CULTURA & SOCIETA'

Ultima di Pasqua nella reale chiesa di Portosalvo con il Maestro Gesù risorto che “prende il largo”

IL SUGGESTIVO CANTO LUMEN CHRISTI  «LUCE DI CRISTO» –ANTICA ACCLAMAZIONE CRISTIANA CON CUI SI SALUTAVA L’ACCENDERSI DEI LUMI NELLE FAMIGLIE - seguendo un’analoga usanza pagana); si conserva oggi nel rito della solenne Veglia pasquale, quando il cero, dopo essere stato benedetto, viene portato processionalmente nella chiesa buia dal diacono, che canta «Lumen Christi», cui i fedeli rispondono «Deo gratias» (rendiamo grazie a Dio)

Ultimo atto di una Pasqua, tutto sommato vissuta in pace cristiana e con tutte le tradizioni rispettate, quello celebrato dal parroco Don Luigi De Donato nella Reale Chiesa parrocchiale di Portosalvo a Porto d’Ischia, nel giorno fausto dell’ascesa di Gesù in Cielo, ovvero della sua Resurrezione. La chiesa completa nel suo ordine dei posti a sedere riservati ai fedeli, ha fatto registrare il tutto esaurito per una cerimonia solenne attesa ed illuminante nei sui vari aspetti della liturgia pasquale nel percorso osservato. In pratica è stata la Veglia Pasquale che i fedeli di Portosalvo hanno seguito con la pienezza dei propri sentimenti di fede.

IL TRADIZIONALE SEPOLCRO REALIZZATO DALL'AVVOCATO GIOVANNINO DI MEGLIO
IL TRADIZIONALE SEPOLCRO REALIZZATO DALL’AVVOCATO GIOVANNINO DI MEGLIO

Nella liturgia della Chiesa cattolica e di altre Chiese, la Veglia pasquale è una messa solenne che celebra la risurrezione di Gesù e che si tiene dopo il tramonto del Sabato santo e prima dell’alba della domenica di Pasqua. Poiché celebra la vittoria sul peccato e sulla morte da parte di Gesù, è la celebrazione più importante dell’anno liturgico: per tali ragioni è nota come “madre di tutte le veglie“, secondo la definizione di sant’Agostino mater omnium sanctarum vigiliarum.[1] È inoltre la terza celebrazione peculiare del Triduo pasquale e la più ricca e lunga liturgia di tutto l’anno. I simboli usati nella celebrazione, ad esempio il cero, sono fortemente simbolici nel contrasto con il buio della notte, perché la Pasqua è questo: passaggio dal buio alla luce, dalla morte alla vita.La Veglia pasquale si articola in quattro parti: Liturgia del lucernario: Il Parroco con i ministrandi esce dalla chiesa, lasciata completamente al buio, senza luci né candele accese, Una volta fuori dalla chiesa, i concelebranti raggiungono un braciere precedentemente preparato, e il celebrante svolge un breve saluto iniziale preceduto dal segno della croce. Viene formata una brace in un apposito braciere in cui con l’incenso e con il ceppo si crea una fiamma, dalla quale si accende il cero pasquale.che viene benedetto dal Parroco tracciandovi una croce, le lettere greche alfa e omega e le cifre dell’anno; prende cinque grani di incenso e li conficca alle quattro estremità e al centro della croce disegnata, a simboleggiare le cinque piaghe gloriose di Cristo, delle mani, dei piedi e del costato. Quindi con uno dei ministrandi, che porta il cero pasquale, comincia la piccola processione che entrerà in chiesa, intonando per la prima volta “Lumen Christi” (la luce di Cristo), e i fedeli rispondono “Deo Gratias” (rendiamo grazie a Dio).

Dietro il cero pasquale si riforma la processione iniziale, e si accodano anche i fedeli con sulla porta il diacono che intona di nuovo “Lumen Christi”, e tutti i (la luce di Cristo), e i fedeli rispondono “Deo Gratias” (rendiamo grazie a Dio). Dietro il cero pasquale si riforma la processione iniziale, e si accodano anche i fedeli con il sulla porta il diacono che intona di nuovo “Lumen Christi”, e tutti i presenti accendono una candela; arrivati al presbiterio il diacono intona per la terza volta “Lumen Christi” e si accendono le luci della chiesa, tranne le candele dell’altare. Quindi viene riposto e incensato il cero pasquale e il libro, dal quale un diacono, o un cantore, intona l’Exsultet (preconio pasquale) o annuncio pasquale. Terminato l’annuncio tutti spengono le candele, ed inizia la liturgia della Parola, introdotta dal celebrante.La liturgia della Parola della veglia di Pasqua è la più ricca di tutte le celebrazioni dell’anno; consta di sette letture e otto salmi dall’antico testamento, un’epistola di san Paolo apostolo ed il vangelo scelto tra i tre sinottici, a seconda dell’Anno liturgico allo scopo di ripercorrere la storia della redenzione dall’origine della vita in Dio. Dopo ogni lettura e ogni salmo vi è l’orazione del celebrante.

Dopo l’Orazione alla settima lettura anche le candele dell’altare vengono accese e il celebrante intona il Gloria, che viene cantato da tutti, con l’accompagnamento dell’organo e il suono delle campane, secondo gli usi locali. L’Ascensione è l’ultimo episodio della vita terrena di Gesù, conclusasi in base al Nuovo Testamento con la sua salita al cielo, avvenuta secondo gli Atti degli Apostoli dopo un periodo di quaranta giorni dalla data della sua risurrezione; periodo, durante il quale Gesù, già assunto in cielo, sarebbe comparso più volte sulla Terra per ammaestrare i suoi discepoli sulla missione di evangelizzazione loro affidata. Il racconto dell’Ascensione rappresenta simbolicamente e proclama l’Esaltazione di Gesù Cristo risorto, che ne costituisce il significato teologico fondamentale. L’Ascensione, inoltre, chiarisce il significato della risurrezione di Gesù mostrando che la risurrezione della carne non è un fenomeno temporaneo e perciò l’Ascensione esemplifica il destino di tutti i salvati.[1] Il racconto dell’Ascensione, quindi, per i cristiani “non è pura invenzione, ma nemmeno una scena dal vero”. L’Ascensione di Gesù in anima e corpo alla destra del Padre è oggetto del Credo niceno e del Credo apostolico. La festività che commemora l’Ascensione è celebrata dalla Chiesa cattolica, nell’Oriente cristiano e in diverse confessioni protestanti; insieme a Pasqua e Pentecoste è una delle solennità più importanti. Secondo la narrazione biblica del Nuovo Testamento. Gesù, dopo la sua Risurrezione ed essersi mostrato ripetutamente agli Apostoli, salì al cielo con il suo corpo per non comparire più sulla Terra fino alla sua Seconda venuta (detta anche “parusìa”). Le modalità di questa ascesa al cielo sono descritte soltanto nel Vangelo di Luca e negli Atti degli apostoli, un’opera attribuita anch’essa a Luca. La dipartita di Gesù dagli Apostoli è assente o diversa e più semplificata negli altri testi del Nuovo Testamento. La visione di Gesù Cristo assiso alla destra del Padre Dio è pronunciata solamente da santo Stefano protodiacono e martire:

«Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio».» Lumen Christi ‹lùmen krìsti› (lat. «luce di Cristo»). – 1. Antica acclamazione cristiana con cui si salutava l’accendersi dei lumi nelle famiglie (seguendo un’analoga usanza pagana); si conserva oggi nel rito della solenne Veglia pasquale, quando il cero, dopo essere stato benedetto, viene portato processionalmente nella chiesa buia dal diacono, che canta «Lumen Christi», cui i fedeli rispondono «Deo gratias» (= rendiamo grazie a Dio); ad ogni sosta, prima il celebrante, poi il clero e infine i fedeli accendono alla fiamma del cero la loro candela, illuminando così gradualmente la chiesa. 2. Come s. m. (anche nell’adattamento ital. lumencristi), la locuz. è usata per indicare in genere una candela benedetta che si conserva per devozione, accendendola in qualche grave circostanza.

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