Un ischitano eletto milanese dell’anno
L’ispettore della polizia Christian Di Martino, originario dell’isola, conquista il prestigioso riconoscimento dell’edizione lombarda del Corriere della Sera. Fu accoltellato in maniera grave dal pregiudicato Hasan Hamis, che aveva provato a fermare mentre lanciava sassi dal binario 12 della stazione di Lambrate. Tra poco, finalmente, potrà tornare in servizio
La sua vicenda, all’inizio dello scorso anno solare, lasciò tutti col fiato sospeso. L’accoltellamento di cui fu vittima l’ispettore Christian Di Martino, originario dell’isola, fece temere il peggio per diverso tempo prima che il nostro concittadino fosse dichiarato fuori pericolo. Adesso però per Christian è arrivato un riconoscimento di quelli davvero importanti. L’edizione lombarda del Corriere della Sera, attraverso il voto espresso dai suoi lettori, lo ha infatti eletto “Milanese del 2024”. La sua è stata un’affermazione netta, una vittoria per distacco: 102.593 i voti (58.7% delle preferenze) che ha ricevuto il poliziotto che si è messo alle spalle personaggi del calibro di Nico Acampora, fondatore di PizzAut al 12,1% (12.382 voti), terza la senatrice a vita Liliana Segre, scelta da 6.306 lettori (6,2%), che ha preceduto per una manciata di voti il fondatore di Exodus don Antonio Mazzi, ai piedi del podio col 6%. A seguire il presidente dell’Inter Beppe Marotta — per lui il 3,9% delle preferenze — e Alessandra Quarto, direttrice del Poldi Pezzoli, sesta al 3,6%. Settima posizione per Ornella Vanoni (3,1%); ottava per l’immunologo dell’Humanitas Alberto Mantovani, fermo all’1,8%. Segue Yehia Elgaml, il padre di Ramy, morto nell’inseguimento dei carabinieri al Corvetto; decimo il pm Paolo Storari all’1,2%. Fanalini di coda l’ex presidente Anpi Roberto Cenati, votato dall’1%, e la prima rettrice della Statale Marina Brambilla con 886 preferenze e lo 0,9% dei consensi.
Nel servizio a firma di Alessio Di Sauro si legge in premessa: “Direbbe Rino Tommasi che sul calendario del viceispettore Christian Di Martino c’è un circoletto rosso. Il tratto di biro è sulla data del 17 gennaio, termine ufficiale della sua convalescenza che potrebbe segnare il momento del suo ritorno in divisa, otto mesi, venti giorni di ricovero e settanta trasfusioni dopo un’altra data, quella dell’8 maggio scorso, che stava per costargli la vita. Fu allora che Di Martino tentò di fermare il 37enne pregiudicato Hasan Hamis, intento a lanciare sassi dal binario 12 della stazione di Lambrate, prima che lo stesso lo accoltellasse tre volte a rene, milza, duodeno e intestino. Il resto è cronaca: le sette ore di intervento chirurgico al Niguarda, la terapia intensiva, i 20 giorni di ricovero. Le dimissioni, il recupero, il conto alla rovescia per tornare a sentirsi un poliziotto. E ora un premio simbolico, quello di «Milanese dell’anno», da parte dei lettori del Corriere, che ne travalica le origini ischitane e va a sommarsi all’affetto ricevuto da tutta Italia”. Poi di seguito c’è l’intervista realizzata proprio da Di Sauro a Di Martino che riportiamo in versione integrale.
Quasi 60 mila voti. Un plebiscito.
«Non me lo sarei mai aspettato. È un onore».
Come sta ora?
«Meglio, sto recuperando bene. Da qualche tempo ho iniziato di nuovo corsa e palestra. Una liberazione, per sei mesi sono stato quasi impossibilitato a muovermi. Diciamo che sono al 99%. Aspetto solo di tornare in servizio».
Che cosa si ricorda di quella notte?
«Tutto. Ero di pattuglia, ricevemmo la segnalazione di un uomo in escandescenze alla stazione di Lambrate che lanciava pietre, aveva ferito una signora. Le scagliò anche contro di noi, io fui l’unico a non essere colpito. Azionai il taser ma il circuito non si chiuse. Ci fu una colluttazione, all’improvviso sentii un bruciore alla schiena. Capii che era grave ma non realizzavo quanto. L’adrenalina attenuò il dolore, rincorsi l’uomo e lo gettai a terra. Pensai, piuttosto muoio ma lo devo prendere. Poi, il buio».
Si è svegliato cinque giorni dopo, al Niguarda.
«All’inizio è stato uno choc, temevo che non sarei mai più tornato quello di prima, mi sentivo diverso. Per fortuna fisico e mente hanno reagito bene, in ospedale sono rimasto solo 20 giorni. Al Niguarda sono stati eccezionali, ma sarebbe stato traumatico rimanerci più a lungo».
Ha raccolto solidarietà della politica e dei cittadini.
«Ho ricevuto visite in ospedale della premier Giorgia Meloni, del presidente del Senato Ignazio La Russa, del capo della Polizia Lamberto Giannini e del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Ma mi sono stati vicino anche molti milanesi. Una signora mi portò una tazza da latte in dono dal figlio con la scritta: “Al mio poliziotto eroe”».
Sembrava anche destinato a ricevere l’Ambrogino d’oro. Sembrava…
«Non faccio il mio lavoro per ricevere premi ma è innegabile un po’ di amarezza. Non per me, ma perché sarebbe stato un riconoscimento per tutte le forze dell’ordine».
Avrebbe anche suggellato il suo legame con la città.
«Sono di Ischia, a Milano sono arrivato 12 anni fa, ne avevo 23. All’inizio passare dall’isola alla metropoli fu complicato, poi la città mi ha accolto. Prima mi ha regalato una seconda vita, poi me l’ha salvata».
Chi l’ha aiutata di più in questi mesi?
«La mia famiglia. La mia fidanzata, i miei genitori. Ho seguito le orme di mio padre, agente in pensione. Da bambino lo vedevo in divisa, mi ispirava. Quando mi chiese se dopo l’Istituto commerciale volessi iscrivermi all’università gli risposi solo: “Voglio diventare un poliziotto bravo come te. Anzi, di più”».
Suo cognato Federico Dimarco le ha fatto recapitare una maglia con i messaggi di incoraggiamento dei calciatori dell’Inter.
«Se non fossi stato tifoso nerazzurro trascorrere il Natale in famiglia sarebbe stato un problema (ride, ndr). A scanso di equivoci comunque il mio interismo è più antico: la mia prima comunione risale al giorno di Juve-Inter ‘98, quella del rigore non fischiato per il fallo di Iuliano su Ronaldo. Mi rovinò la giornata».
Altri passatempi?
«I libri. Amo i gialli e i saggi sul contrasto alle mafie, come quelli del procuratore Nicola Gratteri».
Chi è il suo milanese dell’anno?
«Il pm Paolo Storari, per le sue inchieste sul malaffare ultrà e per quelle sul caporalato della logistica».
Tra i 12 nomi c’era anche quello del padre di Ramy.
«Ha mantenuto saggezza e senso civico in un momento tragico. I suoi moniti hanno ridimensionato una situazione che rischiava di diventare fuori controllo».
Rifarebbe tutto?
«Tutto».
Propositi per il 2025?
«Tornare al lavoro. E allargare la famiglia, chissà».