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Cpl, la difesa tuona: «Il fatto non sussiste, assolvete Giosi!»

Si sono concluse ieri le arringhe difensive nel processo per la presunta corruzione nell’ambito della metanizzazione dell’isola d’Ischia. Gli avvocati di Giosi Ferrandino, anch’egli presente in aula, hanno chiesto l’assoluzione per  il loro assistito “perché il fatto non sussiste”. Dopo le conclusioni dei colleghi Tortora e Guida nell’ultima udienza prenatalizia, quella di ieri è stata quasi interamente occupata dalla discussione degli avvocati Alfonso Furgiuele e Giovanbattista Vignola. Il collegio giudicante presieduto dal dottor Pellecchia ha infatti contestualmente rinviato ogni altro processo in programma per dare il massimo spazio alle ultime arringhe.

FURGIUELE. Ha cominciato l’avvocato Furgiuele volgendo subito l’attenzione verso l’imputazione iniziale, quella di corruzione nell’esercizio della funzione di pubblico ufficiale. Il baricentro  del processo, ha spiegato l’avvocato, è l’imputazione, che  secondo il legislatore deve essere chiara e precisa. Quando essa è vaga, prolissa e contraddittoria, «significa che  l’accusa non ha le idee chiare». In più, secondo il noto penalista, esiste una contraddittorietà tra la contestazione originaria e quella suppletiva, di induzione indebita, legata alla posa delle condotte  termali tra le proprietà della Dimhotels sfruttando uno scavo per la metanizzazione.

In particolare, Furgiuele  ha rilevato come il capo dell’imputazione fosse  rimasto nella  sostanza identico a quello dell’ordinanza cautelare. Nel verbale dell’interrogatorio di garanzia, quando Giosi rivendicò la sua estraneità alle accuse essendo stato eletto sindaco anni dopo l’assegnazione dell’appalto per  la metanizzazione, il pm Woodcock contestò la vicenda delle  tubature, accusa che dopo anni è saltata fuori in chiusura di dibattimento. L’avvocato dunque ha evidenziato l’incongruenza di un’accusa che già all’esito del Riesame era stata esclusa, mentre il successivo processo è stato definito “atipico, irragionevole e tortuoso” (ricordando le prime contraddittorietà in tema di competenza dei giudici). « La pubblica accusa ha  gettato le imputazioni come  una rete a strascico, sperando di prendere qualcosa».

L’avvocato Furgiuele è poi passato all’esame specifico dei capi di imputazione. Per la corruzione, prevista dall’articolo 318 del codice penale, è necessario che  vi sia un pactum sceleris, un accordo “sinallagmatico” dove a una prestazione deve  corrispondere una controprestazione. Dopo la riforma legislativa del 2012, è necessario che la condotta incriminata  sia riconducibile all’esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale. Ma l’accusa, secondo Furgiuele ha impropriamente bypassato tali prescrizioni tirando in ballo la condotta  dell’architetto Arcamone, mentre di Giosi fu detto  che “avrebbe compiuto atti relativi ai lavori di metanizzazione”. Atti che, secondo la difesa, non sono mai stati individuati.

Proprio la mancata individuazione di atti favorevoli alla società cooperativa avrebbe  spinto l’accusa a parlare  di “asservimento della funzione” di pubblico ufficiale a vantaggio della Cpl Concordia. «Domandammo al capitano Scafarto – ha ricordato Furgiuele-  se avessero mai riscontrato comportamenti del Ferrandino che configurassero  tale asservimento, ma il capitano ammise di non averne mai trovato traccia». Svanita questa “pista”, si cercò su Arcamone, anche in questo caso senza alcun esito. La difesa  ha  affermato che non è stata  trovata nessuna traccia di contropartite nemmeno nelle eventuale opere  di convincimento presso gli altri sindaci  isolani nel partecipare  alla metanizzazione. La presunta opera di persuasione dell’avvocato Massimo Ferrandino, fratello di Giosi, secondo Furgiuele non trova alcun riscontro nelle  parole dell’ingegner Lancia, il manager Cpl che spiegò di non aver mai parlato con Giosi. Sul punto, l’avvocato ha citato le contraddizioni di Scafarto, il capitano del Noe che  coordinò le attività di intercettazione, il quale in modo evasivo spiegò di non ricordare se  esistessero riscontri di eventuali conversazioni tra  Giosi e Lancia. Anche i sindaci, chiamati in causa dalla difesa anziché dal pm, esclusero ogni  pressione  di Giosi. L’episodio dei vini di D’Alema o dei libri di Tremonti acquistati dalla Cpl è stato definito dal penalista una sorta di captatio benevolentiae, cioè la maniera con cui Casari e compagni cercavano di ingraziarsi eventuali partner, ma senza che tale comportamento potesse configurare  corruzione in atti d’ufficio.

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Anche la storia del viaggio in Tunisia, che Giosi non fece mai, è stato ironicamente citato dall’avvocato come esempio dell’approssimazione con cui la Procura ha condotto le indagini, così come il capitolo delle presunte  assunzioni, mai effettuate: il solo Giovanni Ferrandino era  stato infatti assunto nel 2010 autonomamente dalla Cpl e poi licenziato, senza che  Giosi fosse minimamente coinvolto.

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L’avvocato Furgiuele è poi passato al capitolo-convenzioni, cioè l’accordo di consulenza di Massimo Ferrandino con la Cpl, e il contratto “vuoto per pieno” tra l’hotel Le  Querce della famiglia Ferrandino e la stessa società emiliana. Secondo la difesa, non c’è alcuna prova del ruolo di Giosi come colui che accetta una contropartita nella sua funzione di pubblico ufficiale. Né le dichiarazioni  di Lancia e  Di  Tella possono provare  qualcosa in tal  senso, visto che l’ex sindaco di Ischia si oppose  fermamente alla posa di un serbatoio di gas, considerato una possibile “bomba ecologica”.

Infine, sulla recentissima accusa di induzione indebita lanciata a dicembre  dal pm, Furgiuele ha dichiarato che essa si fonda essenzialmente  sulla testimonianza di Di Tella, il quale spiegò di aver avuto il permesso di posare le tubature termale dei Di Meglio nello scavo della Cpl dall’ingegner Lancia, il quale tuttavia escluse di aver dato un permesso del genere. La debolezza dell’accusa si accentua, ha spiegato il penalista,  ove si consideri che  la difesa ha dimostrato documentalmente che lo scavo risale al 2006, ben prima dell’elezione di Giosi a sindaco. Sulla scorta di tale articolata  arringa, l’avvocato Furgiuele ha concluso chiedendo l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste.

 VIGNOLA. È  stata  poi la volta  dell’avvocato  Giovanbattista Vignola, che ha  posto l’accento  sul fatto che l’accusa di corruzione riguarda un comportamento perdurante a cavallo tra le due discipline legislative, prima e dopo la riforma del codice  avvenuta nel 2012. È dunque fondamentale capire qual è il momento “consumativo” del reato. Vignola ha spiegato che le due convenzioni (tra Massimo e la Cpl e tra l’hotel e la stessa società) sono anteriori alla data di entrata  in vigore della nuova normativa, quindi il presunto  reato  dovrebbe  ricadere nella  vecchia  discplina. Tuttavia, come ha sostenuto la  difesa, in quel caso per configurare il reato era necessario un atto del pubblico ufficiale, che  in realtà non c’è mai  stato.

Secondo Vignola, l’attuale  articolo 318 è piuttosto generico, e il reato sarebbe provato soltanto in presenza di un parallelo completo  asservimento di Giosi alla Cpl, ma gli atti  successivi da parte  di Giosi a favore del privato non sono stati provati. « Le  due convenzioni – ha inoltre spiegato Vignola – erano a favore di Massimo Ferrandino, non di Giosi. Anzi, nessun atto è mai stato compiuto a favore dell’ex sindaco».

Per quanto riguarda le specifiche contestazioni, Vignola si è riportato alle conclusioni di Furgiuele: «L’appalto risale ad anni prima che Giosi venisse eletto sindaco», ma soprattutto, l’avvocato ha pesantemente attaccato la pubblica accusa: « La Procura  andrebbe adeguatamente  bacchettata per queste  sviste». Secondo l’avvocato, anche l’ipotesi di  Arcamone come “longa  manus” di Giosi non regge minimamente alla verifica dei fatti, come già avevano ampiamente illustrato gli avvocati Tortora e Guida.

ATTACCO ALLA PROCURA.  Vignola si è poi nuovamente scagliato con veemenza contro la Procura: «Giosi Ferrandino, sindaco di un comune importante come Ischia, è stato sbattuto in galera e sulle prime pagine di tg e quotidiani nazionali perché accusato  di essersi venduto un appalto con cui in realtà non aveva mai avuto a che fare». Secondo il penalista, avendo accertato l’estraneità di Giosi, bisognava ammettere l’errore e chiudere  la vicenda in tempi brevi. Invece, ha spiegato Vignola con una metafora, dopo aver sbattuto contro un albero si è deciso di perseverare e di andare a sbattere contro un muro. La vicenda dei tappetini d’asfalto, che  l’architetto Arcamone  pretendeva fossero eseguiti dalla Cpl a regola d’arte, fu indicata dal Riesame come una contraddizione logica in relazione all’accusa. La famosa frase “Ha detto Giosi che andiamo tutti in galera”, anche ammesso che fosse stata  davvero pronunciata, secondo Vignola è la miglior prova del mancato asservimento  di Giosi alle mire della cooperativa. L’ex sindaco non avrebbe mai fatto opera di persuasione presso gli altri primi cittadini, ma anche  in quel caso, se fosse ipoteticamente accaduto, si tratterebbe di un invito a non perdere  i finanziamenti statali, e quindi nell’interesse dell’isola.

Secondo l’avvocato, venute sostanzialmente  a cadere queste ipotesi corruttive, la Procura si è aggrappata alle due convenzioni con la Cpl, quella di Massimo e dell’Hotel Le Querce, ma risalendo esse a prima del 2012, la mancanza di un atto amministrativo nell’esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale  fa cadere  l’ipotesi di reato. Di fronte a questa ulteriore e decisiva debolezza accusatoria, secondo la difesa, la Procura è stata indotta come ultima ratio a ipotizzare che  gli atti di Massimo, come consulente e come proprietario dell’hotel, fossero voluti e pilotati da Giosi, quando anche  dalla testimonianza di Scafarto si ebbe la conferma che nell’accordo tra Massimo e la Cpl Giosi non ebbe alcun ruolo. Vignola ha usato l’esempio del dottor Cantone, a capo dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), il cui fratello ebbe incarichi da parte del plurindagato imprenditore Romeo, senza che  la  Procura battesse ciglio, per spiegare l’irrilevanza della parentela tra Massimo e Giosi nei rapporti con la Cpl. Infine, anche  l’avvocato Vignola  ha concluso la sua articolata esposizione chiedendo l’assoluzione perché il fatto non sussiste. L’udienza si è chiusa verso le ore 15.15, quando il presidente Pellecchia ha rinviato le parti a martedì prossimo: dopo le eventuali repliche del pubblico  ministero, il collegio dovrebbe rendere nota l’attesa sentenza.

Francesco Ferrandino

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