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La gara delle ipocrisie e le guardie di confine


di Graziano Petrucci

In questo periodo, in un divertente calvario il cui inizio si perde nelle scorse settimane, c’è chi ha bersagliato me e il mio modo di scrivere con un mare affollatissimo di critiche a causa del lessico e delle parolacce che infilo un po’ qui e un po’ la. In altre parole «cazzo», «avete rotto le palle» e «coglioni» o il più semplice «andate a fare in culo» non vestono bene, specie su un quotidiano, e turbano il lettore. Secondo qualcuno dovrebbero finire triturate al confine, tra l’ipocrisia e l’educazione. Il loro posto non è in una rubrica che andrebbe censurata se passa il limite. A sentirne di cose in giro, la frontiera l’avrei oltrepassata da un pezzo. Per conseguenza,  se voglio continuare ad avere i miei quindici minuti di notorietà, sarebbe ora che la smettessi. Questa è solo una delle opinioni che mi hanno inviato per terze o quarte parti e ora fa compagnia alla serie di domande che ho messo accanto alla sveglia sul comodino, riguardo al mio ruolo nel mondo e nella società isolana che hanno, però, più il sapore dell’inciucio che non quello della voglia di ampliare la conoscenza di base. Avete presente quando arrivate al mare e nel cercare un punto per accamparvi con il telo, vi accorgete che non c’è spazio perché c’è chi è lì prima di voi e quel posto non lo lascerà neppure se Bob Marley gli offrisse delle cannonate? La sabbia esprime le certezze conquistate. Immutabili, ognuno occupa una posizione su quel letto granuloso di convinzioni e abitudini, steso al calore del quotidiano. Di solito corrispondono a una funzione sociale costruita e apparente, cui ognuno attribuisce un valore. Avvocati, imprenditori, albergatori, giornalisti, attori, cantanti, commessi, commediografi, fruttivendoli e macellai e via discorrendo. Ognuno ha il proprio ruolo. giosi de sianoQualcuno l’ha perché glie l’ha passato papino, e con quello in certi casi gli ha lasciato pure l’albergo o lo studio legale, qualche altro è riuscito a prenderselo e a perderlo non ci pensa proprio pure perché tiene famiglia. Tutto avviene sotto i nostri occhi, negli anfratti di una società teatralizzata, quella isolana è fantastica, fatta di finzioni e di «lei non sa chi sono io» non detti più per ipocrisia che per educazione. Il palcoscenico isolano diventa luogo ideale per nascondersi. In cui il ricorso al bello o al panorama mozzafiato è usato come scusa per smarcarsi dalle responsabilità o per non affrontare i problemi seri e scrollarsi di dosso i parassiti (anche e in specie emotivi). Anzi, le questioni importanti al contrario diventano le parolacce che agitano tanto la quiete intellettuale come quella porzione isolata di radical chic che si trincera dietro una parvenza di buon senso ma che racconta di praterie calpestate da bisonti bigotti. Criticare gli amministratori a volte è come sparare sulla croce rossa. Per esempio il sindaco di Ischia, Giosi Ferrandino, in una delle sue uscite formidabili, ha risposto ad alcune domande in un’intervista. Sono d’accordo con chi ha detto che poteva risparmiarsi i riferimenti all’eco sostenibilità o al ridimensionamento del traffico quali soluzioni per il rilancio del territorio. Adesso, dopo nove anni da primo cittadino in cui secondo tanti tranne l’ordinario non ha fatto un cazzo (pardon per “cazzo” ma riporto quello che si sente in giro) ci avrebbe potuto spiazzare con una cosa del tipo «è stato bello ma io scendo qui» e invece niente. Un ruolo, il suo, che si sta esaurendo nell’esalazione dell’ultimo respiro. Sempre che non sia disposto a cambiare tattica, con una sterzata magari nella politica economica, nel qual caso se volesse – ma la vedo difficile – mi rendo disponibile per un caffè. Certo, non è bello leggere parolacce un rigo si e uno no e per spiegarne l’uso sto pensando di organizzare una video chat, precipitarmi su facebook attraverso lo strumento della diretta e rispondere alle domande dei curiosi. Per soddisfare una parte dello zoccolo duro posso dire  che mi piace scimmiottare il realismo sporco, movimento letterario sorto negli USA tra gli anni ’70 e ’80. Mi si potrebbe dire che non sono né Bukowski né Carver per potermi permettere certe licenze. Per integrare la risposta, però, mi piacciono anche le parodie. Ho parlato pure troppo di me, perciò voglio completare la riflessione evidenziando il perbenismo che traspare da certi comportamenti. Considerando piccole sacche di resistenza che oppongono una genuinità di carattere, il fatto che ci sia chi si è lamentato del mio linguaggio – inutile, è stato aggiunto-  è rappresentativo di una frattura. Il Sindaco di Barano Paolino BuonoCome sempre ci si ferma  all’apparenza mentre la sostanza passa sottotraccia. Il problema è il lessico invece che turbarsi davanti all’assenza di soluzioni pratiche da contrapporre al nulla amministrativo, o per sanare il vuoto di attenzione su proposte – da cazzaro, ne ho fatte di serie, semplici e funzionali – e mali sociali. Fatti, per esempio come quelli fotografati da Michele D’Antonio, che se ne va in giro armato di Ipad per evidenziare le brutture dell’isola o gli scarichi abusivi e quasi nessuno gli presta ascolto. Le stesse che ci saltano in faccia sotto forma di avvelenamenti, uccisioni o abbandoni di cani e gatti, di soldi trafugati al benessere collettivo, porti regalati o mazzette per accaparrarsi un servizio; o la presenza di amianto mischiato a materiale di risulta e mattonelle sulla spiaggia dei Maronti. foto 3 Si, avete letto bene. Adesso immaginate i vostri figli giocare con una bomba a orologeria nell’illusione che si tratti di una normale pietra. Tutto ciò una volta avrebbe creato delle conseguenze. Ora non ce ne sono più. Ed io mi chiedo cosa faccia più male. Se il lessico colorito che uso con la presunzione di tirare uno schiaffo o la neutralità e l’indifferenza di certa gente “comune” come di chi occupa posizioni di rilievo, incapaci di rispondere alla drammaticità dei tempi perché ormai è abituata a non fare più un cazzo (ops..pardon!).

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