sociale era l’obiettivo del PSI e, in particolare, di Claudio Martelli. Una volta, con l’amico Fausto Silvestro, a me che propugnavo – per i giovani – l’esigenza dell’eccellenza culturale e professionale, pose la seguente obiezione: “Sì, va bene, ma che ne facciamo dei giovani normali, di media intelligenza e capacità?”. Aveva ragione Fausto, non possiamo limitarci a dire ai giovani, come fa Abravanel in perfetta buona fede e convinzione, che se non raggiungono l’eccellenza scolastica sono “fregati”. Non possiamo negare la speranza ai giovani della medietà culturale e capacitativa. Ecco la necessità di legare “meriti e bisogni”, ecco la necessità di conciliare il liberismo di destra col socialismo di sinistra. I giovani che, pur essendo messi in condizione di pari opportunità, non dovessero mostrare capacità superiori alla media, non riusciranno ad essere scienziati, banchieri, accademici, ma la società dovrà assicurare loro una via (occupazionale) di uscita, dignitosa e sufficientemente remunerata.

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Già gli anziani (vedasi “rottamazione”) sono considerati, dai politici attuali, “scarti”. Sarebbe peggio marginalizzare chi, alla vita attiva e lavorativa, non si è nemmeno ancora affacciato. Se mi posso permettere, inoltre, di fare una considerazione sul Festival di Filosofia, organizzato a Ischia annualmente dal prof. Raffaele Mirelli, auspico che in futuro tale occasione di riflessione si soffermi maggiormente su temi di fondo della politica nobile. Si potrebbe, ad esempio, riflettere su alcune tesi espresse dall’antichista Andrea Carandini, nel libro “Antinomie temperate”, Secondo Carandini, nella vita sono essenziali le antinomie, scontri di opposti. Bisogna saper scegliere tra queste antinomie e la scelta migliore non può che essere una “temperanza” fra gli opposti. La tesi di Carandini non è molto dissimile da quella hegeliana di dialettica tra “tesi” ed “antitesi” che si risolvono nella “sintesi”. Nel nostro caso, è essenziale contrapporre destra e sinistra, ma è inevitabile che dal loro scontro nasca una sintesi che temperi gli estremi dell’uno e dell’altro. Se ci dimostreremo incapaci di questa “cucitura”, di questa mediazione, di questa ibridazione delle correnti di pensiero, saremo tutti colpevoli del naufragio. Sta a ciascuno di noi, qualunque ruolo ricopriamo, di portare acqua nella desertificazione delle idee e della politica.

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Franco Borgogna

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