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Urbanistica, ecco una nuova sentenza

Di Francesco Ferrandino

ISCHIA. In questi giorni, una sentenza della Cassazione ha sollevato  un certo allarme tra coloro che per varie ragioni vivono la logorante attesa di una definizione nell’eterno percorso rivolto a ottenere una concessione in sanatoria per la propria abitazione.  Dopo la sentenza delle Sezioni unite della Cassazione penale n. 15427, depositata lo scorso 13 aprile, sarebbe più difficile ottenere la prescrizione dei reati urbanistici. Proprio in queste settimane, tra l’altro, in Parlamento si sta discutendo un articolato pacchetto di riforme del codice penale, del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario che il Governo aveva presentato alla Camera lo scorso anno, comprendente anche una riforma della prescrizione. Il dibattito parlamentare in corso vede emergere alcuni contrasti anche all’interno della compagine governativa: il Partito Democratico spinge per l’aumento dei termini di prescrizione (soprattutto per il reato di corruzione), mentre invece il Nuovo Centrodestra di Alfano è contrario.

IL DIBATTITO PARLAMENTARE. Uno degli aspetti più controversi del “pacchetto”  è appunto  la  riforma della prescrizione del reato, con la previsione di una nuova disciplina della sospensione del decorso del termine (l’art. 5 del D.D.L.  riscriverebbe l’art. 159 c.p.). Emergerebbe la necessità di contemperare due esigenze contrapposte: da un lato «evitare che il decorso del termine impedisca, di fatto, al processo di poter disporre di tempi ragionevoli»; dall’altro lato, l’esigenza dell’imputato «di essere tutelato dall’eventualità di rimanere esposto, senza un limite temporale ragionevole, al procedimento penale».  Il punto focale innovativo risiede nel nuovo secondo comma dell’art. 159 c.p., come concepito nel disegno di legge in discussione, secondo il quale il decorso del termine di prescrizione rimane sospeso anche dopo il deposito della sentenza di condanna in primo grado, nonché della sentenza d’appello. La relazione di accompagnamento recita infatti: «il nucleo della riforma fa leva sulla sentenza di condanna di primo grado che, affermando la responsabilità dell’imputato, non può che essere assolutamente incompatibile con l’ulteriore decorso del termine utile al cosiddetto oblio collettivo rispetto al fatto criminoso commesso.

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