LE OPINIONI

IL COMMENTO Patrimonio UNESCO, possibilità o utopia?

DI LUIGI DELLA MONICA

Non potevo esimermi dal fare ingresso nel dibattito per istituire l’isola d’Ischia patrimonio dell’UNESCO. Sono costretto ad intervenire su questo tema suggestivo e quanto mai foriero di riflessioni, per porre un argine agli entusiasmi, in quanto uomo di Croce Rossa Italiana, ahimè in quiescenza, e cittadino del “Borgo di Celsa”.Vi è un equivoco di fondo, che va chiarito: la protezione di un sito UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura non va confusa con una sorta di parco nazionale a cielo aperto, ovvero con un’oasi del WWF. L’esigenza nacque nel secondo conflitto mondiale si manifestò nella sua brutalità, crudeltà e disomogeneità, per opera delle squadriglie naziste, particolarmente amate dalla seconda carica del Terzo Reich il criminale Goering, e specializzate nel trafugare opere d’arte di inestimabile valore storico, culturale ed archeologico nelle aree occupate. Anche la filmografia ci ha narrato qualche anno fa, con un cast di attori eccellenti, che si dovette mettere insieme una “task force” nel 1943 di esperti militari angloamericani per trovare centinaia e centinaia di reperti sottratti inopinatamente dalle truppe tedesche e nascoste nelle miniere, i c.d. “Monuments men”.

Ancora, durante le razzie naziste contro gli ebrei, spesso venivano vandalizzati e distrutti i ghetti delle città mitteleuropee e le relative sinagoghe, indiscriminatamente distruggendo edifici dal pregio storico incommensurabile; questa pratica di profanare i tempi di culto, tuttavia, non fu disdegnata durante le guerre civili spagnole, specie da parte dei filo repubblicani e nemmeno dai giapponesi nella guerra della Manciuria a danno delle popolazioni cinesi. Le atrocità commesse dai repubblicani spagnoli contro il cristianesimo e contro la Chiesa, in quei tre anni (1936-1938), allorquando la Spagna conobbe una vera e propria persecuzione religiosa, che portò alla distruzione del 70% delle chiese e all’uccisione di quasi diecimila persone, tra le quali vescovi, sacerdoti e seminaristi, religiosi, suore e diverse migliaia di laici, emersero soltanto come nefandezza della storia, per opera di San Giovanni Paolo II, il quale cominciò a beatificare tanti di quei martiri. In riferimento alla guerra cino-giapponese, inoltre, due anni prima che Adolf Hitler invadesse la Polonia, nel 1937, l’Asia assaggiava il primo, violentissimo antipasto della Seconda Guerra Mondiale: il massacro di Nanchino. In una Cina allo sbando, frammentata e contesa dalle potenze coloniali, l’esercito imperiale giapponese, che nel 1931 si era inglobato la Manciuria senza incontrare troppe difficoltà, era pronto a marciare da Nord a Sud. L’obiettivo: conquistare l’ex Impero di Mezzo.Il 7 luglio 1937, con il pretesto di un incidente con le truppe locali avvenuto sul ponte di Marco Polo, non distante da Pechino, i giapponesi dettero il via alla loro discesa verso le terre del sud. Shanghai cadde sotto i colpi dell’armata dell’imperatore Hiroito. A quel punto gli invasori giapponesi risalirono il fiume Yangtze e, il 13 dicembre 1937, fecero breccia nella città di Nanchino. Una città antica, piena di storia, elegante. Ma soprattutto rilevante, perché i nazionalisti cinesi, guidati da Chiang Kai Shek, l’avevano issata a capitale nazionale. I giapponesi, rievocano le ricostruzioni dell’epoca, non ebbero pietà. In otto settimane gli occupanti si scatenarono incendiando e distruggendo gran parte di Nanchino. Non c’è uniformità sul numero delle vittime (molti corpi furono gettati nel fiume Yangtze o finirono dispersi), anche se le stime più affidabili parlano di circa 260mila civili cinesi uccisi – o meglio: massacrati senza pietà… Articolo di Federico Giuliani, esperto di cultura asiatica per il quotidiano “Il Giornale” 13.12.2020.

È questo lo scenario che intendeva preservare un sito protetto dell’UNESCO, che è dipartimento dell’Organizzazione delle Nazioni Unite preposta alla diffusione e protezione del simbolismo culturale immortalato nelle opere d’arte, in ogni sua forma, origine e manifestazione intellettuale e fisica. In altri termini, l’UNESCO è quella summa di valori di “Grande Bellezza” che si contrapponeva alla crudeltà ed abnormità della guerra e\o del conflitto armato, la cui storia ha visto distruggere oppure deprivare immotivatamente rispetto alle esigenze di conquista militare i beni culturali del Paese occupato e\o invaso. Il mezzo di combattimento idoneo a minorare fisicamente l’avversario non deve essere direzionato alla soppressione ovvero al danneggiamento permanente del suo fisico, quando ferito, ovvero al suo bagaglio ideologico e culturale: viene introdotto nella tattica militare il concetto, poi codificato nello ius in bello, termine specifico che metaforicamente si manifesta come un cartellino rosso ai belligeranti, della distinzione fra obiettivi militari ed obiettivi civili. Questi ultimi, che genericamente possono ricomprendere le abitazioni, gli edifici di culto, i teatri ed altre strutture destinate alla educazione ed al ricovero di persone inoffensive e non partecipanti al conflitto, sono da estromettere dagli effetti collaterali distruttivi dell’impiego della mano militare.

Sin qui, il sillogismo con Ischia e la bellezza non fa una piega, ma va da sé che l’isola, nell’insieme delle sue aree di pregio storico è sicuramente protetta dal seguente riferimento normativo Art. 48. I Protocollo Aggiuntivo alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 già ratificate in Italia con la L. n.1739 del 27.10.1951 – Alloscopodiassicurareilrispettoelaprotezionedellapopolazionecivile e deibenidicaratterecivile,lePartiinconflittodovrannofare,inognimomento, distinzione fralapopolazionecivileeicombattenti,nonchéfraibenidicaratterecivileegliobiettivimilitarie,diconseguenza,dirigereleoperazionisoltantocontroobiettivimilitari… avente ad oggetto le quattro convenzioni; la L. n.762 del 11.12.1985 ratifica il primo ed il secondo protocollo aggiuntivo alle quattro convenzioni di Ginevra. Quest’ultima incorpora la Convenzione UNESCO del 1972 per la tutela del patrimonio culturale e naturale mondiale, grazie alla quale si è compiuta quella rivoluzione copernicana auspicata nel Preambolo dell’Atto costitutivo dell’UNESCO, attraverso l’introduzione del concetto di “patrimonio culturale” (cultural heritage) come valore universale da proteggere non solo in caso di conflitto armato, ma anche in tempo di pace, in quanto testimonianza del passaggio dell’uomo nella storia. Ancora, lo Statuto della Corte Penale Internazionale dell’Aja, approvato dalla Conferenza di Roma del 17.07.1998, all’art. 7 definisce crimine contro l’umanità <<attaccare, bombardare con qualsiasi mezzo città, villaggi, abitazioni, edifici senza difesa, diversi da obiettivi militari>>, all’art. 8 <<sfrerrare attacchi deliberati contro edifici storici, saccheggiare beni ed edifici storici>>.

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A mente di ciò, l’isola ed i suoi gioielli storici, paesaggistici e culturali sono senz’altro protetti, al di là del proprio intrinseco valore storico unico al mondo, senza bisogno di instituire zone protette UNESCO. Purtroppo, bisogna fare i conti con la dura realtà che si è manifestata negli ultimi 75 anni che ci separano dalla istituzione dell’UNESCO ed il mondo odierno. Un interessante pubblicazione, intitolata Il Diritto Internazionale e la Protezione del Patrimonio Culturale Mondiale a cura di Elisa Baroncini del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Bologna, edizione maggio 2019, si occupa dell’attrattiva turistica e commerciale assunta dai siti UNESCO, in assenza di conflitti armati su vasta scala geografica. Senza dubbio vi sono profondi vantaggi conseguenziali alla creazione di un sito UNESCO in Ischia, ma non mancano criticità e profili problematici. Ciò comporta la necessità di implementare le strutture a disposizione e crearne di nuove, dall’altra, gli stessi turisti, nel visitare i luoghi, possono cagionare dei danni, tanto all’ambiente, in termini di inquinamento e danneggiamento dell’ecosistema naturale, nonché sulle comunità locali, specialmente se indigene, che vivono in quei luoghi, quanto ai beni in sé – pag.247 del ebook di Elisa Baroncini. Il Programma UNESCO sul Patrimonio dell’Umanità ha subito diverse revisioni da quando la Convenzione è entrata in vigore nel 1972, al fine diarricchire ed allargare la portata del progetto, quale per esempio, la Global Strategy for a Balanced, Representative and Credible World Heritage List 6 del 1994, con cui si mirava al riequilibrio nella distribuzione dei beni a livello mondiale. Tuttavia, se si esclude l’inserimento all’interno del testo della Convenzione del termine “turismo” nel 1997, nessuna disposizione specifica è mai stata adottata al riguardo, tanto che la responsabilità di garantire la sicurezza dei siti patrimonio dell’UNESCO è ricaduta sugli stessi stati parti della Convenzione.

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Qui stride una nota dolente: la istituzione di un sito UNESCO inevitabilmente comporterà degli aggravi di spesa collettiva, ovvero delle organizzazioni nazionali, pubbliche e\o incaricate dal pubblico, di vigilare, gestire, monitorare, proteggere e garantire fattivamente che i beni dotati del “World Heritage Emblem” siano in linea con i parametri guida del dipartimento dell’ONU. Nel novembre 2012, la comunità UNESCO ha celebrato il quarantesimo anniversario della Convenzione. Durante la cerimonia è stato lanciato la “cosiddetta Kyoto Vision” che riprende ancora una volta i principi secondo cui, da una parte proteggere non solo i siti, ma anche i turisti che li visitano rientra tra gli obiettivi della Convenzione, e dall’altro che i siti suddetti garantendo tale protezione, garantiscono, in conseguenza, a loro stessi il mantenimento dello status raggiunto in seguito all’iscrizione in tale lista. Sicuramente non è in discussione la proverbiale ospitalità ischitana, ma senza dubbio si dovrebbe verificare una rivoluzione epocale: i rari ma reali episodi di scortesia che talvolta colpiscono taluni ospiti dell’isola potrebbero avere una eco talmente forte, che un semplice equivoco sarebbe idoneo a generare una polemica sul web immediata e dannosissima per l’immagine dell’isola. Ma vi immaginate la recensione su facebook, su instagram oppure su youtube di un turista straniero che, ad esempio in pieno agosto, nella baia di Cartaromana, oppure di San Pancrazio, segnala la schiuma delle barche oppure rivoli d’acqua nauseabondi provenienti da alcuni edifici?

Fra i siti naturalistici protetti, ad esempio, l’Italia annovera i vitigni del Monferrato, ma io non conosco il sapore di un buon bicchiere di vino bianco di Campagnano da almeno trent’anni. Che fine hanno fatto le parracine di origine greca, per ospitare le coltivazioni di viti e gli ulivi? Ancora vogliamo cogliere l’occasione del presunto bracconiere per instituire una zona didattica di bird whatching, ma non vedo coltivazioni intensive sull’isola, su cui vi è un abbandono progressivo dell’agricoltura, a dispetto della tradizione greco-romana ed anche borbonica. Il meraviglioso Castello Aragonese, non so se tutti i turisti sanno che è composto, fra Maschio, Lato di Levante e Lato di Pontente, da ben 22 punti di visita ed ancora preserva tesori archeologici dal valore incommensurabile. L’isolotto di Sant’Angelo d’Ischia non è propriamente un sito naturalistico incontaminato. Tuttavia, per osservare le linee guida della Convenzione UNESCO vi è l’indispensabile cooperazione tra le comunità locali, gli amministratori, gli operatori del turismo, i legislatori, i proprietari ed i gestori dei siti: siamo sicuri che Ischia sia pronta; siamo a discorrere di realtà o di utopia?

La Convenzione stabilisce che è compito degli stati parti alla stessa di “garantire che misure efficaci e attive siano adottate per la protezione, la conservazione e la presentazione del patrimonio culturale e naturale situato nel suo territorio”. “I turisti si aspettano una certa esperienza quando visitano un sito del patrimonio mondiale, in quanto l’emblema e l’iscrizione nella Lista indicano che un sito non è importante solo per lo stato che lo ospita, ma che la comunità internazionale ha interesse alla sua conservazione”– pag.263 dell’ebook di Elisa Baroncini. Io sarei il più felice del Mondo, se gli operatori turistici ischitani ed i cittadini maturassero questo fortissimo cambio di passo epocale, ma per approdare a ciò bisognerebbe instituire corsi di formazione dedicati ad indottrinare anche le persone non strettamente legate professionalmente al settore di accoglienza dei forestieri, perché l’isola decuplicherebbe le sue presenze e soprattutto terminerebbe la sua malsana pratica di puntare tutta la capienza reddituale sui mesi di luglio ed agosto: si avrebbe un contatto con il turista 365 giorni all’anno, sette giorni su sette e tutti i 68 mila abitanti dei nostri sei comuni dovrebbero trasformarsi in mini guide turistiche, anche in lingue diverse. È una sfida che spero venga accolta, ma bisogna sempre mantenere i piedi per terra.

* AVVOCATO

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