CULTURA & SOCIETA'

Procida e la favola di Libera e Giovanni

La storia di una coppia che ha saputo farsi apprezzare non soltanto sull’isola ma anche fuori dal territorio, dove hanno lasciato segni di una presenza indelebile. E ancora oggi…

Credo sia doveroso dare il meritato riconoscimento a due valenti e capaci procidani che hanno saputo crearsi un viaggio ricco di soddisfazioni e di attestazioni lusinghiere. Con il loro lavoro, la loro intraprendenza, la maestria e l’entusiasmo.

Libera Esposito di Marcantonio e Giovanni Iovine sono due procidani doc. Eppure, la loro fortuna si è fatta conoscere ed apprezzare non solo sulla nostra isola, dove hanno creato e gestito tante attività nel campo della ristorazione, del turismo, del tempo libero, ma anche fuori dal nostro territorio, dove hanno lasciato segni di presenza indelebili. Ovunque hanno creato qualcosa sono riusciti a diventare eccellenza. Il loro è sempre stato un piccolo universo fatto di piatti e di sapori della tradizione, di un gusto legato al mare e alla terra.

“Mio padre – racconta Giovanni – prima di fare il ristoratore era un commerciante di limoni e carciofi, ripeteva spesso questa massima anche se era originario di Barano d’Ischia. Io preferisco dire “se la vita ti dà limoni aspri, tu fanne una dolce limonata”. In pratica è un modo come un altro per cercare di provarci sempre. Non ho fallito se non ci sono riuscito, ho avuto comunque successo perché ci ho provato”.

“Non siamo mai stati bravi nei percorsi lineari – continua Giovanni . Noi alle cose normali ci arriviamo sempre facendo la strada lunga, storta, pestando le merde, con la cartina al contrario. In tutti gli ambiti della nostra vita: per arrivare in un posto, chiediamo cento volte. Non ci vergogniamo del nostro percorso, anzi siamo contenti perché, pur non avendo fatto cose particolari, abbiamo messo impegno e umiltà in tutto quel poco che abbiamo costruito. Siamo scesi a patti con la nostra fallibilità, ma chi è che non sbaglia nella vita. Il che va benissimo: sbagliando si impara e un sacco di persone sono molto in alto, adesso, dopo essere state parecchio in basso. Non bisogna vergognarsi dei propri sbagli. Mi guardo indietro e vedo un ragazzo di 7/8 anni, magrolino e piccolo, da non arrivare al lavandino di ceramica, in piedi su una cassetta di legno che lava piatti. Mi vedo amare lo studio, con poco tempo per divertirmi perché in famiglia c’è sempre qualcosa da fare. Ancora oggi ricordo che negli anni dell’università, quando tornavo da Napoli il venerdì, mio padre mi mandava a pulire i maiali per ricordarmi semplicemente da dove venivo e che “se anche un giorno diventerai un medico”, diceva, “ricordati della merda che hai spalato”. Limoni da cogliere, carciofi da sistemare nelle casse di legno, patate da dissotterrare, ombrelloni da piantare nella sabbia, clienti da servire al bar o al ristorante. E vedo lei barcamenarsi tra Procida e Cantù, facendo l’operaia, la shampista, la lavapiatti e poi l’aiutante in cucina. Poi, insieme, è iniziato un lungo percorso: pub, ristoranti, una pizzeria, un bar a Milano, una piccola discoteca, un cinema all’aperto anche se per poco tempo, un’area per spettacoli di cabaret in una piccola area sul lungomare Cristoforo Colombo in quel di Procida. Una vita spesa per il lavoro in proprio, investendo sulle nostre capacità e di tasca nostra, senza chiedere niente a nessuno e con la massima integrità morale. Amiamo quello che facciamo e non ci pesa farlo. Ancora oggi, lei a dirigere una cucina di un grande albergo ed io che servo clienti ai tavoli con il sorriso sulle labbra ed il massimo rispetto”.

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