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Da Salvatore ad Axel Ramirez: confessioni del re del porno ischitano

Prima di arrivare ad Axel Ramirez, facciamo un passo indietro: quali erano gli interessi di Salvatore Di Costanzo quando era ragazzino? Ti è sempre piaciuto il cinema, che poi da grande sarebbe diventato il tuo lavoro?

«Sì, fin da piccolo ho avuto un grande interesse per il cinema e soprattutto per i telefilm: all’epoca guardavo Supercar, A-Team, Magnum P.I. e cose del genere. Poi mi piaceva scrivere storie, soprattutto relative ai dinosauri, perché li trovavo molto interessanti. Quando uscì “Jurassic Park” per me fu una gioia immensa, perché era come se vedessi una delle mie storie in un film. Mi dissi pertanto: “Porca miseria, perché non posso farla anche io una cosa del genere? Sarebbe bello che una delle mie storie prendesse vita”. È da lì che è nata pian piano questa passione per il cinema, che poi è sbocciata quando ho avuto la fortuna di vedere uno dei miei primi film thriller, ovvero “Psycho” di Alfred Hitchcock. La perfezione di quel film in tutto e i dettagli nelle inquadrature mi piacquero così tanto che pensai tra me e me: “Anche io voglio fare il regista. Voglio cercare di dare qualcosa alle immagini, voglio che le immagini non siano soltanto immagini standardizzate, voglio cercare di fare come ha fatto Hitchcock”. Ovviamente in quegli anni vidi anche tanti film di Stanley Kubrick e Orson Welles, i grandi maestri, e questo per capire che effettivamente il cinema non era come lo avevo visto fino ad allora nei telefilm, ma era qualcosa di più, era una sorta di magia».

L’influenza di questi grandi maestri del cinema si avverte nella tua prima produzione cinematografica. Tu hai iniziato con l’horror, e infatti nel 2008 è uscito il tuo primo film, “La Prigione Oscura”. Ci racconti di quella prima esperienza dietro la macchina da presa?

«“La Prigione Oscura” è stato un progetto che prese vita nel 2006, quando scrissi questa sceneggiatura e piacque parecchio perché era un film molto visionario, che confonde realtà e immaginazione, sogno e quotidianità. Non si tratta quindi del classico horror alla Dario Argento con l’assassino e il giallo. È un horror molto più psicologico e profondo, che cerca l’introspezione dei vari personaggi, cerca di far vedere quello che in realtà i personaggi pensano della realtà ma che non è così. Questo era il mio horror, ambientato in una classica casa stregata che influisce in maniera negativa su quelle che sono le percezioni degli personaggi della storia. È stata un’esperienza molto bella, costruttiva, ma è stata anche un’avventura: trattandosi del mio primo film, non avevo alcuna esperienza pregressa. Potete ben immaginare che un regista ad appena 24 anni non ha ancora la giusta personalità. Ciononostante, penso di essermela cavata bene. Bisogna inoltre considerare che quel film non aveva dietro una grande produzione, era comunque un horror indipendente, ma che dal punto di vista mediatico riscosse un grande successo più che altro per la giovane età del regista».

L’elemento psicologico è presente nel tuo primo film anche perché tu, dopo aver conseguito la maturità alla ragioneria, hai frequentato per due anni la facoltà di Psicologia. Di quella esperienza accademica, che cosa ti è rimasto?

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«Mi iscrissi a psicologia perché ero molto affascinato da tutto ciò che riguardava l’introspezione della persona. Uno dei miei primi sogni era quello di diventare criminologo per studiare le menti di assassini e serial killer, perché ritengo che essi abbiano delle menti incredibilmente geniali pur nella loro follia. Credo infatti che la follia non sia indice di stupidità, quanto piuttosto una forma di intelligenza deviata verso il male e la violenza. Sarebbe stato bello capire cosa spingeva queste persone a commettere simili gesti. Ognuno di noi nasce con un lato positivo e l’altro negativo. Nella maggior parte di noi tende a prevalere l’angelo: perché però in alcuni prevale il demone? Questa è una domanda che mi ponevo e alla quale avrei voluto rispondere. La passione per il cinema prese però il sopravvento, e quindi decisi di lasciare l’università».

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Hai parlato dei concetti di bene e di male, che albergano entrambi nell’animo umano. Per quanto in un individuo possa prevalere l’indole benigna, c’è sempre il dark side. Questa dualità è presente anche nel nome d’arte che hai scelto quando sei entrato nel mondo dell’hard, ovvero Axel Ramirez. Quale significato si cela dietro questo pseudonimo?

«Axel perché all’epoca mi piacevano molto i “Guns N’ Roses”, il cui leader era Axl Rose. Nei miei primi film mi firmavo “Axl”, ma in Italia evidentemente è un nome troppo complicato da assimilare, e quindi veniva sempre storpiato in “Axel”. Alla fine, dopo quattro o cinque film, ho deciso di lasciarlo così. Ramirez l’ho scelto perché era il cognome del serial killer Richard Ramirez, che studiai all’università. Mi colpì perché era diverso dagli altri serial killer, e mi affascinava anche di più di Charles Manson».

In che senso “diverso”?

«Era un serial killer che aveva un successo spropositato con le donne, e non a caso le sue vittime erano prevalentemente individui di sesso femminile».

Tra l’altro ho letto che era un appassionato degli AC/DC.

«Era un mix di tante cose. Mentre i vari serial killer uccidono perché si sentono dei missionari o per ragioni di natura satanica o razziale, Ramirez aveva un po’ tutte queste caratteristiche, quindi usciva fuori da ogni tipo di schema e non era facile da inquadrare. Lui non utilizzava il modus operandi tradizionale: era “creativo” nel pianificare i suoi atti malvagi».

Torniamo ad Axel Ramirez. Un po’ come è accaduto a Bud Spencer e Terence Hill, appena hai iniziato a girare film per adulti ti hanno chiesto di scegliere un nome d’arte. Come ti sei avvicinato al porno?

«Nel 2010 il regista Andy Casanova vide “La Prigione Oscura” e ne rimase affascinato, perché secondo lui questo film era molto vicino a delle tematiche che lui trattava nelle sue pellicole. Lui faceva film incentrati molto su incesti e stupri, e pertanto pensava che io avessi un talento innato per il cinema, e voleva che io diventassi suo collaboratore, perché era sua intenzione farmi crescere ed insegnarmi tutte le tecniche: girare un film tradizionale, infatti, è molto diverso dal girarne uno hard. Mi propose di andare a Viareggio, dove stava realizzando un film, dicendomi che mi avrebbe fatto vedere come funzionava il tutto, riservandomi la possibilità di decidere se proseguire o meno su quella strada. Incuriosito, decisi di andare, ed effettivamente rimasi molto affascinato perché, al di là di tutti gli stereotipi che gli attribuiscono, l’hard – a livello di regia – ti lascia molto libero di sperimentare. Dopo quell’esperienza, mi dissi che quello ero il mio ambiente, il luogo dove potevo esprimere la mia creatività alla Tarantino, che è un po’ particolare, eclettica per così dire».

Ci parleresti di questo maggiore eclettismo del porno rispetto alla cinematografia tradizionale?

«Io non faccio film dove la regia conta in maniera molto minimale, bensì film con trama. Il genere che io seguo e che ho portato in Italia è innovativo: infatti io faccio l’XXX parody, ovvero prendo dei film o delle notizie di gossip in voga in quel momento e costruisco una versione parodica che tende a fare una satira leggera, che suscita l’ilarità dello spettatore. Con i miei film smantello i cliché del porno tradizionale, prendendo in giro i falsi miti che hanno cucito addosso all’hard».

Potremmo dunque parlare di un sottogenere dell’hard.

«Sì, un sottogenere dell’hard fatto innanzitutto con persone che sanno recitare. Il mio intento è quello di cercare di avvicinare l’hard al cinema tradizionale: la scena hard non deve essere il fulcro del film, bensì una sua parte, altrimenti non è più tale».

In qualche modo hai un po’ ingentilito quella che è la visione dell’hard, che viene considerato dai più come qualcosa di eccessivamente trasgressivo.

«Ma l’hard è trasgressione, che però va incanalata in maniera corretta. Anche la ribellione è una cosa giusta quando il sistema è sbagliato, però quella fatta con le proteste in piazza e con le molotov non serve a niente. La vera ribellione è una ribellione sociale, culturale e mentale».

E mi pare di capire che è anche questo il messaggio che vuoi lanciare attraverso i tuoi film.

«Certo, è necessaria una rivoluzione anche in campo sessuale. Il sesso qui in Italia è visto come una cosa strana, particolare, che va consumata di nascosto. A mio modesto avviso questo è assurdo, anche perché poi degli omicidi, delle rapine e della violenza se ne parla alla luce del sole, come se si trattasse di cose bellissime. Se io invece mostro una vagina, vengo preso di mira e contestato. Perché c’è tanto accanimento su una cosa così naturale come il sesso?».

Secondo te la Chiesa ha delle responsabilità nella creazione di questi tabù?

«La Chiesa, nel corso dei secoli, ha imposto ai propri fedeli una morale che non c’è mai stata. Hanno sempre messo davanti a tutto la purezza e la castità. In Luca 7.47 Gesù Cristo, riferendosi alla Maddalena, dice che i suoi peccati le sono perdonati perché ha molto amato, e che quelli che hanno pochi peccati è perché hanno amato poco. Soltanto questo servirebbe ad abbattere tutte le loro fantomatiche credenze sui peccati, sulla verginità e sulla purezza. Tutti concetti altissimi, ma attenzione: la castità deve essere una scelta, non un’imposizione. Stesso discorso vale per il sesso. La libertà sessuale deve essere una scelta, e quindi questa possibilità bisogna concederla. Se io voglio vivere la mia sessualità appieno, devo avere l’opportunità di farlo e non di essere additato come il dissoluto o la donna di malaffare».

De André, in “Bocca di rosa”, canta: «C’è chi l’amore lo fa per noia / chi se lo sceglie per professione / Bocca di rosa né l’uno né l’altro / lei lo faceva per passione».

«De André ha scritto dei testi incredibili, e credo che sia il più grande cantautore di tutti i tempi, perché i suoi testi “spaccavano” tutto. Sesso e violenza non vanno bene, mentre sesso e amore sì, ed è questo il mio messaggio. Sesso libero, senza tabù, senza strani stereotipi, senza pregiudizi. Alla fine il sesso è bello perché è libero. Purtroppo ci hanno sempre fatto credere che il sesso sia una cosa brutta».

A maggior ragione quando il rapporto viene consumato da due individui dello stesso sesso. Cosa ne pensi dell’omosessualità e delle unioni civili?

«Forse sto per dire una cosa banale, ma credo che quando c’è l’amore, c’è tutto. Gli omosessuali esistono, benché non piaccia a certi moralisti. Ritengo che sia giusto riconoscere a questi individui gli stessi diritti e doveri delle coppie eterosessuali. Sono infatti convinto che dove non ci sono regole prevale la legge della giungla, e quindi il male, la violenza e i soprusi. Parimenti, anche la prostituzione andrebbe regolamentata onde evitare che queste ragazze diventino schiave della malavita. La prostituzione, come il sesso e il prendere parte a un film hard, deve essere una libera scelta. Tornando agli omosessuali, fare coming out e vivere la propria storia d’amore sono opportunità che non possono e non devono essere negate: questa, secondo me, è la vera civiltà».

Qual è il tuo rapporto con Dio?

«Penso che Dio sia un genio. Secondo me lui ha le sembianze di un architetto che è riuscito a plasmare una creatura così complessa come l’uomo, capace di odiare ma anche di amare. Penso che Dio permetta all’essere umano di condurre liberamente la propria esistenza proprio perché anche lui è affascinato e al tempo stesso sorpreso dalla duplice natura insita nell’uomo».

Nella tua carriera hai avuto l’opportunità di conoscere uno dei più grandi pornoattori al mondo, ovvero Rocco Siffredi.

«L’ho conosciuto alla fiera “Torino Erotica”, dove nel novembre del 2016 sono stato premiato come miglior regista, mente lui ha ricevuto il premio come miglior attore. È una persona molto simpatica e alla mano, sempre disponibile al dialogo. Un vero artista, amatissimo dal pubblico femminile».

In quell’occasione, per ovvie ragioni, ebbe non poche difficoltà a muoversi…

«È stato costretto a camminare con la security, perché c’era il fondato rischio che qualche donna gli saltasse letteralmente addosso. Dopotutto, si tratta del sex symbol italiano per antonomasia».

Molti genitori e associazioni cattoliche sostengono che il sesso non vada spiegato nelle scuole. Secondo te andrebbe introdotta anche in Italia l’ora di educazione sessuale?

«L’educazione sessuale secondo me è indispensabile. Tempo fa lessi un commento di Mario Adinolfi che contestava i siti per adulti perché a suo avviso fuorviano i ragazzi e fanno vedere la donna come oggetto. In alcuni film hard effettivamente è così, ma è pur sempre una scelta dell’attrice essere rappresentata in questo modo. I ragazzi e le ragazze, arrivati ad una certa età, iniziano a sperimentare il sesso. Questi impulsi, che sono naturali, spesso e volentieri vengono soffocati dall’oppressione dei genitori».

Un’oppressione che spinge i ragazzi a ribellarsi e a consumare rapporti che spesso si concludono in maniera indesiderata…

«Questo accade perché non si ha la conoscenza né del proprio corpo né di quello del partner. Ed è per questo motivo che è importante spiegare in maniera molto pacata, ma chiara, come avviene il rapporto».

Parlando di profilassi, presumo che quest’ultima sia importantissima nel tuo settore.

«È così. All’estero le analisi vengono fatte ogni quindici giorni, mente in Italia, ogni volta che hai un rapporto con un altro attore o con un’altra attrice, le devi fare una settimana prima. Nel nostro paese, le analisi hanno validità per un mese. Gli attori professionisti se le fanno ogni mese, quelli che girano un film una tantum le fanno soltanto sette giorni prima del ciak. Inoltre, in Italia il preservativo nei film non si usa tanto perché non piace al pubblico italiano, che è molto passionale. Nel cinema francese e in alcuni stati Usa, invece, il profilattico è obbligatorio per legge».

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

«A novembre abbiamo finito di girare “Amici miei – atto primo XXX parody”, prodotto da Pif Production, Napolsex Production, Valery Vita Production in collaborazione con il New Perroquet by Patty di Torino. Si tratta della prima porn parody ispirata ad un film cult italiano, e sarà venduta su Camkake non appena la piattaforma – che verrà lanciata il 2 marzo – sarà operativa. Il 2 marzo sarò a Torino per l’inaugurazione del portale, alla quale parteciperanno molte personalità del mondo dell’hard. Per quanto riguarda i miei progetti futuri, essi sono sempre legati al genere XXX parody, e le parodie saranno basate su film cult o comunque su fatti di cronaca rosa».

In “Amici miei” ci sarà anche Axel Ramirez.

«Sì, mi piace recitare nei miei film, un po’ come faceva Hitchcock. A differenza sua, però, mi diverte avere un ruolo non defilato».

La politica non è mai presente nei tuoi lavori?

«Guarda, la politica non ha bisogno di parodia, si prende in giro da sola (ride, ndr)».

Francesco Castaldi

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