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Free Market e il triangolo della Casa Bianca

Di Francesco Ferrandino

ISCHIA. Uno dei rami dell’inchiesta denominata “Free Market”, la cui fase delle indagini preliminari si è ufficialmente conclusa lo scorso 2 febbraio, oltre al tenente Antonio Stanziola (già “protagonista” del lato “testaccese” della vicenda) vede coinvolti anche l’attuale Consigliere regionale, Maria Grazia Di Scala, all’epoca dei fatti legale di fiducia di Raffaele Piro, per decenni gestore dell’albergo “Hotel Casa Bianca” sito presso la spiaggia dei Maronti. I tre sono chiamati a difendersi dall’accusa di concorso in falso ideologico, falso materiale, abuso d’ufficio e di tentata concussione ai danni di Maddalena Migliaccio, proprietaria della “Casa Bianca” (gestita dal signor Piro a partire dal 1985). Sulla struttura gravava un contenzioso sin dal 2007, quando la signora Migliaccio cercò di rientrare in possesso dell’immobile per inadempienze contrattuali da parte di Raffaele Piro, che negli anni aveva realizzato una serie di opere edili abusive senza l’autorizzazione della legittima proprietaria. Dopo due gradi di giudizio, entrambi favorevoli, la signora Migliaccio assistita dall’avv. Elena Nonno cominciò a considerare la possibilità di mettere in vendita l’immobile a un prezzo variabile tra gli ottocentomila euro e un milione e duecentomila euro, dopo l’esecuzione dello sfratto ai danni del soccombente Piro.  Stanziola e Piro, in momenti diversi, manifestarono l’uno l’intenzione di acquistare l’albergo, e l’altro quella di continuare a condurlo tramite contratto di locazione. Tuttavia, secondo la magistratura inquirente, per indurre la signora Migliaccio a vendere la struttura alberghiera (o comunque continuare a cederne l’uso in locazione) per una cifra sensibilmente inferiore a quella indicata, il tenente Stanziola nella sua qualità di dirigente dell’Ufficio Tecnico avrebbe emesso un’ordinanza di demolizione (la n. 70 del 20 dicembre 2013) con conseguente dichiarazione d’inagibilità che colpiva l’intero edificio, proprio per poi trattarne l’acquisto per una cifra molto bassa, stante il comprensibile deprezzamento causato dal provvedimento. Proprio allo scopo di accertare se tra Raffaele Piro e Antonio Stanziola vi fosse stato un accordo per l’emissione dell’ordinanza di demolizione, nel dicembre 2013 furono intercettate alcune utenze telefoniche dell’allora responsabile dell’Ufficio Tecnico. Da tali intercettazioni emerse una serie di contatti tra lo Stanziola e l’avvocato Di Scala nel corso dei quali, come si legge nell’ordinanza del Giudice, i due si scambiavano in tono amichevole e colloquiale alcune informazioni sull’immobile in questione. In particolare, secondo l’accusa, lo Stanziola comunicò all’avvocato Di Scala di aver firmato l’ordinanza di demolizione dell’immobile, un atto che sarebbe stato emanato in accordo con Raffaele Piro (colui che fino alla richiesta di sfratto deteneva l’immobile in locazione), con l’intento illecito di far calare il prezzo di mercato dell’immobile e di speculare sull’eventuale fitto o vendita dello stesso. Secondo il pubblico ministero, l’avv. Di Scala avrebbe quindi avuto il ruolo di “tramite” tra Stanziola e Piro nell’arco della “questione ad arte realizzata – si legge nelle valutazioni del giudice – e volta a ottenere un deprezzamento del valore” del bene in oggetto. Fra l’altro, agli occhi degli investigatori, il comportamento dell’UTC di Barano appariva letteralmente “schizofrenico”, nel momento in cui consentiva alla struttura turistico-ricettiva di continuare a funzionare regolarmente dopo la relazione dei tecnici che ne indicavano l’inagibilità, e addirittura, nell’ottobre 2013, concedendo l’autorizzazione paesaggistica a una parte dell’immobile, nonostante fosse stato dichiarato “totalmente abusivo”: tutto ciò due mesi prima dell’emissione dell’ordinanza di demolizione. Un comportamento contraddittorio, che nell’ordinanza del GIP, “non può avere altra spiegazione logica se non quella della ostinata intenzione di favorire Raffaele Piro” da parte dello Stanziola, che dapprima emetteva un provvedimento per sanare gli abusi (l’autorizzazione paesaggistica è appunto presupposto indispensabile  per l’eventuale sanatoria), e poi, a distanza ravvicinata, emanava un’ordinanza di demolizione. Inoltre, la documentazione relativa all’autorizzazione paesaggistica risultava illegittima oltre che contraffatta, prefigurando il reato di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico: illegittima perché emanata dal responsabile dell’UTC anziché dal responsabile del procedimento paesaggistico e mancante del parere della Soprintendenza, a cui non era mai giunta realmente la documentazione; contraffatta perché come successivamente accertato la firma apposta, non essendo quella del responsabile Luigi Di Costanzo, era stata falsificata come gli stessi sigilli e i timbri della sovrintendenza. Tale falsa autorizzazione (secondo l’ipotesi accusatoria) era stata prodotta dall’avv. Di Scala nel secondo grado di giudizio riguardante lo sfratto di Raffaele Piro dall’Hotel Casa Bianca. Per il Gip, avendo la Corte d’Appello dichiarato inammissibile il ricorso contro lo sfratto, lo Stanziola d’accordo con la Di Scala avrebbe emanato la famigerata ordinanza di demolizione n.70, per mezzo della quale dapprima il Piro avrebbe tentato di trattare, con esito negativo, un fitto al di sotto del prezzo di mercato, e successivamente lo Stanziola si sarebbe interessato all’acquisto dell’albergo, speculando sul prezzo dell’immobile colpito dall’ordinanza di abbattimento che lui stesso aveva emanato. Per il giudice, la falsità ideologica del privato in atti pubblici, volta a ottenere l’autorizzazione paesaggistica depone “a favore del certo coinvolgimento della Di Scala“, insieme alla circostanza che la stessa, come patrocinatore del Piro nel corso delle udienze dinanzi la Corte d’Appello di Napoli, “dapprima dichiarava più volte che gli abusi edilizi erano in via di definizione, in quanto era in corso il procedimento di sanatoria” e successivamente “depositava l’autorizzazione paesaggistica n. 24, materialmente e ideologicamente falsa, in quanto non proveniente dal responsabile del procedimento paesaggistico Luigi Di Costanzo, ed attestante fatti non conformi a verità“. Nelle valutazioni del GIP “i delitti di falso erano dunque finalizzati a un tentativo di concussione, realizzati in concorso col pubblico ufficiale Stanziola e ciò emerge dalla circostanza che il Piro e la Di Scala si fossero recati dall’Avvocato Nonno (che curava gli interessi della proprietaria dell’immobile, n.d.r.) per contrattare il prezzo di locazione della struttura esibendo l’ordine di demolizione“. In sostanza, secondo i magistrati, una minaccia implicita, con l’ordinanza di abbattimento usata come “spada di damocle”.

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