LE OPINIONI

IL COMMENTO La politica e i suoi (veri) valori

DI ANTIMO PUCA

La politica è una bella cosa. Mica darete retta a quelli che vi dicono che è brutta. Che è “una cosa sporca”. Ma figuriamoci. Poi è chiaro, lo so anche io. Nella politica non c’è mica solo il lato bello. C’è anche il resto. C’è quel legno storto che è l’essere umano. I carrieristi. Gli arrivisti. I leccaculo. I falsi. I ladri. Gli ignoranti. Gli zelanti che scodinzolano di fronte al potere. E quelli che credono sinceramente e acriticamente agli ideali proposti dal partito, anzi dal Partito con la P maiuscola. «La politica è bella». Dice proprio così. Sono queste le parole che il padre del protagonista sussurra al figlio poco prima di morire. «La politica è bella». Fai fatica a crederci. Ma è proprio questo il messaggio di speranza che un film di Giuseppe Tornatore ci regala. Una frase che mi ha colto di sorpresa e che mi ha emozionato, permettendomi di tornare di incanto alla mia infanzia e alla adolescenza. Non credo alle folgorazioni tipo Paolo sulla strada di Damasco. Ma chissà che non rappresenti comunque una lezione salutare. Di quelle che ti aiutano a riflettere su te stesso e su quello che stai combinando della tua vita. E, peggio ancora, della vita degli altri. Chissà! Magari proprio grazie a questo film si riesce a comprendere meglio i valori della politica che sono lontani dal carrierismo e dalla ricerca di un posto nei consigli di amministrazione di qualche ente, pubblico o privato che sia. Tornatore ricostruisce un mondo che non c’è più. Uomini e donne che non ci sono più. Ma la vera magia è che quel mondo, con le relazioni umane che esso conteneva, ha ancora la capacità di farsi raccontare. E, in questo modo, di destare passioni. Baarìa è, soprattutto nel primo tempo e prima dell’avvento degli anni sessanta, un film epico. Un film che, attraverso una storia individuale, dispiega una storia collettiva. La storia di un popolo. E raccontando la storia di un popolo, custodisce e trasferisce la memoria di quella storia e di quel popolo. E’ capace di mettere davanti ai nostri occhi la nostra identità. Quasi facendocela toccare e sentire respirare. In un momento in cui tutti sono alla ricerca d’identità, molti s’interrogano sul senso stesso dell’identità, altri addirittura la re-inventano. Giuseppe Tornatore sembra invece aver trovato il filo che sbroglia la matassa. Lui racconta. E, raccontando, accumula. Accumula storie e sentimenti. Storie e sentimenti che insieme “costruiscono” la Storia.

Però in questa storia si sviluppa anche il concetto di politica e di politico. Come non guardare con nostalgia a ciò che eravamo e a ciò che con le lotte politiche si voleva cambiare? Il cinema, il grande cinema, ha sempre raccontato il passato e il futuro. È stato memoria o ha anticipato. Il cinema può essere anche speranza e quel «La politica è bella», proferito in punto di morte, è la più bella speranza che Tornatore potesse regalarci. Una speranza quanto mai necessaria oggi e che mi fa tornare il sorriso. Eppure ciò che conta, ciò che resta, è uno dei grandissimi momenti del film, probabilmente il più alto. È il passaggio di testimone tra un padre e suo figlio. Un passaggio di consegne che ci dice molto. Se anche resta poco della Storia maiuscola, rimane la vita degli esseri umani, che conta più delle ideologie. Rimangono principi e valori essenziali, quali la dirittura e la coerenza. Il volersi bene. Quello di Giuseppe è un ricordo. Un omaggio, intimo e privato, alla propria famiglia prima di tutto. Ma ci sono storie che ti fanno sentire a casa tua, che le ascolti solo per dirti “è vero, anch’io c’ero, riguarda anche me”. Per dirti e per dire ad altri. Magari, a chi verrà dopo di noi. E per capire così che non tutto è stato inutile.

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