CRONACAPRIMO PIANO

Terna, “disco rosso” al Consiglio di Stato

La società prova a risparmiare sul canone demaniale ma l’autorità giudiziaria dice no: il caso è quello relativo alla questione del cavidotto che da Cuma alimenta la cabina di Ischia: la decisione della VII Sezione

Sulla spinosa questione del cavidotto che da Cuma alimenta la Cabina di Ischia prosegue il braccio di ferro sul pagamento dei canoni demaniali per la posa delle invasive condotte ed opere che fanno capo al servizio elettrico nazionale.Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima) si è pronunciato,infatti,sul ricorso proposto con l’obbiettivo di risparmiare sugli importo al numero di registro generale 866 del 2024, proposto dalla società Terna – Rete Elettrica Nazionale S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Cesare Caturani, Giuseppe de Vergottini e Antonio Iacono,contro il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Capitaneria di Porto di Napoli, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; per la riformadella sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Quarta) n. 5703/2023, pubblicata in data 19 ottobre 2023. Il Consiglio di Stato è stato categorico: niente sconti.Dando in ciò ragione alla capitaneria di porto che aveva già chiarito la questione.Così come successivamente il TAR. C’è stato l’atto di costituzione in giudizio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e della Capitaneria di Porto di Napoli, mentre Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2024 il Cons. Brunella Bruno. Intervenuti in udienza su della gli Avvocati Cesare Caturani e Maria Laura Tripodi. Nessuno è comparso per la parte appellata.

IL TENTATIVO DI RISPARMIARE

Con il ricorso di primo grado la società Terna – Rete Elettrica Nazionale S.p.a. ha agito per l’annullamento dell’atto dalla Capitaneria di Porto di Napoli (prot. n. 12.02.15/35809/DE), recante il diniego dell’istanza di rideterminazione del canone relativo alla concessione demaniale n. 4/2011 per il mantenimento di un cavo elettrico sottomarino (OF a 150 KV), di collegamento tra la cabina primaria di Cuma nel Comune di Pozzuoli e la cabina primaria di Lacco Ameno, e delle ulteriori note impugnate, oltre che per l’accertamento del diritto all’applicazione del canone ricognitorio, come da codice della navigazione per le concessioni per fini di pubblico interesse. Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso facendo applicazione dei principi affermati nella sentenza di questa Sezione n. 5934 del 16 giugno 2023 – con la quale sono state articolate le medesime argomentazioni espresse in altre pronunce pubblicate in pari data – riferita a fattispecie analoga, evidenziando, altresì, l’omessa considerazione da parte della ricorrente dei criteri imprenditoriali sui quali si basa l’attività da essa svolta, in quanto preordinata al perseguimento di utili economici. In tale quadro, il primo giudice ha anche rimarcato che la ritrazione di utili economici da parte della ricorrente è legata al bene demaniale da un nesso di strumentalità necessaria, non potendo detti utili essere realizzati se non mediante l’utilizzazione del bene demaniale. Sulla base delle argomentazioni svolte, è stata rilevata l’insussistenza dei presupposti normativamente richiesti ai fini dell’applicazione del canone di “mero riconoscimento” di cui alle disposizioni sopra richiamate, dovendo invece la società provvedere alla corresponsione dello stesso in misura ordinaria. Come si legge agli atti del Consiglio: «L’appellante critica la sentenza impugnata, previa ricostruzione della genesi della propria costituzione, sul riassetto del settore elettrico, con attribuzione della proprietaria della Rete Elettrica di Trasmissione nazionale (RTN), come individuata dal decreto del ministero dell’industria del 25 giugno 1999. Esplicitata la natura dell’attività espletata, con precipuo riferimento al regime di concessione in relazione alla trasmissione e al dispacciamento dell’energia elettrica su tutto il territorio nazionale, l’appellante si è soffermata sull’evoluzione della regolazione in materia e, in specie, sui correlati obblighi di servizio pubblico, rimarcando che l’elettrodotto in questione fa parte integrante della RTN e che la sua costruzione ed esercizio sono considerati di preminente interesse nazionale al fine di garantire la sicurezza del sistema energetico nazionale. Sulla base di articolate argomentazioni, incentrate, tra l’altro, sulla redditività dell’attività in questione e sul sistema tariffario stabilito in via unilaterale e inderogabile dall’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA), l’appellante ha contestato l’interpretazione evolutiva seguita dal primo giudice, di segno contrario agli orientamenti in precedenza espressi dalla giurisprudenza amministrativa, soffermandosi su numerosi profili, sia giuridici sia fattuali, con precipuo riguardo anche all’oggetto della concessione de qua, venendo in rilievo cavi elettrici interrati, che ricadono integralmente nel sottofondo marino, i quali non arrecherebbero alcun intralcio all’uso indistinto del suolo e soprassuolo demaniale». L’interpretazione evolutiva avallata con la sentenza appellata, inoltre, si porrebbe, ad avviso dell’appellante, in contrato con le previsioni del codice della navigazione che spiega nel ricorso «reca riferimento anche a soggetti privati e che considera la natura dell’attività che deve essere contraddistinta dalla soddisfazione di un pubblico interesse, senza che la redditività sia rapportata all’attività generale svolta e tenuto, peraltro, conto dell’impossibilità di valutare la remuneratività in un quadro nel quale la società non è nelle condizioni di scegliere liberamente l’ubicazione delle reti in alta tensione, essendo la relativa localizzazione frutto di scelte concertate con tutte le amministrazioni coinvolte e potendo il posizionamento avvenire solo nel rispetto delle prescrizioni impartite. Con ampie deduzioni, l’appellante ha, dunque, riproposto le contestazioni originarie, così in sostanza devolvendo tutta l’originaria materia del contendere».

Per il TAR l’appello è infondato e altrettanto ha ritenuto il Consiglio di Stato che non a caso scrive che «nel presente giudizio a venire in rilievo è una società operante sul territorio italiano in ragione di una concessione che, pur attestandone l’indiscussa rilevanza sul piano del pubblico interesse, legittima l’esercizio di un’attività commerciale di imponenti dimensioni economiche, di per sé presuntivamente comprovanti la rispondenza dell’organizzazione societaria alle logiche del lucro soggettivo. Anche in questo caso (come nei precedenti sopra richiamati), inoltre, non emerge la prova (contraria) della gestione dell’attività secondo criteri di economicità sostanzialmente tendenti al c.d. lucro oggettivo, ossia alla copertura dei costi nel medio-lungo periodo, con la conseguenza che non può nella circostanza ritenersi sussistente la condizione prevista dall’art. 37 co.2 reg. esec. cod. nav. dell’assenza di lucro in senso soggettivo per l’applicazione del canone di riconoscimento.

Anche la questione della determinazione delle tariffe da parte di ARERA è stata affrontata dalle sopra richiamate pronunce della stessa Sezione Settima ed è stato sottolineato, infatti, che «non è revocabile in discussione l’uso del bene demaniale da parte della società per l’erogazione di un servizio pubblico essenziale ma questo comprova la strumentalità delle aree demaniali concesse in uso per favorire l’esercizio di un’attività imprenditoriale di pubblico interesse contraddistinta da una certa redditività dipendente, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, non soltanto dal servizio di distribuzione dell’energia elettrica complessivamente considerato, ma anche dallo sfruttamento dei beni demaniali utilizzati. Se, infatti, il bene demaniale è adoperato per collocare gli impianti di erogazione del servizio di fornitura dell’energia elettrica da cui dipende la redditività dell’attività economica esercitata dal concessionario, il bene stesso assolve rispetto a siffatta attività alla medesima funzione strumentale degli impianti direttamente adoperati, palesandosi, quindi, un collegamento tra il possesso del bene demaniale e il profitto o il provento scaturente dal servizio pubblico erogato».

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