CULTURA & SOCIETA'

Alfred Rittmann, lo svizzero padre della vulcanologia moderna

Lo svizzero è ricordato come colui che ha reso la vulcanologia una scienza interdisciplinare. A lui si devono grandi teorie sull’isola di Ischia, i Campi Flegrei e l’Etna in Sicilia.

DI MARIO MESSINA

Arrivando a Ischia da Napoli, la prima cosa che si nota in lontananza è il Monte Epomeo, la cima più alta dell’isola. Oggi è risaputo che si tratta di un blocco inclinato di tufo verde formatosi nel corso dei millenni a causa di un accumulo di magma sottostante. Ma se oggi è cosa nota, non lo era fino a meno di un secolo fa quando era opinione comune che quel monte fosse un vulcano e che il motivo per cui non aveva la sua tipica forma era legato al fenomeno di erosione a cui era andato incontro nel corso dei secoli. A comprendere la vera natura del Monte Epomeo – e quindi di tutta Ischia – fu uno svizzero: il geologo e vulcanologo Alfred Rittmann. Nacque a Basilea nel 1893 e studiò nella Confederazione, tra Basilea e Ginevra, ma è all’Italia che il suo nome è legato perché qui Rittmann svolse la gran parte della sua attività professionale.

Dal Vesuvio all’Etna

“Rittmann stette in Italia in tre fasi diverse”, racconta a tvsvizzera.it Daniele Musumeci, dottore in scienze dell’interpretazione che ha dedicato gran parte della sua ricerca proprio alla figura dello svizzero. “La prima fase fu dal 1926 e 1934 a Napoli. Erano anni in cui il Vesuvio era attivo e Rittmann fu chiamato a lavorare per Immanuel Friedlaender”. Ricco banchiere di nazionalità tedesca e svizzera, Friedlaender aveva un forte interesse per la vulcanologia. Tanto che negli anni Venti del Novecento decise di chiudere le sue attività commerciali e dedicarsi completamente allo studio dei vulcani. A Napoli istituì l’Istituto Vulcanologico Immanuel Friedlaender, un ente di ricerca privato che faceva concorrenza al più antico e celebre Osservatorio Vesuviano. “La seconda fase di Rittmann in Italia fu negli anni Quaranta quando fu chiamato a svolgere lavori di geologia applicata lungo gli Appennini, nell’Italia centrale. Infine, dal 1958 al 1980 sarà a Catania dove nel 1960 fonderà un istituto che, tramite vari cambi di denominazione, è arrivato fino ad oggi ed è l’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia”.

Il padre della vulcanologia interdisciplinare

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A livello internazionale Rittmann divenne noto tra i suoi colleghi solo negli ultimi anni della sua attività, quando assunse la presidenza della International Association of Volcanology and Chemistry of the Earth’s Interior. Ma questa fama fu dovuta al suo lavoro precedente, soprattutto quello svolto nel periodo napoletano. “Nel giro di un decennio, dal 1926 al 1936, Rittmann mise insieme delle teorie che resero la vulcanologia una scienza interdisciplinare. Prima di allora la disciplina era considerata in maniera diversa: era semplicemente lo studio osservativo e descrittivo dei fenomeni vulcanici. Qualcuno tendeva ad accompagnarla con la petrografia, lo studio e la classificazione delle rocce vulcaniche. Le altre discipline geologiche e delle Scienze della Terra viaggiavano per i fatti loro. Rittmann è colui che mise tutto insieme: la tettonica, la magmatologia, la petrografia e la vulcanologia in senso classico. Di questo approccio moderno e interdisciplinare lui fu il padre”, spiega il dottor Musumeci.  Con questo approccio Rittmann elaborò soluzioni molto originali su Ischia, ma più in generale sui Campi Flegrei e anche sul Vesuvio.

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L’addio a Napoli e gli anni in Egitto

Quelli della presenza di Rittmann a Napoli furono anni particolarmente difficili per l’Italia. Gli anni in cui ci si stava preparando – in maniera più o meno consapevole – a quella che diventerà la Seconda Guerra Mondiale. A un certo punto gli stranieri presenti nel Belpaese cominciarono a essere visti di cattivo occhio. L’Istituto Friedlaender fu costretto a chiudere. Il fondatore fu accusato di spionaggio internazionale e Rittmann, pur avendo creato straordinari rapporti a Ischia e a Napoli con la popolazione locale, non riuscì a crearsi uno spazio nella comunità accademica napoletana estremamente territoriale e chiusa. Insomma, il suo approdo naturale – la direzione dell’Osservatorio Vesuviano – gli fu precluso per ragioni politiche. Così lo scienziato svizzero decise di dire addio all’Italia, rientrare in patria e dedicarsi alla stesura del suo volume I vulcani e la loro attività.

Il ritorno in Italia e la fondazione dell’Osservatorio Etneo

“Le difficoltà di Rittmann a farsi accettare nell’ambiente accademico italiano furono dovute senz’altro al fatto che molti dei suoi colleghi non fossero esattamente esterofili. Ma di sicuro in tutta questa storia ha avuto un ruolo anche il suo carattere”, racconta Daniele Musumeci. “Rittmann è stato raccontato da chi l’ha conosciuto come un uomo simpatico, affabile e mite. Addirittura un bravo raccontatore di barzellette. Ma allo stesso tempo assolutamente incapace di mettersi al servizio dei potenti e di scendere a compromessi. Quindi sicuramente avrà avuto i suoi contrasti in ambito accademico”, continua il ricercatore. A un certo punto, però, la sua fama e il suo lavoro divennero tanto importanti da aprirgli una strada per il ritorno in Italia. Nel 1958 fu chiamato a dirigere l’Istituto di vulcanologia dell’Università di Catania. Lasciati il Vesuvio e i Campi Flegrei alle spalle, Rittmann si specializzò dunque nello studio dell’Etna, dei monti Iblei e dell’isola di Pantelleria.

L’amore per Ischia

Ma una volta rimesse radici in Italia tornò a occuparsi anche di Ischia. Questi sono gli anni in cui lo studioso si recherà sull’isola in ogni momento libero dai suoi impegni a Catania. Intorno a lui creerà una sorta di “salotto” fatto di pensatori e di studiosi dell’isola di qualsiasi ambito e disciplina. Vincenzo di Meglio, professore di lettere in pensione, è il nipote di Giovan Giuseppe Scotti, che in quegli anni fu autista e assistente dello svizzero. “Avendo una certa età e dovendo girare in lungo e in largo per l’isola per i suoi sopralluoghi, Alfred Rittmann andò alla ricerca di un autista che avesse anche un’insolita capacità: l’essere un provetto scalpellino. Per questo alla fine scelse mio zio che precedentemente era stato scalpellino e spaccapietre”. Lo zio del signor Di Meglio racconterà alla famiglia che in quegli anni Rittmann continuò la sua ricerca sull’isola raccogliendo centinaia di reperti geologici. Pietre che raccoglieva in grandi valige che poi portava con sé al suo ritorno a Catania. Qualcuno, così, cominciò a chiamarlo “l’uomo delle pietre”. Qualcun altro “il pazzo delle pietre”. Insomma, il comportamento dello svizzero di sicuro non passava inosservato.

Una vita tra Ischia e Catania

Gli ultimi anni della sua vita Rittmann li trascorse così: a Catania nei giorni feriali, a Ischia (dove si sposò con una donna del luogo) d’estate e durante le feste. Ma fu in Sicilia che riuscì a portare a termine il suo più importante atto a livello politico-accademico. Si legge sul sito ufficiale dell’Istituto: “Nel 1961 riuscì ad organizzare a Catania un importante convegno sulle ignimbriti, radunando sul tema scienziati di fama internazionale. L’atto più importante di questo periodo fu la promozione della nascita di un istituto di ricerca internazionale ai piedi del vulcano più attivo d’Europa: l’Etna. Questo grande (…) si concretizzerà alla fine di quel decennio con la nascita del Laboratorio Internazionale per le Ricerche Vulcanologiche del CNR (1968) sotto il patronato dell’UNESCO. Dopo due anni, il nuovo Istituto si trasformerà nell’Istituto Internazionale di Vulcanologia. Di questi enti ebbe la direzione del consiglio scientifico e la presidenza onoraria ma, al di là di qualunque considerazione, ne fu l’anima”. Oggi quell’istituto è l’Osservatorio Etneo del CNR. A Catania Rittmann riuscì, tra le altre cose, a teorizzare un metodo per deviare i corsi delle colate laviche in modo da poterne limitare i danni. Durante l’eruzione del 1983 per la prima volta nella storia fu applicata questa teoria. Rittmann però non fece in tempo a vederla messa in pratica. Morì, infatti, nel 1980 a Piazza Armerina, ai piedi dell’Etna.

TRATTO DA “QUI SVIZZERA”

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