LE OPINIONI

IL COMMENTO C’è ancora spazio per la programmazione?

Noi ischitani siamo abituati a guardare il mondo dall’ombelico dell’isola. Pensiamo e ci illudiamo in due modi diversi: o che tutto ci sia dovuto per la bellezza del territorio o che possiamo programmare con certezza il futuro turistico ed economico in modo da indirizzare e captare i nuovi flussi del turismo internazionale. La prima delle ipotesi è nettamente fuorviante, per la logica elementare che chi “sta fermo” viene superato dagli altri concorrenti dell’offerta turistica e per la logica che il territorio, per quanto bello e attrattivo sia, va tutelato, mantenuto e implementato, pena il degrado progressivo. Il guaio serio è che l’incertezza globale, i cigni neri in agguato in varie parti del mondo rendono le cose così imprevedibili che “Programmare il futuro”, almeno come lo abbiamo inteso fino ad oggi, è pressoché impossibile. Il fatto grave è che il mondo è diventato maledettamente complesso. E’ un groviglio di problemi difficilmente risolvibili. Dalla pandemia (che, sia pure in forma leggera, si ripresenta) alla guerra tra Russia e Ucraina, ai sabotaggi russi del gasdotto tra Estonia e Finlandia, alle tensioni nei Balcani, alle tensioni tra Stati Uniti, Cina, Corea, Taiwan, infine allo stato di guerra di Israele aggredita, in forme disumane, dai terroristi di Hamas, il tutto in una terza guerra mondiale (senza epicentro, mobile e mutevole, frammentata). Senza contare fenomeni di cambiamenti climatici che fanno aumentare esponenzialmente le emigrazioni da territori sempre più invivibili. E senza contare l’aumentata frequenza di cataclismi naturali (o incentivati dalla mano maldestra dell’uomo) come terremoti, alluvioni, frane, incendi boschivi. L’Europa, che a fatica stava tentando di diventare una Confederazione di Stati capace di rendersi autonoma dai colossi mondiali come Stati Uniti, Russia, India, Cina, Turchia, appare smarrita e sorpresa da eventi imprevedibili e improvvisi, come quello ultimo dell’aggressione di Hamas ad Israele. L’Italia, dopo vari incidenti diplomatici con Francia prima e poi con la Germania ( principali partner europei), fortunatamente ricondotti in binari ragionevoli, non ha una propria strategia pronta per affrontare la complessità mondiale. Ed è grave, perché l’Italia è un paese turistico, un paese industriale che esporta molto, un paese che ancora dipende molto dall’estero da un punto di vista energetico e per molti prodotti alimentari fondamentali come il grano. Figuriamoci se, in questo panorama, l’isola d’Ischia possa essere in grado di programmare il suo futuro, secondo i canoni classici della programmazione. 

Si potrebbe pensare che, allestendo un Osservatorio Statistico serio interisolano, si possano  – in qualche modo – intuire e prevenire i cambiamenti e gli scenari mondiali. Certo, sarebbe meglio ma non sufficiente e risolutivo. Ha detto bene Ejarque (l’esperto spagnolo del turismo) che non bastano più i Big Data, perché mentre vengono raccolti ed elaborati, è già cambiato lo scenario mondiale. Per cui è meglio una “Intelligence Turistica” (Travel Business Intelligence). Quello che possiamo e dobbiamo fare, nell’ambito isolano (ed è già una fortuna che si tratti di un territorio circoscritto ed omogeneo) è creare un Osservatorio estremamente duttile e flessibile, basato sulla consultazione costante degli Enti locali (meglio se uniti) con tutti gli stakeholders del turismo e dell’economia isolana. Una verifica sul campo, giorno per giorno, delle richieste che pervengono, le prenotazioni, le disdette, i gradimenti e le critiche. Non mi piace la parola “adattamento” alla realtà, la cosiddetta “resilienza”.Non possiamo limitarci a “resistere”, dobbiamo comunque operare con dinamismo, sapendo però che quello che ci sembra giusto per oggi, per questa settimana, per questo mese, può essere smentito un attimo dopo. Tanto per fare un esempio, cosa succederà a seguito dell’ultima fiammata mediorientale, i cui esiti possono essere disastrosi e coinvolgere altri paesi come Egitto, Libano, Algeria, Tunisia, Arabia Saudita, Siria, Qatar, Iran, Turchia? Quanta ragione ha l’esperto giornalista, inviato speciale all’estero per mezzo mondo, Federico Rampini, per quello che ha scritto nel suo ultimo libro “La speranza africana”, che egli definisce “la terra del futuro: concupita, incompresa, sorprendente?”. Un continente di 54 Nazioni, duemila etnie e con una superficie superiore a Stati Uniti, Cina e India messe  insieme. Diversità e complessità, tutte da comprendere e da trattare per le loro specificità, mentre noi occidentali, europei,italiani siamo generalmente spinti a giudizi binari: noi o loro. Loro chi? Quanti “loro” ci sono nel mondo? E quanto risentiremo, noi isolani, i tragici ultimi eventi bellici che rischiano di coinvolgere più paesi del Mediterraneo? 

Per essere all’altezza di affrontare la grande complessità e incertezza mondiale, ci vuole gente competente, ci vuole studio, cultura, informazione. Guai a pensare che l’amministratore alla buona (come una volta), capace magari di gestire l’ordinaria manutenzione del Comune e di una bonomia relazionale con gli elettori, possa bastare. Senza occhi ed orecchie sugli accadimenti mondiali, non andremmo da nessuna parte. E’ forse su questo terreno globale che i giovani “colletti bianchi”, con formazione culturale avanzata e che generalmente sono distaccati dalla politica, potrebbero rientrare a gioco nelle istituzioni locali ma anche nei quadri dirigenti dell’imprenditoria locale. Riusciremo a comprendere la complessità del mondo moderno e la flessibilità di un nuovo modello di programmazione locale solo con più cultura, con maggiore preparazione, con maggiore predisposizione a comprendere le ragioni e le motivazioni degli altri, nel resto del mondo. A proposito di “complessità” del mondo e della lettura degli ultimi avvenimenti in Medioriente (in arabo al-Sharq al-awsat), martedì 10 ottobre, la scrittrice Dacia Maraini ha scritto su Il Corriere della Sera, nella sua rubrica “Il sale sulla coda” un articolo dal titolo “Semplificare non aiuta a capire”. Stralcio, dal pezzo, il seguente passaggio: “Per chi crede ancora nelle parole e nell’incontro anziché nello scontro, la cosa che allarma è la semplificazione. Ogni guerra semplifica: da una parte i nemici da colpire, dall’altra gli amici da difendere. Ogni accordo, confronto, dibattito, scambio viene eliminato perché la vita deve dividerci tra buoni e cattivi” Questo vale a livello internazionale come a livello locale. Non si può né si deve “ semplificare” ciò che semplice non è. Siamo costretti, anche a livello di micro realtà territoriale, a districarci, con la ragione,  nei grovigli della complessità moderna ed è illusorio pianificare a lungo termine.

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Saverio

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Mi piacerebbe avere i vostri pensieri, per favore commentatex