CULTURA & SOCIETA'

Luisafrancesca Proto: «Costruiamo ponti nel vento di Ischia 

La presidente dell’associazione attiva nel terzo settore, e da sempre vicina ai disabili, racconta in una inedita intervista a Il Golfo un lavoro non facile ma di certo affascinante. E che, soprattutto, si svolge tra mare e terra

Luisafrancesca Proto è presidente dell’associazione di promozione sociale “Un Ponte nel Vento”. Attiva nel terzo settore, accanto a persone con disabilità, nasce per “scavalcare fossati e andare oltre superando ostacoli, unire territori separati. Il nostro ponte è nel vento, da costruire e attraversare insieme”. Referente per la Campania del progetto nazionale “A Scuola per mare”, tra possibilità e potenzialità ci descrive un lavoro non facile ma affascinante. Tra mare e terra. 


Signora Proto, lei è la presidente di “Un Ponte nel vento”. Come e perché è nata quest’associazione?

«Nasce nel novembre 2009 mentre sperimentavamo un progetto ideato da me e mio fratello Andrea con la consulenza di due pedagogisti: un percorso di sette mesi con ragazzi affidati in comunità dal Tribunale dei minori di Napoli. Negli anni precedenti avevo lavorato a fianco del presidente di UVS (Unione italiana Vela Solidale) per l’incontro con le associazioni europee che utilizzano la vela a scopi educativi. Andrea ed io siamo cresciuti navigando a vela sin da piccoli, con papà, mamma, sorellina disabile e cane. Mio fratello aveva già alle spalle regate e due giri del mondo a vela e con la barca che era di nostro padre, fondare “Un Ponte nel Vento” è stato l’inizio di una nuova navigazione». 

Qual è la sua missione? 

«Pensiamo che ogni persona è membro di questo grande equipaggio che naviga nello spazio a bordo di una nave chiamata Terra; che il benessere di ognuno contribuisce al benessere di tutti, che ognuno ha diritto a essere visto, sostenuto e aiutato ad avere il suo posto. Sin dall’inizio ci siamo impegnati nell’area della disabilità in particolare mentale e la nostra barca e la nostra esperienza sono a disposizione per portare “agio” nel disagio e nelle fragilità. La barca accoglie, protegge, fa cadere le nostre maschere, crea intimità e verità».  

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«Seminare bellezza e benessere, rispetto per il nostro pianeta che non ci appartiene, amore per i nostri compagni di viaggio. Fermarsi e “vedere” la Persona, quello che sente prima e che funziona poi. Nella nostra società guardiamo quello che manca, quello che non funziona, l’errore. Noi guardiamo cosa può fare chi è con noi»

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In cosa si differenzia “Un Ponte nel Vento”?

«Sembra banale dire “perché usiamo una barca a vela”. Invece è la base della metodologia di intervento che si fonda sulla pedagogia velica e sulla metafora della vita come navigazione. Servono persone che oltre a saper andare a vela, siano pronte a valorizzare la barca come strumento educativo, abbiano un’attitudine alla pazienza, a collaborare con persone inesperte che devono sentirsi a proprio agio, accolte rispettandone i limiti e i tempi. Si differenzia per l’azione su piccoli numeri, per la difficoltà di sostenere i costi di mantenimento di una imbarcazione che non fa attività commerciale e non produce quanto necessario per la sua manutenzione e le spese di ormeggio. Il nostro è un lavoro che va in profondità, che agisce costruendo relazioni di aiuto e un rapporto di fiducia che richiede tempo ma non viene compreso da chi potrebbe scegliere di finanziare questo tipo di intervento». 

Qual è il suo scopo?

«Seminare bellezza e benessere, rispetto per il nostro pianeta che non ci appartiene, amore per i nostri compagni di viaggio. Fermarsi e “vedere” la Persona, quello che sente prima e che funziona poi. Nella nostra società guardiamo quello che manca, quello che non funziona, l’errore. Noi a bordo di Istria (la barca a vela dell’associazione, N.D.R.), guardiamo cosa può fare chi è con noi. Puntiamo a valorizzarlo, a farlo sentire capace, calibrando navigazione, manovra, andatura sulle sue possibilità e caratteristiche. C’è chi impara e diventa bravo, chi non può imparare in autonomia ma si sentirà utile perché coinvolto anche semplicemente nel “cazzare” una cima (non è una parolaccia!)».

«Pensiamo che ogni persona è membro di questo grande equipaggio che naviga nello spazio a bordo di una nave chiamata Terra; che il benessere di ognuno contribuisce al benessere di tutti, che ognuno ha diritto a essere visto, sostenuto e aiutato ad avere il suo posto»

Accogliete a bordo anche ragazzi autistici? 

«Certo. Ragazzi autistici anche gravi hanno potuto tenere il timone e sono riusciti a superare la paura di scendere in acqua per un bagno da una scaletta ripida o grazie alla nostra imbracatura. Accogliamo pure studenti delle medie. Molti hanno ricoperto a rotazione tutti i ruoli, cucinato per la prima volta in vita loro, lavato i piatti con un filo d’acqua, dormito sotto le stelle, lavandosi con l’acqua di mare e il sapone di Marsiglia per non inquinare». 

Se dovesse descriversi?

«Direi che sono una Marinaia: cresciuta navigando in mare ho continuato a navigare a terra, affrontando le buriane della vita cercando di restare con il timone in mano, aspettando la calma per recuperare le forze. Dal 2011 sono “operatore velico sociale” dopo il corso “Navigazione e formazione umana” della facoltà di scienze dell’educazione dell’Università LUMSA e UVS; sono “counselor relazionale ad approccio integrato” dopo un corso triennale sempre della LUMSA. Essere counselor mi permette di saper allungare una mano quando qualcuno sta faticando, lanciare il salvagente e restargli accanto mentre riprende a nuotare». 

I suoi valori, come li fa dialogare con il territorio dell’isola d’Ischia?

«Da giovane mi piaceva battermi, discutere, teorizzare. Sono poi arrivata alla conclusione che “le parole sono come perle false” e che quello che conta sono le azioni. Con la mia famiglia avevo destinato la nostra proprietà a diventare un centro Socio-assistenziale che fosse testimonianza di buone prassi. Doveva essere un luogo dove potevano confluire esperienze formative per i ragazzi e le ragazze che non riescono a finire la scuola. Non ci sono riuscita. Mentre la giustizia farà il suo corso io scelgo di essere semplicemente una persona che naviga facendo del suo meglio serenamente, onestamente e in pace».  

«In Italia il terzo settore comunque ricopre un ruolo enorme di intervento sociale dove lo Stato non arriva ma servono risorse. E così i diritti dei deboli dipendono da un finanziamento e chi si occupa della cura dei più fragili è costretto a diventare un “progettificio” alla continua caccia di risorse economiche»

L’universo associativo isolano avrebbe maggiore necessità di dialogo?

«L’anno scorso abbiamo partecipato a un bando che finanziava progetti che favorissero la creazione di “Comunità educanti”. Purtroppo un difetto procedurale ha bloccato il procedimento di valutazione. In quella occasione avevamo coinvolto alcune realtà del terzo settore che conosciamo, le scuole, l’ufficio di ambito, le famiglie e lo avevamo chiamato “Laboratorio Equipaggio Educante”: credo che il nome dica tutto. Prevedevamo momenti a bordo con brevi navigazioni in cui avremmo riunito, mescolandole tra loro, assistenti sociali, educatori, responsabili dei servizi, insegnanti, dirigenti scolastici, genitori, ragazzi per poi portarli a incontri in cui ascoltarsi l’un con l’altro, condividere i problemi di ognuno nell’espletamento dei propri compiti, attività di formazione sulla comunicazione». 

A che punto siamo oggi? 

«In Italia il terzo settore comunque ricopre un ruolo enorme di intervento sociale dove lo Stato non arriva ma è condannato a battersi per trovare le risorse economiche per tirare avanti. Questo significa da un lato che i diritti dei più deboli sono continuamente minacciati dalla fine di un finanziamento e dall’altro chi della cura dei più fragili, dai bambini ai disabili fino agli anziani ha fatto la propria professione, è costretto a diventare un “progettificio” alla continua caccia di risorse economiche. Ischia potrebbe essere l’eccezione che conferma la regola se superasse l’individualismo, la diffidenza, l’antagonismo politico e si rendesse conto che, alberghi e turismo a parte, c’è tanto altro in termini di possibilità di sviluppo sociale ed economico. Direi che comunque ognuno è isolato nella sua realtà, diffidente verso gli altri». 

Quali sono per il futuro i progetti dell’associazione?

«A parte il progetto “A Scuola per Mare” che si concluderà nel 2023, vorremo continuare a offrire percorsi di incontro e crescita per i giovani, occasioni di sollievo e sostegno per chi attraversa momenti di difficoltà offrendo anche momenti di counseling in mare e a terra. Il Covid ha frenato lo slancio che le nostre attività avevano vissuto con le scuole ma è un discorso da riprendere».

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