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Quel 30 marzo, le manette e il terremoto ad Ischia

ISCHIA – Forse lo ricordano in pochi, non fosse altro per la frenesia dei tempi moderni e soprattutto perché l’anniversario non è certo di quelli da “celebrare”. Ma ieri è passato esattamente un anno da quel lunedì mattina che alle prime luci dell’alba sconvolse l’apparente tranquillità di Ischia, che si apprestava a vivere una nuova settimana con le sue abitudinarie routine senza sapere che di lì a poco i riflettori dell’Italia intera – e non solo – si sarebbero dirottati sul nostro ameno scoglio, e non certo per decantarne le bellezze naturali. Il sole cominciava a farsi vivo quando il tam tam già si diffondeva in maniera paurosa, anche perché la notizia esplodeva fragorosamente sui siti web: ad Ischia era scoppiata “Metanopoli” ed i carabinieri avevano prelevato dalla sua abitazione il sindaco d’Ischia, Giosi Ferrandino, conducendolo dritto nel carcere di Poggioreale. Il dirigente dell’ufficio tecnico, Silvano Arcamone, se la cavò invece con gli arresti domiciliari, poi dietro le sbarre finirono anche il fratello del primo cittadino, Massimo Ferrandino ed un gruppo di dirigenti e manager della Cpl Concordia, con il testa l’ex presidente Roberto Casari. Un terremoto di dimensioni “bibliche” che portò l’isola a diventare – mediaticamente parlando – l’ombelico dello Stivale per diverse settimane, con un “bombardamento” iniziale dinanzi al quale sottrarsi era proprio impossibile. Televisioni, radio, giornali, ovunque si parlava solo dell’inchiesta metano e della corruzione associata ad Ischia. Non eravamo abituati a tanto, per la verità, abbiamo dovuto farci il callo anche se ormai il senso di abulia e rassegnazione che sembra regnare sulla nostra terra ha fatto sì che quantomeno non ci fossero scene da psicosi di massa.

E’ passato un anno, e crediamo che non serva andare a riannodare i fili di una vicenda davvero imbarazzante, per usare un eufemismo. Ma non possiamo dimenticare che proprio in prossimità di questa “ricorrenza” è arrivata un’altra mazzata alla nostra immagine, sempre più deteriorata. Ventisette comuni in Provincia di Napoli attenzionati dal Prefetto Gerarda Pantalone perché in odore di camorra: c’è anche Ischia, insieme a realtà dell’hinterland partenopeo dalle quali per anni – un po’ per snobismo ed un po’ perché in effetti potevamo permettercelo – abbiamo con un pizzico di puzza sotto il naso preso le distanze. E’ la punta dell’iceberg, è la (in)degna conclusione di una serie di eventi che probabilmente sono stati gestiti male, malissimo, e che al paese (bisogna essere onesti nel riconoscerlo) non ha portato alcun vantaggio. Si parla spesso del commissario prefettizio come di una “iattura”, con tutto il rispetto essere additati come località dove nel palazzo potrebbero annidarsi infiltrazioni malavitose è ancora peggio e deprecabile. Soprattutto perché tutto questo è accaduto nel più assoluto silenzio: né il sindaco, né il vicesindaco, gli assessori o i consiglieri comunali dell’attuale maggioranza hanno commentato l’episodio. Non provate a chiederglielo o a strappar loro una battuta, la risposta sarà sempre la stessa: “Non è il caso, non dirmi nulla, non saprei cosa dire”.

Già, nessuno saprebbe cosa dire e la cosa peggiore, volendo fare un tuffo nel passato, e che all’epoca dei fatti nessuno riuscì a capire per tempo cosa forse era opportuno fare. Non lo capì il sindaco Giosi Ferrandino e non lo capirono i suoi “accoliti”, per la verità abituati a chinare il capo ed obbedire piuttosto che a ragionare ed imporre la propria idea, operazione questa di fatto impossibile per manifesta pochezza. Ad un anno di distanza restiamo dell’idea che nell’imminenza dei fatti Giosi Ferrandino l’avesse imbroccata, consegnando proprio nel carcere di Poggioreale al suo legale di fiducia la lettera con la quale rassegnava le dimissioni dalla carica di primo cittadino. Il sindaco, è vero, aveva giurato la sua innocenza ed assoluta estraneità ai fatti contestati, ma tirarsi fuori per motivi di opportunità sarebbe stato un gesto apprezzabile, nell’attesa che si facesse chiarezza. Poi, magari, a cose fatte avrebbe potuto rivendicarla, la sua innocenza, e magari tornare in sella. Si dirà che la giustizia ha tempi lunghi, che la politica non aspetta, che quando sei fuori sei fuori punto e basta: sarà pur vero, ma continuiamo a pensare che la soluzione sarebbe stata la migliore, anche perché il tempo – ed i dodici mesi trascorsi proprio ieri – hanno dimostrato che la scelta è stata sbagliata non fosse altro che per il terrificante effetto domino avuto sulla vita amministrativa (e non) del paese. Giosi ci ripensa, non si dimette più, all’epoca dei fatti qualche consigliere sorride soprattutto perché temeva che l’arrivo del commissario prefettizio avrebbe causato il dissesto finanziario dell’ente locale di via Iasolino. In realtà le cose andranno ancora peggio. Il sindaco ottiene gli arresti domiciliari ma rimane ristretto nella prigione “dorata” di una suite dell’Hotel Le Querce per altri tre mesi. Consiglieri, assessori e sindaco facente funzioni non sanno che pesci prendere ed Ischia precipita in un baratro dal quale purtroppo non si rialzerà più.

Il resto è storia più o meno nota. Giosi Ferrandino viene reintegrato dal Prefetto nella carica di sindaco, ma di fatto per un anno intero continua a muovere le fila della sua maggioranza da dietro le quinte. Raramente in municipio, mai in consiglio comunale se si eccettua un “cameo” in una seduta in cui leggeva un documento programmatico con cui l’amministrazione intendeva ripartire e dar corpo alla sua attività fino alla fine del mandato. Nulla di straordinario, per la verità, nemmeno l’ombra di quell’entusiasmo che aveva caratterizzato la sua ascesa da Casamicciola ad Ischia, la “barca” affidata dapprima a Carmine Barile e poi a Enzo Ferrandino e qualche altro pezzo da novanta che nel frattempo prende le distanze, saluta e se ne va. A settembre l’inizio del processo: non sarebbe stato breve e lo si sapeva, non è un caso se dopo sei mesi siamo riusciti appena a stabilire che le intercettazioni telefoniche possono essere utilizzate come prove, dopo un estenuante braccio di ferro tra gli avvocati ed il pubblico ministero. Un anno dopo Casari fa il pensionato nella sua Concordia sulla Secchia, Silvano Arcamone è tornato a svolgere l’incarico di dirigente dell’ufficio tecnico, Massimo Ferrandino deve essere giudicato a Modena e non a Napoli, l’isola ha provato a rimarginare quella ferita, per la verità senza riuscirvi più di tanto. Anche perché, come già rimarcato, proprio a sottolineare questa nefasta ricorrenza ci ha pensato il Prefetto di Napoli. Noi speriamo che si sbagli, altrimenti non potremo pensare che si tratti solo di un sogno. O meglio, di un incubo. E dei peggiori, anche.

 

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