CULTURA & SOCIETA'

“TerraformAzioni”, oggi conferenza all’Antoniana

Il ciclo di appuntamenti è curato da Micol Rispoli, Ramon Rispoli e Francesco Vitale: un progetto per il territorio curato dal Festival Internazionale di Filosofia

Oggi 3 giugno presso la Biblioteca Antoniana alle 18 e 30 un’importante riflessione sui Media e i Social Media, e soprattutto sul rapporto etico che gli esseri umani instaurano rispetto al pianeta nella loro azione, vita ed esistenza. La conferenza del 3 giugno inaugura il ciclo “TerraformAzioni” curato da Micol Rispoli (Phd in Scienze Filosofiche), Ramon Rispoli (Associato di Disegno industriale presso l’Università “Federico II” di Napolie Francesco Vitale (Ordinario di Estetica presso l’Università di Salerno). Terraformare, neologismo dall’inglese terraforming, vuol dire rendere un pianeta simile alla terra: renderlo cioè abitabile.Ma fino a che punto ilnostro mondo è davvero abitabile?E soprattutto, per chi e per cosa lo è?

Decenni di “estrattivismo intensivo”, di sfruttamento dei suoli e delle “risorse” (vive e non)dimostrano – nel più drammatico dei modi – come la terra sia un’entità intrinsecamente plastica e fragile, esattamente come i corpi che la abitano. Qualsiasi separazione tra natura e tecnologia perde consistenza, in un mondomodificatoquotidianamentedalla mano degli umani: la terra è incessantemente terraformata, ciò che realmente importa è capire quali terraform-azioni la rendono più (o meno) abitabile, compatibile con la vita. Quali sono gli effetti del modo in cuistiamo disegnando/terraformando oggi? Come dovremmo invece disegnare/terraformare?TerraformAzioni nasce da queste premesse e si fa queste domande. Il Festival Internazionale di Filosofia di Ischia e Napoli, si fa portavoce di questo progetto sul territorio, programmando per il prossimo futuro, delle azioni di formazione aperte al pubblico.

Il nostro sguardo è per molti versi analogo a quello di Benjamin Bratton, che recentemente ha posto proprio la nozione di terraformazione al centro di una nuova prospettiva di ricerca. Nell’epoca dell’Antropocene, la parola “terraformare” non si pronuncia più con gli occhi rivolti alla vastità dello spazio ma guardando piuttosto alla terra stessa. Ma la questione dell’abitare va anche al di là queste questioni, pur evidentemente cruciali. Nella scia del pensiero post umano, occorre infatti chiedersi in che modo e in che misura il mondo è davvero vivibile per tutte quelle entità che non coincidono con l’uomo – maschio, bianco, occidentale, eterosessuale, normalmente abile – posto al centro dell’ontologia umanista moderna: come lo abitano corpi (e soggettività) diversi da quelli normali e normativi? Come lo abitano altre entità non umane? Su quali forme di “contratto”, sempre soggette a ridiscussione, è possibile organizzare questa convivenza?

In tutte queste questioni il design nel senso più ampio ed esteso di progetto (dalle città agli artefatti industriali, dalle interazioni tra umani e macchine alle reti neurali) ha un ruolo molto più centrale di quanto si è abituati a pensare. Se il design è prima di tutto una pratica ontologica – una pratica capace di “ridisegnare”, in una qualche misura, le entità da essa interessate – il problema di cosa disegnare e come farlo ha implicazioni che vanno decisamente oltre il ristretto ambito dello styling. Disegnare in questo senso già terraformare, nella misura in cui è comporre (e ri-comporre) gli “intrecci semiotico-materiali” in cui abitiamo e di cui facciamo parte: intrecci fatti, allo stesso tempo, di materia e di senso.

Quali sono gli effetti del modo in cui stiamo disegnando/terraformando oggi? Come dovremmo invece disegnare/terraformare? TerraformAzioni nasce da queste premesse e si fa queste domande. È un’iniziativa editoriale e di diffusione culturale, ma anche e soprattutto la costruzione di una nuova ecologia del pensare fondata sull’ibridazione di saperi eterogenei di natura teorica e pratica, che ambisce a introdurre queste questioni nell’agenda di milieux accademici dell’architettura e del design ancora troppo ammaliati dalle sirene della forma e dell’autonomia disciplinare. Parafrasando Donna Haraway, non è importante capire solo quali storie può produrre il mondo ma anche quale mondo possono produrre le storie: che effetti concreti sul mondo possono avere le nuove “tecnologie di senso” – nuove narrative e metodologie, alternative a quelle oggi dominanti – che elaboriamo, consolidiamo e rendiamo capaci di circolare.

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