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«Non si scherza con Giosi», la vendetta sullo “Strike” arriva dal web

Una volta si diceva così: chi in un modo ferisce, nella stessa maniera perisce. E il motto, credeteci, calza a pennello per l’ex sindaco d’Ischia Giosi Ferrandino che si ritrova improvvisamente suo malgrado a vedersi restituita con gli interessi l’iniziativa del manifesto recante la scritta “Strike” con la quale annunciava in maniera obiettivamente un po’ maliziosa di aver definitivamente estromesso i suoi storici avversari dalla scena politica dopo le elezioni amministrative dello scorso 11 giugno. Ancora una volta, tutto ruota attorno ai birilli, anche se stavolta la replica è un po’ più sottile ma anche più di nicchia perché per comprenderla appieno occorre essere dei profondi conoscitori di cinema. La fonte che ha ispirato i fotomontaggi realizzati da Antonello De Rosa, infatti, è un film cult dei fratelli Cohen, intitolato “Il grande Lebowski”, che ruota proprio attorno alle vicende strambe e surreali che vedono protagonisti un gruppo di persone accomunate – manco a farlo apposta – da una sola grande passione e cioè il bowling. Un film davvero meraviglioso e che chi non ha ancora visto, per quanto ormai datato, farebbe bene a vedere, con un Jeff Bridges in versione davvero insolita, che dovette addirittura ingrassare una ventina di chili per poter recitare e che interpreta il ruolo di un personaggio disoccupato, senza ideali e quanto mai trasandato.

Un ruolo decisamente controverso lo svolge tale Jesus Quintana, interpretato da uno strepitoso John Turturro, un iconico giocatore di bowling vestito completamente di viola con una tuta sulla quale è raffigurato il suo nome. Drugo, il protagonista del film, ha appena superato il turno e scopre che dovrà vedersela nelle semifinali proprio con Quintana e il suo compagno di squadra. Proprio Quintana, dopo essersi esibito in un paio di atteggiamenti inopportuni, prima di allontanarsi “minaccia” verbalmente i suoi avversari concludendo con la frase ormai celebre, pronunciata in sudamericano stretto: “Non si scherza… con Jesus”. Insomma, si parla di birilli e di bowling ed è per questo motivo che si sta consumando la vendetta contro Giosi e il suo manifesto. Perché quella frase è diventata adesso “Non si scherza con Giosi”, che come si nota dall’immagine principale è riportata anche in inglese. Ovviamente questi fotomontaggi stanno letteralmente facendo il giro del web e anche delle chat whatsapp in particolare che coloro che nell’ultima campagna elettorale sono stati avversari dell’ormai ex sindaco. Il quale a un certo punto compare in tutte le salse, anche mentre finisce col diventare una palla da bowling e finire contro quei birilli che magari sono proprio gli avversari che lui ha profondamente sbeffeggiato. Che dire, dall’altra parte della barricata si divertono anche a sottolineare che stavolta l’idea non è venuta direttamente a un politico ma a gente comune, che ha saputo contemporaneamente divertirsi un po’ e restituire pan per focaccia.

Insomma, dal manifesto al web, nessuno si è fatto mancare niente, anche se ci piace sottolineare che adesso forse sarebbe arrivata l’ora di smetterla con cabaret e con le vendette più o meno traversali ed iniziare a pensare che c’è un paese da amministrare ed al quale ridare vigore, impulso e nuovo slancio. Il prossimo passo sarà quello della proclamazione del nuovo sindaco, Enzo Ferrandino, in programma lunedì in municipio. Enzo al quale va riconosciuto un pregio non da poco: dopo la vittoria di domenica scorsa, avrebbe avuto più di un motivo per togliersi qualche sassolino dalla scarpa con i suoi avversari ma anche con persone della sua coalizione (in primis, magari, proprio Giosi Ferrandino), ma ha scelto la linea del profilo basso. Con quello che sta succedendo, obiettivamente, non è proprio quella che si suol dire una cosa da niente. Ma la testa del neo sindaco, piuttosto che a improvvisate “campagne di marketing” è presumibilmente già ai primi impegni istituzionali, su tutti la composizione della nuova giunta municipale che non sarà certamente impresa facile. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo, con tutti i pezzi da novanta che sono rimasti fuori dal nuovo consiglio comunale, è chiaro che saranno in parecchi a tirare calci e sgomitare per cercare di ricavarsi un posto al sole. Forse servirà più di un gioco di prestigio per evitare i primi “mal di pancia” e malumori in seno al palazzo. Insomma, il rischio è quello di aver bisogno di un buon analgesico piuttosto che di un grafico o una tipografia. E scusate se è poco…

 

La trama del film che ha ispirato la sottile “replica”

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Drugo, i birilli e il reduce dal Vietnam

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Oblomov della West coast, uomo sotto acidi e senza qualità, scheggia di una sottocultura cascata nel dimenticatoio, Jeffrey Lebowski è “forse il più pigro di tutta la contea di Los Angeles, il che lo mette in competizione per il titolo mondiale dei pigri”. Tanto per cominciare, nessuno lo chiama Lebowski, ma Dude, ossia ‘tizio’ (il doppiaggio italiano, scegliendo ‘drugo’, evoca senza ragione i teppisti ultraviolenti di A Clockwork Orange). Indossa bermuda hawaiani, magliettona larga, sandali e occhiali da sole. Le sue attività si riducono a una sporadica puntata al supermercato, per acquistare gli ingredienti necessari al white russian (1/4 di kahlua, 2/4 di vodka, 1/4 di latte); all’indispensabile spinello, da fumarsi fino in fondo con le adeguate pinzette, immersi nella vasca da bagno o stesi sul kilim (i cui disegni agevolano il trip psichedelico); e la sera a trascinarsi al bowling, dove lo aspettano Walter ‒ che ha fatto il Vietnam, si è convertito all’ebraismo, ha un cane col pedigree e conosce sempre la linea da non oltrepassare ‒ e Donny ‒ che a parte garantire gli strike non capisce mai niente. Siamo all’inizio degli anni Novanta, Saddam ha invaso il Kuwait, ma Bush appare in televisione e promette che “quest’aggressione non sarà tollerata”. Intanto, in casa di Dude irrompono due scagnozzi inviati da Jackie Treehorn, un produttore di film porno: cercano il ‘grande’ Lebowski, perché saldi il debito contratto dalla moglie, un’ex coniglietta che ovviamente risponde al nome di Bunny. Meno ovvio l’errore di omonimia: ha un bel dire, Dude, che Bunny non l’ha mai vista, che il grande Lebowski dev’essere un altro, che lui è Dude, quello che gioca a bowling. Forse i sottopancia di Treehorn gli credono, forse no. Fatto sta che già che ci sono prendono la testa di Dude e la ficcano nel water. E fin qui passi. Poi però orinano sul tappeto, che “dava un tono all’ambiente”. E questo no, questo è troppo, è un’aggressione che non sarà tollerata. Ecco che a Dude tocca alzare la testa, inforcare gli occhiali da sole e tentare di sciogliere la matassa, e pazienza se è troppo aggrovigliata, o se non c’è nessuna matassa da districare. Lui ci prova comunque, con il solerte e catastrofico aiuto di Walter ‒ la cui esperienza nella giungla vietnamita può sempre tornare utile, tranne il sabato, ché con la religione non si scherza ‒ e di Donny ‒ che ce la mette tutta ma proprio non capisce niente. Nelle loro avventure, i tre incontrano il grande Lebowski, un miliardario senza un soldo e sulla sedia a rotelle, una banda di rapitori senza ostaggio (però nichilisti, quindi cattivissimi, perché “non credono a niente”), una borsa di mutande sporche sostituita a una valigia piena di dollari (vale a dire di elenchi telefonici), un mignolo laccato di verde: il tutto ritmato da doverosi allenamenti al bow-ling, per esser pronti il giorno delle semifinali, contro quel pedofilo pervertito di Jesus Quintana. Alla fine, Donny fallisce il suo strike e muore d’infarto (purtroppo l’elicottero promesso da Walter non arriverà, dev’essersi perso da qualche parte tra Saigon e Beverly Hills), mentre Dude si ritrova padre suo malgrado, incastrato da un’eccentrica artista ‘vaginale’. Ma il nostro Marlowe in bermuda ha imparato un paio di cose: tanto per dirne una, non c’è fumo senza fumo. E tutto quel che luccica non è oro, ma una palla da bowling rotolante. Fortuna infatti che i birilli sono ancora in piedi, ad aspettare, pronti per la semifinale.

 

Gaetano Ferrandino

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