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Falso materiale, due assoluzioni e una condanna per le guardie venatorie

DI FRANCESCO FERRANDINO

ISCHIA. Due assoluzioni e una condanna. È questo l’esito del processo conclusosi ieri mattina dinanzi il giudice Capuano presso la sezione penale di Ischia del Tribunale, nei confronti di tre guardie venatorie, Davide Zeccolella, Daniele Ghillani e Nicola Toscani, appartenenti alla Lipu, la Lega italiana per la protezione degli uccelli. L’accusa nei loro confronti era di falsità materiale in atto pubblico commessa da pubblico ufficiale. L’episodio che dette origine alla vicenda giudiziaria risale a circa sette anni fa, ma il processo è effettivamente iniziato a metà del 2016, quando il pm Celeste Carrano chiese e ottenne dal Gip del Tribunale di Napoli il rinvio a giudizio per le tre guardie venatorie, denunciate da un cacciatore, Marco Di Scala. Quest’ultimo si era visto  infliggere una sanzione perché sarebbe stato sorpreso in atteggiamento venatorio in un orario vietato dalle norme che regolano tale attività. Ciononostante, secondo l’accusa,  gli imputati avrebbero falsificato la firma del cacciatore sul verbale: la sanzione  sarebbe stata inflitta indicando un orario diverso da quello in cui era stato fermato il signor Di Scala. In altri termini, le guardie si sarebbero imbattute nel cacciatore quando non era ancora scattato l’orario di interdizione dell’attività di caccia. Le operazioni di identificazione e di verifica si protrassero per vari minuti, fino a quando l’orario venne sforato.

Propri questo costituiva il punto centrale della controversia: secondo l’ipotesi accusatoria, i tre avrebbero falsamente indicato un orario difforme e, di fronte al diniego del cacciatore di firmare il verbale, avrebbero apposto una firma falsa. Nel decreto di rinvio a giudizio, si legge infatti che i tre, «in concorso e riunione tra loro, in qualità di agenti venatori appartenenti alla associazione Lipu, apponevano in calce ad un verbale di accertamento e contestazione di violazione venatoria elevato alla parte offesa Di Scala Marco la firma del predetto, apocrifa, e segnatamente: Zeccolella apponeva materialmente di proprio pugno la firma del Di Scala, e successivamente Ghillani e Toscani sottoscrivevano, a loro volta, il verbale di contravvenzione contraffatto». Nella stesura della denuncia, il Di Scala descrisse la sua versione dei fatti accaduti quel giorno di dicembre 2011, verso le ore 16.15: orario che diventerebbe decisivo, considerando che l’ora-limite per le attività di caccia era fissata alle 16.55, dopo la quale ogni atteggiamento venatorio era assolutamente vietato. Il denunciato aveva trascorso il pomeriggio a caccia in collina, nella località Fango, tra Lacco Ameno e Casamicciola Terme, e aveva deciso di far ritorno alla propria abitazione quando al di fuori del bosco incrociò i  tre agenti venatori Lipu, i signori Zeccolella, Ghillani e Toscani, che  stavano effettuando un controllo nei confronti di un altro cacciatore. Di Scala spiegò di aver atteso che l’altro controllo terminasse, prima di essere “controllato” a propria volta, intorno alle 16.30. Dopo circa mezz’ora, il cacciatore si vide contestata la violazione della norma sull’attività venatoria in quanto l’aveva esercitata in orario non consentito, cioè pochi minuti dopo le 16.55. Secondo il denunciante le guardie si sarebbero inoltre rifiutate di riportare le spontanee dichiarazioni che il Di Scala avrebbe voluto apporre in calce al verbale, dichiarando di non essere stato affatto  sorpreso in atteggiamento venatorio, tanto più che il fucile era scarico. Un atteggiamento che avrebbe indotto il cacciatore a non firmare il verbale, mentre la firma che risulta apposta sul documento, secondo l’accusa, sarebbe stata vergata da uno dei tre imputati. In sostanza, il documento redatto dalle guardie conterrebbe un doppio falso, che il pubblico ministero ha poi giuridicamente tradotto nell’ipotesi di falso materiale, lasciando cadere le ipotesi di falso ideologico e di abuso d’ufficio. In primavera, lo scorso aprile, dovevano aver luogo tutte le arringhe finali, e in effetti, dopo la richiesta di condanna da parte del pubblico ministero, che ritenne provata la penale responsabilità, la difesa di parte civile aveva già formulato la discussione finale. L’avvocato Nicola Lauro,  richiamando diverse sentenze della Suprema Corte di Cassazione, aveva chiesto il riconoscimento della penale responsabilità: «Non si tratta di un falso innocuo – spiegò il penalista – bensì di un reato contro la pubblica fede, di natura plurioffensiva». Il giudice tuttavia decise di rinviare le arringhe dei difensori degli imputati, revocando l’ordinanza di chiusura dell’istruttoria dibattimentale,  fissando la nomina del perito incaricato di esaminare l’effettiva falsità della firma apposta in calce al verbale contestato. Il perito nominato, la dottoressa Sara Cordella, ha dunque esaminato il documento, raccogliendo campioni di scrittura degli imputati, per verificare l’originalità della firma apposta sul verbale di accertamento e contestazione. Uno dei difensori, l’avvocato Procaccini, chiese e ottenne di poter nominare contestualmente un proprio perito di parte, il dottor Faiello.

La perizia della dottoressa Cordella, depositata lo scorso luglio, recitava: “In base al materiale a disposizione in relazione alle analogie e compatibilità rilevate in fase di confronto tra la firma in contestazione e la grafia del signor Zeccolella, la sottoscritta conclude che: il prodotto grafico in calce al verbale di accertamento e contestazione n. 13/11 del 12.11.2011 è stato redatto con elevata probabilità da Zeccolella Davide. Si esclude con certezza tecnica che siano opera dei signori Toscani Nicola e Ghillani Davide”.

Ieri mattina, il pm si è velocemente riportato alla richiesta di condanna già formulata ad aprile, a cui si è associato anche l’avvocato Lauro. Poi è stata la volta degli avvocati della difesa, Ilaria Zarrelli e Fabio Procaccini: la prima ha chiesto l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” per i suoi assistiti, Ghillani e Toscani. Il secondo, difensore di fiducia di Zeccolella, ha insistito sulla mancata prova relativa all’ascrivibilità dei segni vergati sul verbale, richiamando il forte clima di competizione e di aspro confronto tra cacciatori e guardie venatorie impegnate su fronti opposti in vari angoli dell’isola d’Ischia, che avrebbe in pratica determinato una sorta di “tranello” da parte dei primi contro i secondi, di cui l’episodio contestato costituirebbe un esempio. Al momento del verdetto, tuttavia, il giudice Capuano ha disposto l’assoluzione per Ghillani e Toscani, e ha condannato Zeccolella a due anni di reclusione oltre al pagamento delle spese

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