CRONACAPRIMO PIANO

Un sorriso da 26.000 euro

L’Inps condannata alla restituzione della notevole somma nei confronti di un’ischitana: la somma era stata trattenuta a seguito di due provvedimenti di indebito legati alla corresponsione del reddito di cittadinanza. L’avvocato Paolo Nuzzo ha spiegato le ragioni della sua assistita, la sentenza emessa dal giudice De Matteis

Si era vista trattenere la somma monstre di 26.000 euro dall’INPS a titolo di risarcimento perché secondo l’Istituto di Previdenza Sociale avrebbe percepito il reddito di cittadinanza senza averne titolo. Ma una cittadina ischitana, anche grazie al suo legale di fiducia avv. Paolo Nuzzo, è riuscita a dimostrare la sua buona fede e l’assoluta estraneità ai fatti contestati: insomma, non era mai stato nemmeno nei suoi più reconditi pensieri truffare l’INPS, che per la cronaca richiedeva la restituzione di indebito per un totale di 26.005 euro. La vicenda giudiziaria entra nel vivo nel maggio dello scorso anno quando la ricorrente esponeva di aver ricevuto dall’Inps due provvedimenti di indebito: il primo del 5 ottobre 2023 con cui veniva richiesta la restituzione della somma di euro 10.174,47 a seguito della revoca del RdC erogato nel periodo da novembre 2020 a ottobre 2021; il secondo, del 9 marzo 2023, con cui veniva richiesta la restituzione di euro 15.831,36 a titolo di reddito di cittadinanza non dovuto per il periodo da aprile 2019 a settembre 2020. Nel dispositivo si legge che la nostra concittadina “specificava che la pretesa restitutoria dei suddetti provvedimenti era basata sulla mancata comunicazione della variazione del reddito percepito. Rappresentava di essere sempre stata in possesso, nei periodi oggetto di richiesta restitutoria, del requisito reddituale previsto dalla legge e che in particolare non era mai stato a conoscenza della condotta illecita dell’ex compagno e degli ulteriori redditi da lui percepiti. Deduceva di non essere stata a conoscenza, come emerso nel procedimento penale iscritto al r.g. del Tribunale di Napoli, nemmeno della circostanza che il suo ex compagno avesse associato una Poste Pay al proprio conto corrente. Aggiungeva di non aver mai usufruito delle ingenti somme ottenute da (omissis…) in quanto la loro relazione era terminata nell’anno 2018, ben prima della domanda amministrativa finalizzata a ottenere il reddito di cittadinanza. Rappresentava di aver presentato invano, in data 18 dicembre 2023 e 21 dicembre 2024, a mezzo del proprio difensore, istanze di riesame in autotutela alla sede competente”.

Una volta instaurato il contradditorio, l’INPS si costituiva in giudizio deducendo la legittimità dei provvedimenti di indebito proprio in ragione della carenza del requisito reddituale. Nel dispositivo si legge che l’istituto “specificava in particolare che la prestazione era stata revocata sulla base della segnalazione della Guardia di Finanza di Ischia, da cui era emersa l’omessa comunicazione di redditi derivanti da ingenti vincite al gioco. Aggiungeva che le suddette vincite avevano determinato un incremento delle giacenze sul conto corrente postale intestato alla ricorrente, con conseguente variazione dell’ISEE del reddito familiare per gli anni 2019, 2020 e 2021. Deduceva in ogni caso la legittimità degli avvisi anche in ragione dell’omessa indicazione nella DSU trasmessa in sede di domanda amministrativa, dei membri del nucleo familiare, che non aveva consentito di effettuare verifiche sulla sua posizione reddituale. Concludeva chiedendo il rigetto del ricorso con vittoria delle spese di lite”.

L’avvocato Paolo Nuzzo

Nel motivare la sentenza il giudice Roberto De Mattei avvalora in pieno la tesi difensiva dell’avvocato Paolo Nuzzo e scrive: “Il ricorso è fondato e va pertanto accolto. Come detto, la contestazione è la legittimità o meno dei provvedimenti di indebito con cui veniva richiesta la restituzione della somma di euro 26.005,83 generata dalla mancanza del requisito reddituale nonché dall’omessa indicazione, nella DSU allegata alla domanda di ottenimento del reddito di cittadinanza, di alcuni componenti del nucleo familiare della ricorrente”. Tra l’altro il giudice del Tribunale del Lavoro osserva che “Dalla lettura di quanto riportato si evince, dunque, che gli ulteriori redditi che avrebbero determinato la perdita del requisito reddituale per gli anni 2019-2020-2021, nonostante formalmente giacessero su una postepay associata al conto corrente della ricorrente, non erano nella sua disponibilità… Vieppiù, emerge che la ricorrente non fosse neanche a conoscenza di tali redditi… In altri termini, la ricorrente, alla luce della documentazione versata in atti ha provato il possesso del requisito reddituale richiesto dalla legge”. Non cambia la musica nemmeno quando si fa riferimento alla seconda motivazione riportata negli avvisi in contestazione, quella relativa all’inesatta indicazione del nucleo familiare. Il dott. De Matteis è categorico nel convenire che “la contestazione ribadita dall’INPS in memoria di costituzione è priva di pregio. In virtù del generale principio di vicinanza dell’onere della prova, infatti, sarebbe spettato alla convenuta provare l’eventuale mendace dichiarazione che la ricorrente avrebbe fatto nella DSU allegata alla domanda volta all’ottenimento del beneficio assistenziale. Tuttavia, al netto di quanto dedotto dall’INPS, l’ente non ha prodotto le domande amministrative e le DSY non permettendo a questo giudicante di verificare o meno la mendacità delle dichiarazioni ivi riportate. A ciò si aggiunga la circostanza che la ricorrente in data 25 giugno 2021, ossia ben prima della ricezione dei provvedimenti di indebito oggi contestati, aveva denunciato (omissis…) per presunti reati da lui commessi, tra cui il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p. In particolare ha denunciato la circostanza che già a partire dall’anno 2018 la convivenza con (omissis…) con cui non ha mai contratto matrimonio si era bruscamente interrotta, così come si erano completamente interrotti ogni tipo di contatto e rapporto diretto”. Ecco perché queste considerazioni, come evidenziato dal legale della ricorrente, andavano anche a incidere sul conteggio da fare relativamente ai componenti del nucleo familiare.

Alla fine così conclude il giudice: “Alla stregua delle suesposte considerazioni, in accoglimento del ricorso vanno annullati i provvedimenti di indebito dell’Inps del 9 marzo 2023 e del 5 ottobre 2023 , per l’indebito generato dalla revoca del reddito di cittadinanza per il periodo dall’aprile 2019 all’ottobre 2021 e va dichiarato non ripetibile l’indebito ivi riportato: per l’effetto l’ente va condannato alla restituzione in favore della signora (omissis…) di quanto pro tempore trattenuto a tale titolo”. Da qui la condanna all’Inps a rimborsare la somma di 26.005,83.

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