Si è concluso il 1° WorkCamp sulle tecniche di Recupero dei Muri a Secco in difesa del paesaggio terrazzato rurale. Un’iniziativa organizzata dalla sottosezione del CAI di Ischia, in collaborazione con l’ong IBO (che opera da molti anni nel settore della cooperazione in Italia, in Europa e nei Paesi in via di sviluppo), il Comune di Serrara Fontana, l’Hotel Il Gattopardo (che ha ospitato i volontari), con l’aiuto delle associazioni PIDA (Premio Internazionale Ischia di Architettura), Epomeo in Sella, Ixion (Associazione culturale per la conoscenza del territorio d’Ischia) e Slowfood Ischia e Procida. Scopo del WorkCamp, il recupero e la messa in sicurezza del paesaggio terrazzato nell’area boschiva dei Frassitelli, a Serrara Fontana.
Le “parracine” isolane rappresentano un patrimonio storico, culturale ed architettonico del territorio, che attraverso queste costruzioni, muri a secco, scavi nella pietra, rendono il panorama agricolo isolano unico al mondo. Testimonianza preziosa della creatività espressiva delle comunità contadine alla ricerca di nuovi spazi vitali e aree più sicure da destinare alla coltivazione della vite. L’abbandono e il declino delle attività rurali, in favore del turismo, non deve però disperdere quel sapere pratico e antico che, in un’epoca di egemonia del digitale, acquista nuovo valore integrandosi con le nuove tecnologie. Un sapere che passa attraverso movimenti e gesti precisi, di generazione in generazione, e ora raccolto da giovani volontari provenienti da tutto il mondo, maestranze e artisti locali, architetti isolani intenzionati a rivitalizzare le aree rupestri e magari adattarli in piccoli centri museali dove raccogliere testimonianze antropologiche, costumi popolari, antiche attrezzature di lavoro, creazioni artistiche in pietra.
«Da decenni non c’è più la manutenzione di una volta» ammette De Angelis, «bisognerebbe intervenire soprattutto in due luoghi: la salita che porta a Piano Liguori, partendo da Vatoliere, e sul sentiero dei Pizzi Bianchi. In entrambi i casi si passa attraverso delle forre piuttosto pericolanti, penso alle giornate di forte pioggia. La gola dei Pizzi Bianchi, poi, è molto friabile, tende a consumarsi in tempi rapidi, anche lì bisognerebbe intervenire per consentirne il passaggio nella massima sicurezza. Per quanto riguarda i terrazzamenti e la “parracine” isolane, nell’area dei Frassitelli c’è ancora moltissimo da fare».
Com’è, per un architetto, lavorare con la pietra? Cosa raccontano i muri a secco di quest’isola?
«Lavorando la pietra, scolpisci il tempo, un’azione quasi permanente che però non richiede responsabilità particolari, poiché oggi – per un architetto – sono pochi i materiali da considerarsi usa e getta. L’esperienza del WorkCamp è stata emozionante, soprattutto perché i volontari si sono sentiti molto coinvolti. Le parracine raccontano un modo di essere che non c’è più. Una sorta di resilienza caratteriale, culturale, dovevi conquistare la terra, curarla, essere costantemente presente sul territorio. Te la dovevi meritare, a prezzo di grandissimi sforzi e fatica».
Prossima scadenza: fine maggio, per la chiusura delle candidature al Convegno internazionale di ottobre (già iscritti francesi e giapponesi). E ancora completamento della segnaletica e una manutenzione sempre più costante. Interventi concreti a tutela dell’ambiente, a sostegno di realtà sociali e comunità locali, per la sopravvivenza di tanti testimonianze silenziose che – forse – resteranno nel tempo.
Ahmed Jafar , 23 anni – Francia
«Vivo da tempo in Francia, dove studio lingue e commercio internazionale, ma le mie origini sono in Libia. E’ stata la mia prima volta in un workcamp, un’esperienza straordinaria. A spingermi ad accettare è stata la curiosità: ero già stato a Minorca e mi piaceva l’idea di vedere un’altra isola. Sono rimasto molto sorpreso, anche se nel progetto era descritta l’aerea su cui saremmo intervenuti e qualche informazione sulla storia dell’isola. Ecco, a colpirmi è stata soprattutto la sua origine vulcanica, questo susseguirsi di eruzioni che hanno segnato la conformazione dell’isola, o la presenza di tante rocce, perfino in mare. Il tufo, con le sue variazioni cromatiche dal verde al giallo, è stata una “scoperta” per me. Abbiamo lavorato tanto, ho imparato a tagliare una pietra, a riconoscerla, a come utilizzarle secondo tecniche antiche, artigianali che fanno parte dei saperi dell’isola d’Ischia. Certo, è stato faticoso, abbiamo messo a posto un arco pericolante, e ricostruito un muro completamente crollato, c’è voluto un certo impegno anche fisico, ma sono giovane e forte, quindi credo di essermela cavata bene».
Margherita Gryzlova, 26 anni – Russia
«Non avevo alcuna competenza in fatto di architettura, ma lavorando con professionisti ho appreso tantissimo, è stata un’ottima esperienza. Ho scoperto alcuni aspetti della vita sull’isola che non avrei mai immaginato. Se fossi venuta da turista, non credo mi sarei resa conto dello sforzo, della fatica e di cosa abbiano significato per le popolazioni locali, i muri a secco, le cisterne, le case di pietra scavate nella roccia. Mi ha colpito molto il lavoro di squadra, quante persone, tra professionisti, artisti e artigiani, si sentissero coinvolte in questo progetto di manutenzione e salvaguardia di un patrimonio paesaggistico così importante. Curare il territorio è di fondamentale importanza anche sotto l’aspetto turistico. In fondo la storia di questi luoghi è molto affascinante: ritirarsi in montagna per coltivare la vite e proteggersi dagli attacchi che venivano dal mare. E’ stupefacente siano riusciti a costruire tutto questo in luoghi così impervi»
Lee Do Hyun, 22 anni – Corea del Sud
«E’ la mia seconda esperienza di volontariato in un workcamp, la prima l’ho fatta in Australia. Era la prima volta che sentivo il nome di Ischia, la maggior parte dei coreani conosce Capri, non Ischia, così ho deciso di partecipare per scoprire qualcosa di nuovo. Ho scoperto un’isola bellissima, piena di natura, anche se con troppe auto, la gente guida davvero in maniera spericolata, perfino nelle curve. Non so come riescano a muoversi senza provocare tanti incidenti. L’esperienza è stata molto, molto faticosa, ma altrettanto interessante per capire come lavorano gli architetti, l’uso dello spazio, la cura per ogni aspetto di un progetto. Non immaginavo, ad esempio, che dietro una decisione ci fossero tante discussioni, ognuno presentava un progetto magari migliore del precedente, quindi diventava inevitabile confrontarsi, scambiare idee in continuazione, provvedere alla sistemazione di queste antiche costruzioni cercando di rispettare quanto più possibile il disegno originale e la tecnica utilizzata per erigere queste mura di pietra».
Sami Mabrauk, 23 anni – Tunisia
«Quest’esperienza mi ha insegnato molte cose. Ad esempio ho imparato a lavorare con le mani, cosa che non sapevo fare prima. A lavorare in squadra, che è molto importante. Anche se il workcamp è durato solo una settimana, è stato sufficiente per imparare delle cose e metterle in pratica. Sono stato sorpreso dall’ospitalità della gente di Ischia, è molto calorosa e gli italiani in generale sono conosciuti per questo, ma qui in particolare. Credo che la cultura del turismo abbia nutrito il senso dell’ospitalità. Sono tunisino, del Nord della Tunisia e mi sono trasferito in Francia nel 2007 per studiare. La Tunisia ha una cultura molto profonda che in effetti ha molto in comune con l’Italia, penso che dobbiamo fare di tutto per preservare questa cultura, quest’architettura, queste pietre preziose e formare le generazioni future affinché sappiano di queste opere d’arte. Come paesi del Mediterraneo, dovremmo collaborare di più per cercare di cambiare i metodi e favorire l’incontro tra culture».