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Villa Mercede, l’ombra del mobbing sui dipendenti licenziati(si)

Una vicenda che, se confermata, assumerebbe contorni decisamente inquietanti, gettando più di un’ombra sulla gestione di una struttura finora additata come esempio tra le residenze sanitarie assistenziali. Parliamo di Villa Mercede, finora gestita dal direttore sanitario dottor Luigi Capuano, poi recentemente “dirottato” al timone dell’Ospedale Anna Rizzoli di Lacco Ameno. Alcune collaboratrici che hanno prestato servizio presso la struttura di Serrara Fontana, hanno lamentato un atteggiamento da parte della direzione tanto ostile al punto da indurle a rassegnare le dimissioni. Pur con le dovute cautele imposte da una materia tanto delicata quale è quella dei rapporti di lavoro, resta il fatto che un numero non certo trascurabile di infermiere ha preferito lasciare anzitempo il proprio incarico. Tutte appartenenti alla cooperativa sociale Civitas, una Onlus con sede a Grumo Nevano, le infermiere erano entrate in servizio tramite un contratto d’appalto stipulato il 30 luglio 2012 mediante scrittura privata.

La durata dell’accordo era di cinque anni, dunque la naturale scadenza sarebbe arrivata tra alcune settimane ma in realtà, da diversi mesi, sette di esse erano già lontane da Villa Mercede. Il motivo? Una serie di comportamenti e di atteggiamenti da parte del direttore che avrebbe creato un clima di intimidazione, anzi, di “terrore”, come lo hanno definito alcune collaboratrici, allo scopo di spingerle ad abbandonare quel posto di lavoro. Una di loro, che ha preferito mantenere l’anonimato, ha provato a illustrarci, anche con qualche esempio, le ragioni per le quali lei e le sue colleghe sono state indotte a dare le dimissioni da un lavoro che amano e per il quale hanno sempre profuso grande professionalità. «L’atmosfera era diventata rapidamente ostile, difficile: era totalmente assente quello spirito di collaborazione necessario in una struttura sanitaria – ci ha spiegato l’operatrice – e  tutto si riverberava pesantemente sugli anziani ospiti della residenza, che costituiscono l’anello finale, oltre che debole, della catena e che comunque pagano cifre vicine ai duemila euro mensili per essere assistiti. In un ambiente dove è importante trasmettere calma, serenità e familiarità agli ospiti, le tensioni createsi tra la direzione e il personale rendevano impossibile garantire l’adeguata qualità del servizio, e i continui cambi di personale di certo non aiutavano, anzi, disorientavano ancor più gli anziani».

Tra gli episodi sintomatici, che potrebbero essere comprensibili nell’ottica dell’integrale e fredda applicazione dei regolamenti, ma che testimoniano la voragine di sfiducia venutasi a creare, uno riguardava quello che si potrebbe definire un atto caritatevole: «Un’infermiera aveva avuto dalla precedente direzione l’autorizzazione a effettuare periodicamente un prelievo gratuito a un paziente, malato di tumore, esterno alla struttura ma ben conosciuto da tutti gli addetti. Ebbene, quella che era divenuta una piccola cortesia a una persona benvoluta da tutti, è poi divenuto addirittura motivo di denuncia da parte del direttore nei confronti dell’infermiera, che pure fino a quel momento aveva così agito su autorizzazione scritta». Da quel momento, come ci è stato riferito, l’infermiera ha dovuto fronteggiare l’ostilità costante del direttore. Ma tra gli atteggiamenti che hanno disseminato fortissimo disagio tra il personale, vi sono state anche alcune insolite ispezioni negli armadietti dei dipendenti: anche qui, sebbene ci fossero formalmente tutti gli estremi per procedere a tale operazione, le collaboratrici avvertivano la sgradevole sensazione di essere sotto pressione senza nessun motivo professionale a giustificare tale tipo di zelo. A quanto si è appreso, ci sarebbero state anche intromissioni nella vita di relazione privata dei dipendenti: «Una delle mie colleghe – ha continuato l’infermiera – è stata infatti redarguita dal direttore per una presunta relazione con un operatore socio-sanitario (o.s.s.) esterno:  è stata infatti richiamata per aver ricevuto, al di fuori dell’orario lavorativo, alcuni doni personali dall’operatore. Un’invasione inaccettabile nella nostra sfera personale, senza apparenti giustificazioni da parte del direttore sanitario, visto il corretto comportamento professionale che abbiamo sempre tenuto nel nostro lavoro».

Anche nelle normali procedure di avvicendamento nei turni di lavoro si verificavano momenti di tensione: «Normalmente, il passaggio di consegne tra mattino e pomeriggio, in altre strutture avviene tra infermieri insieme agli operatori sociosanitari con una sorta di briefing per fare il punto sulle attività mattutine e contemporaneamente programmare quelle pomeridiane. Questa procedura, oltre che sembrare sconosciuta, a Villa Mercede appariva perfino vietata, visto che secondo il direttore gli infermieri non potevano assolutamente dire agli O.s.s. (operatori socio-sanitari) cosa avrebbero dovuto fare, creando di fatto una certa anarchia. A nulla sono valsi gli appelli alle normative: non era possibile discutere col direttore, il quale non ammetteva alcun tipo di replica. Un atteggiamento assolutistico, quasi militaresco». Il progressivo allontanamento delle infermiere avrebbe poi reso ancor più duro il lavoro del personale rimasto nella struttura, chiamato a sopportare diversi momenti di difficoltà, con turni straordinari senza giorni di riposo per svariate settimane consecutive. «Diverse volte ho cercato di far presente le nostre rimostranze al direttore – ha proseguito l’infermiera – il quale però non accettava alcun dialogo. In ogni lavoro di squadra, prima di arrivare a segnalazioni scritte, si procede a riunioni dove si fanno presenti i punti da migliorare nell’azione collettiva. Invece, proprio per timore di tali segnalazioni e di eventuali conseguenze negative per la propria carriera professionale, molte colleghe dopo aver lungamente sopportato in silenzio hanno preferito rassegnare le dimissioni». Nei mesi successivi, il posto reso vacante dalle infermiere “dimissionarie” è stato preso da altro personale, quasi completamente di sesso maschile.

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