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Gianni Buono rewind: «Una stagione breve ma intensa»

Di Francesco Ferrandino

ISCHIA. Sindaco del comune capofila dal 1994 al 1998, gli anni immediatamente successivi al ciclone di Tangentopoli, Gianni Buono vive senza nostalgie il suo attuale distacco dalla politica attiva, e traccia le analogie e le differenze tra ieri e oggi, i cambiamenti del ruolo di amministratore, e vari problemi che vent’anni dopo sono ancora irrisolti.

Lei è stato il primo sindaco della cosiddetta seconda repubblica, in un momento di trapasso anche a Ischia. Cosa ricorda di quell’esperienza?

«È vero, sono stato il primo sindaco d’Ischia della seconda repubblica, ma ho anche ereditato tutti i “carichi” della prima repubblica. Qualsiasi atto dell’amministrazione, a quell’epoca, veniva firmato dal sindaco sotto la sua diretta e personale responsabilità. Ricordo in particolare l’enorme mole di lavoro che ci trovammo ad affrontare: Ischia sembra un comune piccolo se paragonato a quelli della provincia napoletana, ma ampliando lo sguardo oltre la nostra regione, si vede che non è poi tanto piccolo. Prima di poter affrontare i temi che interessavano ai cittadini, dovevamo affrontare un estenuante lavoro di controllo di ogni minimo atto deliberato dall’amministrazione. Inoltre, comuni come il nostro nella stagione estiva vedono raddoppiate le problematiche da affrontare con organici che, invece, restano sempre gli stessi. Il bello è che tutto il “carico ordinario” di lavoro, al cittadino interessa poco, eppure gli addetti ai lavori sanno bene quanta fatica costa l’ordinaria amministrazione».

Fu anche il primo sindaco di Forza Italia, un’insegna che all’epoca “tirava” parecchio. In quel momento contava più il simbolo oppure i singoli uomini candidati, come spesso è stato a Ischia?

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«Le due cose non sono in necessaria contraddizione. Sì, fui il primo sindaco “azzurro”.  Oggi credo sia dannoso smarrire la memoria di certe esperienze politiche. Anche a livello nazionale quell’esperienza con Forza Italia, che oggi si tende a sottostimare, era arricchita da una serie di profili politici e professionali di grande spessore, che poi purtroppo sparirono nel giro di pochi anni. Una delle grandi lezioni della democrazia occidentale è l’importanza del confronto dialettico che porta all’emersione delle personalità più meritevoli. Quando ci si sclerotizza sulle stesse personalità per vari anni, il ricambio diventa più difficile».

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Un mandato da primo cittadino, poi nemmeno la rielezione in consiglio comunale: le pesa il fatto di essere stato una meteora del panorama politico ischitano?

«Ogni esperienza ha la sua “nobiltà”, ma a volte gli accadimenti sono frutto di episodi casuali, o comunque fuori da una strategia. Comunque non mi pesa affatto che la mia esperienza non abbia avuto un seguito a livello di ruoli nella politica locale. La politica può anche essere un mestiere, ma ovviamente deve essere svolta nell’interesse della collettività, altrimenti l’unico interesse di quest’ultima è che uno tolga il disturbo quanto prima. La longevità di una carica è più opportuna all’interno dell’organizzazione di un partito: fare il segretario di un partito è più comprensibile e utile che non fare il Presidente del Consiglio per tutta la vita».

Cosa è cambiato da quando Lei ha lasciato nel 1998 il palazzo municipale fino a oggi? Come riassumerebbe l’ultimo ventennio?

«La carica di sindaco in questi anni è stata sollevata da molte incombenze circa la gestione amministrativa. Attualmente si viene coinvolti a livello giudiziario soltanto se si è davvero intervenuti attivamente (e negativamente) nella catena del procedimento. Oggi, tutto quel che può essere contestato a un sindaco è l’aver brigato ai danni della collettività oppure l’aver mancato di vigilare sull’attività dei componenti della propria amministrazione, quindi adesso egli può dedicarsi più agevolmente ai problemi del comune e della società che, in questi anni, non sono affatto diminuiti ma anzi sono diventati più complessi. Su questo punto, a Ischia, non vedo grossi passi in avanti da quando io lasciai il municipio, con l’aggravante che sono passati inutilmente altri vent’anni in cui, almeno inizialmente, c’erano state anche grandi disponibilità finanziarie».

Cosa ricorda con piacere della sua esperienza da primo cittadino?

«Fare il sindaco è bello perché si riesce a tradurre in concreto i progetti astratti e, a differenza di quel che alcuni pensano, si può fare tanto, ovviamente sempre tenendo presente, come ho detto, le risorse a disposizione e il particolare momento storico in cui si agisce. Credo che la mia amministrazione abbia realizzato diverse cose importanti. A livello di infrastrutture, all’epoca investimmo nel porto di Ischia cifre superiori ai dieci miliardi di lire. Parlo anche dello storico palazzo D’Ambra, il cui utilizzo come è giusto che sia è stato deciso dalle amministrazioni successive. Siamo anche intervenuti sul palazzo comunale, moltiplicando e sfruttando razionalmente gli spazi di lavoro per gli uffici amministrativi, rifacendo l’intero piano terra (che prima era inutilizzabile) e l’antica zona termale, recuperando quasi tutto l’immobile. Il nostro progetto comprendeva anche la realizzazione di un centro studi sul termalismo, risorsa fondamentale per l’isola, che poi per fortuna è stato realizzato, anche se dai privati. Ricordo anche la sistemazione della Riva Destra e le fogne sottostanti: c’era una situazione di polluzione ambientale molto grave. I pontili per le imbarcazioni da diporto furono realizzati e consegnati dalla mia amministrazione nel ’97. Altro intervento è il recupero del Cantiere all’ingresso del porto. Inoltre abbiamo eliminato tutto quel baraccume sulla riva sinistra, dando un aspetto e una funzionalità infinitamente maggiore alla zona di sbarco di auto e mezzi pesanti e creando quindi le premesse per una politica portuale diversa e più razionale. Ad esempio, le biglietterie furono alloggiate all’interno della stazione marittima, prima assente. Impossibile sintetizzare il grande lavoro che c’è stato dietro ciascuno di questi interventi. Da punto di vista sociale,  ci tengo a sottolinearlo, fummo i primi a creare un’assistenza a domicilio per gli anziani, che istituimmo alcuni anni in anticipo anche rispetto a una città come Milano».

E qual è invece il suo maggior rammarico, il maggior cruccio?

«Ce ne sono vari. La mia amministrazione creò molte premesse al punto che, se ci fosse stata una continuità amministrativa negli anni successivi, avrebbero dato grandi frutti. Lasciammo una serie di progetti, già approvati e finanziati, per circa ottanta miliardi di lire. Le faccio un esempio: noi demmo il via al bando e alla progettazione del depuratore dopo una serie di studi e di concertazioni, che purtroppo si arenò, nonostante finanziamenti di svariate decine di miliardi. Si disse che lo stop fu dovuto anche al ritrovamento di presunti reperti archeologici, eppure non ho mai capito cosa fu rinvenuto. La mancanza di trasparenza è un male tipicamente italiano, e spesso costa caro alla collettività. Mi sono confrontato con diversi enti, Soprintendenza compresa, che quasi sempre svolge un lavoro meritorio. Tuttavia, talvolta le imposizioni giungevano senza alcuna preoccupazione di fornire adeguate motivazioni. Quando realizzammo i giardinetti del parco Telese giù al Lido, non ci fu verso di convincere la Soprintendenza a innalzare leggermente il piano di calpestio per garantire una migliore panoramicità, finché dovetti desistere, altrimenti i termini sarebbero scaduti e avremmo perso i finanziamenti. Per fortuna, a volte andava diversamente: per il Piazzale delle Alghe, adeguatamente riqualificato, fu possibile emanare un’ordinanza, sorprendentemente ancora vigente, che prevede di lasciare le barche dei pescatori sul piazzale: è un elemento di arredo urbano che mantiene una continuità storica con le tradizioni del luogo».

L’isola da anni vive sotto l’ombra di un “caularone” dapprima ufficializzato, poi dichiarato finito ma che invece sotto traccia continua a esistere e non a caso se ne parla anche in vista delle prossime amministrative. Che idea si è fatto del duopolio De Siano-Ferrandino?

«Guardi, l’ipotesi di una riedizione di tale accordo tra il sindaco di Ischia e il Senatore la vedo così poco probabile, che alla fine potrebbe anche essere vera. Sembra paradossale, ma è una battuta che faccio su base “probabilistica”, senza entrare nel merito delle dinamiche politiche del momento. Spesso, quando si parla di un possibile avvenimento, esso per quanto improbabile arriva a verificarsi. Vengono infatti definite  “profezie auto-avveranti”».

L’isola e i suoi problemi: come ha già accennato, a distanza di venti anni da quando Lei era sindaco, molti di essi non sono stati ancora risolti. Come mai?

«In questo, siamo dei conservatori. Siccome molti di questi problemi appartengono alla categoria immateriale del “non visibile”, cioè depurazioni, fogne, parcheggi, ecco che la politica tende a concentrarsi su altre cose, problemi minori ma magari che fanno ottenere una più immediata visibilità. La fogna, invece, non si vede, quindi la gente tende a non credere, dal punto di vista elettorale, alle cose che non vede direttamente. È una semplificazione, ma credo ci sia una parte di verità. Ecco perché io coniai la definizione di “assessori dell’effimero”, per coloro che tendevano a occuparsi di iniziative che, pur meritorie, non avevano durevole e stabile utilità. D’altronde per vari aspetti Ischia è rimasta ancora legata alla vetusta politica delle tre “esse”: sun, sea and sex, cioè sole, mare e sesso. Oggi c’è un tentativo di aggiungere il turismo culturale e il termalismo: fin quando tale tentativo non raggiungerà il pieno compimento, non usciremo da questo circolo vizioso. Credo che la mano pubblica debba affidare ai privati la promozione e la realizzazione di progetti di vasto respiro culturale, ma a una condizione: che le amministrazioni vigilino costantemente sui privati. È stupido lasciare prima la gestione ai privati o alle partecipate, e poi stupirsi se dopo anni l’iniziativa è fallita. Il privato gestisca e investa, ma il pubblico deve controllare. Fummo noi a creare Ischiambiente, la prima società in Italia a partecipazione mista pubblico-privata. Fummo citati in giudizio dagli imprenditori del settore fino alla Corte di Bruxelles, ma ne uscimmo vincitori».

Ogni tanto in passato si è parlato di un suo ritorno nell’agone politico. Solo voci di corridoio o prima o poi potrebbe farci un pensierino?

«Sono onorato per queste ricorrenti voci. Chiunque dovrebbe sentirsi lusingato se il suo nome viene citato in modo positivo nella prospettiva di un ruolo politico. Al momento non ho ricevuto concrete proposte. E anche se accadesse, sono comunque molte le variabili in gioco da considerare prima di poter dare una risposta precisa».

Quale è stato il sindaco migliore che ha avuto Ischia?

«In base ai risultati, ma anche in base alla sua cifra amministrativa e politica, direi indubbiamente Enzo Mazzella, che non aveva ancora espresso l’intero suo potenziale. La sua improvvisa scomparsa è stata una grave perdita per l’intera isola».

L’amministrazione che invece boccerebbe senza esitazioni?

«Non saprei indicarne una in particolare».

In che cosa Gianni Buono ha lasciato il segno come sindaco di Ischia?

«Direi che ho cercato di pensare prima alle esigenze delle persone e poi alle infrastrutture. Queste ultime devono far sì che la gente possa esprimere le proprie potenzialità. Questo, secondo me, è il vero compito di un amministratore».

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