LE OPINIONI

IL COMMENTO La Madonna del Carmine

Siamo quasi alla metà di luglio; fa un caldo molto forte: è tutto nella norma, sono tempi che devono fare. La mia mente va alla mia adolescenza ed alla mia gioventù. Anche allora faceva caldo; si avvicinavala festa della Madonna del Carmine; mia madre si chiamava Carmela. Questa ricorrenza era uno dei “mostri sacri” del calendario. A casa mia venivano nonni. gli zii e le zie per gli auguri a mia madre. Anche allora faceva caldo; spesso un caldo insopportabile. Si attendeva la discesa della Madonna del Carmine in processione da Terra Murata. Era una processione “disperata”; i portatori della statua erano molto sudati. i dei preti qualcuno aveva il collare slacciato o ci infilava due dita dentro per allargarlo un po’; era una processione sudata, anche il fumo dell’incenso era caldo più del solito. Eppure la processione avanzava, la gente si segnava e cantava, sembrava non avvertire il caldo. La Madonna assisa nella sua maestà era bellissima; aveva un aspetto florido e soddisfatto con il bambino in braccio, al contrario delle altre Madonne sempre un po’ pensierose con una vena di malinconia in volto. Eppure quanti conoscono la storia di questa Madonna del Carmine? E’ una storia triste che da la misura della cattiveria umana e specie delle lotte intestine all’interno del clero procidano. Già ne ho parlato per il passato e sull’argomento ho scritto anche un libro, “Intrighi e calunnie in sagrestia”. I fatti si svolsero così. Siamo alla fine dell’800 e fu nominato curato di San Michele il sacerdote Tommaso Scotti Galletta, un prete molto rigido, poco accomodante, con un alto senso del dovere e della disciplina. Inutile dire che proprio per queste sue caratteristiche era molto mal visto dagli altri preti. All’epoca il curato era un “dominus” incontrastato sugli altri sacerdoti e sulle altre chiese isolane che non erano ancora “parrocchie”. Per non portarla alla lunga i preti procidani (o per lo meno una parte consistente di essi) decisero di vendicarsi di questo loro “fratello” ed imbastirono contro di lui l’accusa di “Turpiloquia in acta confessionis”, vale a dire lo accusarono innanzi al cardinale di tentare le donne in confessione. Accusa gravissima che comportava addirittura la “sospensione a divinis”.

A tal proposito, per convalidare le loro accuse, i suoi colleghi preti ingaggiarono delle donne di malaffare che dietro pagamento dichiararono di essere state “tentate” in confessione. Tutto falso! Ma nel frattempo il curato fu allontanato da Procida e rinchiuso come prigioniero nella curia di Napoli ove rimase ben diciasette anni. Non fu sottoposto ad alcun processo canonico. forse perché i suoi accusatori si rendevano conto che in un processo ordinario sarebbe emersa l’innocenza del curato. Ma quando si dice il destino! Papa Pio IX. in fuga da Roma sotto l’incalzare dei Francesi nel 1870 si trovò a passare per la curia di Napoli e vide questo prete macilento per le sofferenze e malmesso; lo chiamò, si fece raccontare la sua storia, si rese conto che era innocente e diede ordine di liberarlo subito e di reintegrarlo nel grado. Fu così che il curato tornò a Procida in pompa magna, accolto da una grande folla. Facciamo un passo indietro. Il curato aveva fatto voto alla Madonna del Carmine che se lo avesse liberato dalla trista situazione in cui era stato cacciato le avrebbe fatto costruire una nuova statua da portare in processione. E così fu fatto. Inoltre disse all’artigiano costruttore che “la doveva fare pesante, molto pesante, come pesanti erano state le accuse nei suoi riguardi”. E la pesantezza di questa statua divento di conoscenza comune. Mia madre diceva che questa “eera ‘a cchù bella Maronna ca ce sta, ma pesa, pesa, comme pesa!”

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