CRONACA

Violenza e minacce al vicino, arriva la condanna

Otto mesi di reclusione con pena sospesa all’imputato, condannato a pagare anche le spese processuali e a risarcire i danni, che saranno liquidati dal giudice civile

Il giudice ha emesso il verdetto. È stato condannato a otto mesi di reclusione, con pena sospesa, il signor Giacinto De Siano, il quale dovrà pagare anche le spese processuali, poco meno di duemila euro. La sentenza del giudice Rocco ha sancito la conclusione della vicenda giudiziaria iniziata quasi quattro anni fa, a seguito dei comportamenti del De Siano, sintetizzati nel decreto di rinvio diretto a giudizio emesso dalla dottoressa Ilaria Rivellese.

All’imputato era dapprima contestato il reato di violenza privata nei confronti del titolare di un appartamento vicino, lievemente sottoposto, reato previsto dagli articoli 81 e 610 del codice penale, perché «con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso anche se commesse in tempi diversi, urlando “non ti permettere niente sul solaio, è tutto mio; mo vengo tra mezz’ora, se stai ancora vicino al piano nostro ti schiatto la testa”», gettando addosso ai vicini secchiate d’acqua e mimando minacce di colpirli con l’innaffiatoio, finendo per costringere il vicino a non completare l’installazione dell’antenna sul tetto.

Il rito abbreviato non ha impedito al giudice di andare oltre le richieste del pubblico ministero e della difesa di parte civile, rappresentata dall’avvocato Michele Calise, che avevano chiesto una pena di sei mesi di reclusione

Minacce che continuavano con espressioni del tipo: “mo ti faccio vedere io se metti le luci, resterò qua 24 ore su 24 e ve ne farò andare via di casa e questa non è una minaccia ma una promessa; ti devo prendere quando sei in macchina in mezzo alla strada, devo entrare in macchina e ti faccio vedere”, costringendo il vicino ad allontanarsi. Comportamenti, come quello del gettare acqua dal terrazzo che obbligavano i vicini anche a non poter fare più uso dell’accesso secondario alla propria abitazione, e che duravano da svariati mesi. Altro reato contestato era quello di minaccia, previsto dagli articoli 81 e 612 del codice penale, “perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso anche se commesse in tempi diversi”, minacciava i propri vicini «proferendo al suo indirizzo le seguenti espressioni: “non lo sai quello che ti sta venendo addosso, fuoco e fiamme come Nerone v’aggia appiccià; v’aggia taglià a cap a tutt quant’; faccia e cazz t’aggia schiattà a cap”». Numerosi furono gli esposti dei vicini per una serie di episodi di tale natura che si verificarono tra l’autunno del 2015 e la primavera del 2016. La prima udienza si svolse circa due anni dopo, quando l’imputato chiese e ottenne dal giudice Capuano il rito abbreviato, depositando una corposa memoria difensiva, e di fatto rinunciando alla lunga lista di testimoni precedentemente depositata. Nell’udienza successiva, l’avvocato Michele Calise, rappresentante della parte offesa, costituitasi parte civile, evidenziò che in quello che era diventato un giudizio abbreviato condizionato il pubblico ministero aveva la facoltà di chiedere la prova testimoniale proprio della parte offesa, richiesta accolta dal giudice, nonostante l’opposizione del legale di fiducia dell’imputato.

Nel maggio di un anno fa venne dunque ascoltato il vicino, che espose i fatti, raccontando che la vicenda andava avanti in maniera estenuante da lungo tempo, e che già in precedenza egli era stato costretto a querelare il De Siano, querela che fu poi rimessa, sperando in un ravvedimento che però non è mai avvenuto, fino alla lunga serie di episodi oggetto del processo, con la sostanziale impossibilità di poter installare l’antenna, come era nel suo pieno diritto, e finendo ripetutamente per essere oggetto delle secchiate di acqua da parte dell’imputato. Quest’ultimo aveva poi manifestato l’intenzione di rendere dichiarazioni spontanee: ci furono vari rinvii, anche a causa della sostituzione del giudice, fino a quando l’avvocato Calise fece presente che era stato l’imputato a chiedere l’abbreviato, ma che a forza di rinvii si stava trasformando di fatto in un giudizio con rito ordinario, viste le tempistiche. Nelle ultime settimane, l’epilogo: a gennaio l’ultimo rinvio, che fissava agli inizi di febbraio l’udienza nella quale, dopo le dichiarazioni spontanee, le parti avrebbero dovuto formulare le conclusioni.

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Anche in tale occasione l’imputato non si è presentato e, rigettata ogni richiesta di ulteriore rinvio, gli avvocati hanno svolto le arringhe finali. Il pubblico ministero, da parte sua, aveva chiesto il riconoscimento della colpevolezza e la pena di sei mesi di reclusione. L’avvocato Michele Calise, associandosi a tali conclusioni, chiedeva anche la condanna al pagamento delle spese e una richiesta di provvisionale in favore della parte offesa, a fronte della richiesta di “non doversi procedere perché il fatto non sussiste” da parte della difesa dell’imputato. Tuttavia, come annunciato in apertura, il giudice Rocco è andato persino oltre le richieste del pubblico ministero, decidendo per una pena pari a otto mesi di reclusione, seppure sospesa: nel dispositivo della sentenza è stato inoltre stabilito che toccherà al giudice civile quantificare l’esatto ammontare dei danni che andranno risarciti alla parte offesa.

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