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Morte a Serrara, la difesa chiede l’assoluzione per Napolitano

Con l’arringa della difesa si avvia alla conclusione il processo che vede l’isolano imputato del reato di maltrattamenti in famiglia aggravati dalla morte nei confronti di Renata Czesniak, avvenuta nel gennaio 2019

Quella svoltasi ieri in Corte d’Assise a Napoli dovrebbe essere la penultima udienza prima del verdetto. Parliamo del processo per la morte di Renata Czesniak, la 43enne di origine polacca, scomparsa a gennaio del 2019. Il suo compagno, Raffaele Napolitano, venne accusato di maltrattamenti in famiglia, aggravati dalla morte. Il drammatico episodio avvenne la sera del 12 gennaio, dopo una lunga giornata in cui i due avevano avuto diverse occasioni di attrito, aggravate dal pesante consumo di alcolici. Dopo una caduta sul pavimento, e nonostante l’intervento degli addetti del 118, non si riuscì ad impedire il decesso della donna.

Ieri, dinanzi alla Corte di Assise, è andata in scena la discussione finale della difesa, sostenuta dagli avvocati Francesco Pero e Daniele Trofa. Ma prima è stata la volta della pubblica accusa e della parte civile che si sono riportate alle conclusioni già enunciate nell’udienza di due settimane fa, col pm che ha ribadito la richiesta di condanna a 13 anni. Tuttavia l’avvocato Pero ha subito sollevato un’eccezione, in quanto in quell’udienza il collega Trofa non era presente e le conclusioni di accusa e parte civile non gli erano state inviate. Le due requisitorie non erano infatti state trascritte, e anzi quella del pubblico ministero risultava non registrata. In sostanza, la difesa solleva la questione secondo cui uno dei legali dell’imputato è rimasto all’oscuro di una fase processuale.

In ogni caso, è stata poi la volta della lunga arringa difensiva, tenuta dall’avvocato Pero, durata quasi due ore, al termine della quale il professionista ha depositato anche una memoria di quasi trenta pagine.

La difesa, sostenuta dagli avvocati Francesco Pero e Daniele Trofa, ha rimarcato l’assenza dei requisiti essenziali per la configurazione del reato di maltrattamenti in famiglia, a partire dalla convivenza more uxorio e dall’abitualità

La difesa si è innanzitutto richiamata a una recente sentenza della Terza Sezione della Corte di Cassazione, la n.345/2019, per corroborare l’affermazione secondo cui non è sufficiente la materiale convivenza sotto lo stesso tetto per sostenere l’esistenza di una convivenza “more uxorio”. Per contestare il reato di maltrattamenti in famiglia, classificato come reato proprio, è necessaria quest’ultimo tipo di convivenza. Dunque coi connotati di una convivenza assimilabile a quella matrimoniale. Elemento assente, secondo la difesa, nel rapporto tra Renata e Raffaele, con la prima che spesso sarebbe stata ospite presso altri conoscenti, abbandonando di frequente l’abitazione serrarese. L’unico interesse che legava i due sarebbe stato dunque essenzialmente di tipo materiale, costituite dal bisogno di soddisfare esigenze elementari come il consumare i pasti in comune, in sostanza entrambi a spese della madre dell’imputato, visto che i due non lavoravano. Quindi nessun “progetto di vita in comune” vi era tra i due, né tantomeno l’idea di avere un figlio.

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Il difensore ha anche contestato l’affermazione della parte civile, secondo cui Napolitano e la madre obbligavano la Czesniak a fare le pulizie di casa, in un’abitazione di pochi metri quadri, quando in realtà è prassi, nelle relazioni familiari, darsi a vicenda una mano per il disbrigo delle ordinarie pulizie. Un affermazione che, per la difesa, è la prova che Renata non si sentiva parte di un contesto familiare, dunque anche tale circostanza contribuisce a smontare il reato di maltrattamenti in famiglia. Le diverse frequentazioni della Czesniak con altri uomini costituiscono quindi l’ennesima prova dell’inconsistenza dell’accusa, frequentazioni tra le quali vi era anche quella con l’ex marito, il quale a suo tempo l’aveva invece denunciata più volte per abbandono del tetto coniugale.

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Anche la ricostruzione della scena dell’episodio è stata oggetto dell’analisi della difesa. In particolare, l’accusa ipotizzava un tentativo di sviare le indagini mediante modifica della scena, togliendo i frammento di vetro rimasti in terra di un bicchiere rotto durante quella giornata. Ma in realtà tali frammenti furono rimossi su indicazione della prima squadra di pronto soccorso arrivata sul posto, per evitare ferimenti durante i tentativi di rianimazione.

Contestata anche la validità della relazione del consulente della Procura. Tra un mese le repliche e verosimilmente il verdetto

Nel corso della lunga arringa, l’avvocato Pero ha rimarcato anche i valori del tasso alcolemico riscontrato, già oltre il limite superato il quale si cade nel rischio di collasso. E la signora più volte, secondo le testimonianze, era caduta da sola per terra, a causa dell’elevato consumo di alcol. Inoltre, la difesa ha sottolineato che per il reato di maltrattamenti nel caso in esame manca un elemento essenziale quale l’abitualità, oltre che la costrizione, vista l’assoluta libertà con cui Renata sovente lasciava l’appartamento.

L’avvocato Pero ha contestato in maniera puntigliosa anche il parere del consulente della Procura, caduto in contraddizione circa i valori della tabella indicante gli effetti dell’alcol sulla salute umana, ma anche riguardo la lesione ossea riscontrata sulla salma: due furono le squadre di soccorso che agirono nel tentativo di far riprendere i sensi alla donna. La 43enne presentava una frattura, che tuttavia, era stata plausibilmente provocata dai ripetuti massaggi quando gli addetti tentarono di rianimarla.

Nelle conclusioni, la difesa ha chiesto l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, in subordine di non doversi procedere per mancanza di querela (non configurandosi l’abitualità per l’ipotesi di maltrattamenti in famiglia), e in ultima istanza di escludere le aggravanti e applicare il minimo della pena con prevalenza delle attenuanti. Il collegio giudicante ha fissato a fine luglio l’udienza per le eventuali repliche, quando verosimilmente sarà emesso il verdetto.

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